Classifica
Lettori La
classifica 2015 dei lettori di RootsHighway, in più
i vostri concerti e le canzoni dell'anno
Americana
& Roots
Amanda Pearcy; The Deslondes;
Jake Xerxes Fussell; Jimbo Mathus; Andrew Combs...
Indie
rock & new folk
Dave Heumann; Lee Harvey Osmond; Fraser A. Gorman; Gun Outfit;
Duke Garwood...
Blues,
soul, r&b
Guy Davis, The Wanton Bishops; Lance Canales; Jorma Kaukonen;
Pop Staples...
BooksHighway
10 LIBRI per il 2015: David James Poissant; Don Winslow; Richard Ford; Marylinne
Robinson...
Euro
Americana Chart 2015 1. Amanda Pearcy - An Offering 2. Nathan Bell - I Don't Do This For Love, I Do This For Love 3.
Jason Isbell - Something More Than Free 4. John Moreland - High
on Tulsa Heat 5. Daniel Romano - If I've Only one Time Askin' 6.
Jimmy LaFave - The Night Tribe 7. Jack Hustinx & the Southern Aces
- Over Yonder 8. Rhiannon Giddens - Tomorrow Is My Turn 9.
David Corley - Available Light 10. Brent Best - Your Dog, Champ
Sono trenta, non ci siamo sbagliati. Un po' controcorrente
forse, quest'anno la classifica dei migliori album
del 2015 si "sfoltisce" rispetto alle
nostre tradizioni acquisite, anche se qui a fianco
troverete segnalazioni e nomination di categoria,
che vanno a completare il più possibile la
selezione discografica (un occhio anche alla letteratura,
come sempre) dell'anno appena passato su RootsHighway.
Perché questa scelta? Se di un "best
of" deve trattarsi, allora che sia davvero il meglio, una scrematura persino
un po' spietata (tanto sappiamo
già che qualcosa lo perderemo per strada, compresi quei dischi scoperti
all'ultimo), ma che segnali tutto ciò che arrivati in fondo ai dodici mesi
ha sedimentato maggiormente nei nostri ascolti, oggi
più che mai spezzettati (impossibile non farci caso: sempre più
raro trovare un "disco dell'anno" che metta d'accordo più collaboratori,
basta scorrere in cima alle nostre liste). In fondo il compito di questo irrinunciabile
appuntamento redazionale - un gioco certamente, e anche un modo per riconoscersi
come comunità - è quello di offrire un quadro esaustivo dei nostri
gusti, quasi una presa di posizione, e non un interminabile elenco che includa
tutto e tutti a forza.
Ci sembra infatti che troppo spesso le liste delle
tante prestigiose riviste, cartacee o sul web, soprattutto
a livello internazionale, siano divetate un assembramento
infinito di nomi e prospettive, affollate fino a
sfondare il limite dei 70, 80, addirittura dei 100
dischi. E' forse giutificabile per chi insegue un
grande orizzonte musicale, una gara aperta a ogni
contaminazione della contemporaneità, voglioso
di sintetizzare lo "spirito dei tempi",
ma dal nostro piccolo angolo, da una linea editoriale
precisa (e crediamo onesta e magari anche fuori
tempo), è più corretto e stimolante
riassumere l'anno musicale in questi 30 titoli,
con tutte le "ingiustizie" che questo
comporta.
Cosa ci ha lasciato dunque in eredità il 2015?
Sottolineata ancora una volta l'incredibile e sempre crescente (un controsenso
viste le condizioni del mercato) messe di uscite, anche restando circoscritti
nell'ambito rock tradizionale e roots, degli oltre 350 titoli che sono stati recensiti
su queste pagine, il 2015 è stato l'anno dei singer-songwriter e della
parziale ritirata delle rock'n'roll band, a leccarsi le ferite (i Promised Land
Sound fra le nuove leve, qualche vecchio leone come i Cracker e i soli Decemberists
nella parte alta). La riscossa è invece nelle mani dei nuovi troubadour,
di un rinascimento dell'altra Nashville che passa per l'affermazione dell'indipendenza
stilistica di Chris Stapleton e Jason Isbell, da un certo punto di vista perfettamente
accettati dall'estabilishment discografico, eppure con le loro regole, senza compromessi,
seguendo un percorso personale che ha una storia lontana. Lo stesso potrebbe dirsi
di Ryan Bingham, che dall'Oscar di qualche anno fa si è ritagliato via
via il suo spazio, voltando le spalle alle lusinghe, mantenendo però una
distribuzione internazionale (e tornando anche a una buona ispirazione).
Fra
le nuove promesse ci siamo segnati i nomi di Courtney Barnett, Ryley Walker e
Anderson East, mentre uno dei progetti roots più profondi per ricerca storica
e musicale si è rivelato The Orphan Brigade, dimostrazione che un'idea
di concept album può essere applicata anche (soprattutto) alle radici senza
risultare pedanti. Tra le conferme invece è arrivato l'ennesimo buon disco
dei Decemberists e un Warren Haynes sempre più eclettico nell'affrontare
i mille rivoli dell'american music. Un briciolo di rock'n'roll è rimasto
saldamente nella mani di un ispiratissimo Jesse Malin (addirittura con due album
in classifica) e di un manipolo di vecchietti agguerriti e insaziabili (The Sonics)...
il resto segue nel dettaglio, comprese le vostre scelte, che trovate qui a fianco.
"...nell'atmosfera più languida e bluesy, nelle
ambientazioni pastose che può offrire la produzione
di Henry e naturalmente grazie all'accolita dei
suoi storici collaboratori, Worthy si svela come
il disco che mette a nudo l'anima di una delle ultime
regine del soul in circolazione, risultando in alcuni
passaggi persino fragile e spezzata..."
"...dovete amare un preciso immaginario, la
narrazione di un'America defilata che ancora esiste
fuori dalle agiografie e sempre attira a sé, per
entrare in contatto con la cruda sincerità folkie
di Moreland, trent'anni e un passato da ribelle
punk, che come altri adolescenti ha avuto l'illuminazione
scavando nella collezione di dischi del padre..."
"...Short Movie è una raccolta di piccole vignette,
scatti sentimentali e rivelazioni di un momento,
un cortometraggio appunto sulla condizione emotiva
della stessa Marling e più in generale sulla sua
vita, che ha subito cambiamenti anche radicali negli
ultimi anni..."
"...la band dell’Indiana è in piena forma tanto
da potersi permettere con disinvoltura un sound
all’ultima moda, con un perfetto bilanciamento tra
tradizione e stilemi indie rock. In questo loro
ultimo lavoro, autoprodotto insieme a Kevin Ratterman,
aperture pop, lampi di luce, sbandate elettriche,
persino suggestioni british guadagnano terreno a
scapito di goticismi e sprofondi..."
"...oggi più che mai il suono del gruppo, che
alla sezione fiati aggiunge gli essenziali tasselli
di Joseph Pope III alle chitarre e Mark Shusterman
alle tastiere, procede spedito verso un r&b volutamente
sporcato di intenzoni garage rock dalla produzione
di Richard Swift, come conferma la partenza arrembante
di I Need Never Get Old,i..."
"...la nota positiva di un album quale Tomorrow
Is My Turn, pur nella sua eleganza formale, è quella di non soccombere una
volta tanto a certe ovattate forzature, tipiche delle recenti produzioni di Burnett:
sarà lo spirito della stessa Rhiannon Giddens o una sorta di magia venutasi a
creare in studio con i musicisti, eppure la diversità di toni e sentimenti, quasi
una sintesi di un secolo di musica americana, è la forza trainante del disco..."
"...Sermon On The Rocks però arriva
a dirci che è forse l'ora di promuoverlo a pieni
voti alla serie A, non perché sia per forza questo
il suo album migliore (la lotta per la palma è davvero
feroce), ma se non altro per l'invidiabile continuità
a livelli eccelsi, visto che all'alba dell'ottavo
album in carriera la sua qualità è ancora in continua
crescita, e non è davvero cosa da molti..."
"...come un Carver perso nelle distese del South
West o un Jim Harrison altrettanto spietato, ma con una chitarra a tracolla, giureremmo
(quasi) che il figlio del premio Pulitzer Larry McMurtry abbia superato il padre
in fatto di narrazione. Soltanto che il buon James ha preferito i quattri-cinque
minuti e i tre accordi in croce delle sue canzoni rispetto al ritmo della parola
scritta. ..."
"...per molti resteranno ancora, e forse del tutto
legittimamente, un piacevole amarcord del sogno West Coast, con i santini di Jackson
Browne (che peraltro li tenne a battesimo in passato, partecipando al secondo
capitolo, Nothing Is Wrong) e degli Eagles nella tasca dei pantaloni: non sarebbe
un'offesa e neppure un'imprecisione, perché la musica dell'evocativo All Your
Favorite Bands è ancora sommersa da quegli orizzonti..."
"...una scrittura folk che rimanda alla mitologia e
alla religiosità del Sud e nello stesso tempo allo storytelling di razza, che
unisce con un filo rosso Mississippi John Hurt con Bob Dylan e mille altri testimoni
più o meno celebrati. Non vi è dubbio che a colpire sia lo stile alla chitarra,
un fingerpicking veloce e cristallino, figlio della tradizione e come ammette
lo stesso Stelling affascinato dalle figure di John Fahey e Dock Boggs..."
"...facile etichettarlo come l'album intimista
della sua produzione (o quello della maturità, fate voi), giunta oggi alla
sesta uscita ufficiale, eppure c'è qualcosa di più celato fra queste canzoni:
mantengono quella tensione sospesa, quell'aria un po' imbambolata e ossessiva
che traspare dalla sua musica, ma al tempo stesso cercano insistentemente la melodia,
potremmo anche affermare che si tratti di un passaggio verso una personale versione
della canzone rock d'autore..."
"...il menu non cambia rispetto all'album precedente:
ballate indie da ascoltare in silenzio (l'intensa Wedding Ring), il grande
amore per la musica d'autore americana (ascoltate Winning Streak e vi sembrerà
di essere nel pieno di un disco di Amos Lee), il soul serpeggiante che non manca
mai in una qualsiasi produzione di marca Irish (il crescendo gospel di Her
Mercy), le ballate tradizionali della sua verde terra (McCormack's Wall)..."
"...semplicemente allargando la line-up attorno
alle sue più classiche ballads, arrangiate ora con fiati, violino, cori, lap-steel,
pedal-steel, organo, piano, con un apporto arricchito e reso più completo da una
struttura vivace. Un po' come dire che, se la sostanza non è poi cambiata molto,
è la forma a renderla più appetibile, innestandosi su di un prodotto già buono
di per sé e ora, di sicuro, più completo..."
"...portandoci quaranta minuti di puro Yoakam-sound,
dopo le piccole deviazioni pop imposte dalla produzione di Beck nel lavoro precedente.
Qui invece è impossibile ravvisare grandi novità nel sound , forse solo più rock-oriented
del solito, ma senza dubbio siamo di fronte ad uno degli episodi più freschi,
energici e pienamente riusciti della sua carriera..."
"...potremmo definirli una Band (quelli con la
B maiuscola) moderna immersa nei sapori Stax, una ex jam-band nata per emulare
la Dave Matthews Band che si è dimenticata la jam a favore dell'emozione, del
ritmo funky. Non c'è niente da fare, ogni loro uscita è una festa, e quindi anche
questo Ol'Glory, disco che non si discosta dai precedenti se non per un
ulteriore spostamento del baricentro verso la soul-ballad..."
"...quello che però sorprende è che finalmente
la strabordante prolificità di Lowery pare nuovamente focalizzata sulle canzoni
e non sulle forzature dovute al plot del progetto. In altre parole Berkeley to
Bakersfield potrebbe essere davvero il loro disco definitivo, il riassunto di
tutta una carriera mai troppo lodata, seppur cosparsa di troppi titoli minori
negli ultimi anni..."
"...il secondo lavoro solista del leader degli Hold
Steady si gioca ancora tutta la sua credibilità su quelle storie dal grande nulla
americano, le stesse che popolano da sempre la sensibilità blue collar dell'autore,
quell'intreccio di rock da strada maestra e rabbia punk che lo ha trasformato
in un piccolo eroe del genere, riconoscibile forse proprio per la sua figura così
"normale"..."
"...è un lavoro altrettanto valido, persino
più spumeggiante rispetto al suo recente compagno, perché riesce a cogliere ogni
sfumatura del songwriting e a riassumere le influenze accumulate nel tempo dall'ex
ragazzo terribile dei D-Generation. Certo, non aggiunge nulla a quanto già sapevamo
del musicista, ma ne definisce i contorni con una precisione chirurgica...."
"...un grumo di visioni psichedeliche, di code
settantesche i cui i Grateful Dead più imbambolati si incontrano con i Big Star
del crepuscolo (quelli di Third/ Sister Lovers, per intenderci), dove il gesto
del garage rock si tuffa nei ricordi dei sixties e arriva fino a lambire la California
dei Byrds, magari quelli più stralunati di Fifth Dimension, prima di fermarsi
in qualche comune hippy..."
"...Anderson East canta con piglio scafato e una
convinzione che supera spesso in maturità i suoi ventisette anni, ma dà la sensazione
di riprodurre quanto già scritto nel mito. Rispetto alla media delle proposte
del genere ha tuttavia i numeri per sfondare: la sua musica è accattivante per
i palati fini che vagheggiano il passato..."
"...quello che forse nessun avrebbe messo
in conto è la sfiacciataggine e la freschezza con cui affrontano il repertorio,
sempre diviso fra brani altrui e materiale originale, di questo nuovo album. Il
quale resta una bomba di pura adrenalina elettrica, sfilacciato dalle urla di
Roslie e del suo piano boogie, dalle fragorose incursioni del sax di Lind e più
in generale da una eterna adolescenza..."
"...le coordinate in fondo sono sempre le stesse,
storie metropolitane di abbandono e riscatto, questa volta con un tono ancora
più disperato e personale, che pescano in un taccuino affollato di canzoni. Jesse
Malin dice di averne scritte quaranta e di averle registrate in più sessioni,
cominciate in Virginia e completate a New York..."
"...l'esito non poteva che essere un disco di affascinante
e dilatata Americana, dove sentori di irish music e fragranze sudiste, country
rurale e folk rock d'assalto si incontrano nel suono rarefatto, diremmo ambientale,
offerto dall'ottimo Neilson Hubbard, produttore che pare avere studiato tanto
alla scuola di T Bone Burnett quanto a quella di Daniel Lanois..."
"...abbiamo per le mani una raccolta di brani
di sorprendente spontaneità e vigore, puntellati da un'ispirazione alternativamente
aspra, sognante o naif, ma sempre sicura della sua forza espressiva. Che il risultato
sia conseguito con ingredienti poveri, della "cucina" tradizionale (chitarra basso
e batteria; qualche spolverata di organo, quanto basta) rende ancora più sorprendente
l'esito finale..."
"...in genere dischi di questo tenore, dove l'autore
di turno affronta le sue paure rispetto alla fama, tendono ad essere pericolosamente
auto-referenziali: non accade in What a Terrible World, What a Beautiful World,
opera dalle diverse sfaccettaure, anche di umore musicale, che dalla ideale sfrontatezza
pop della prima parte scivola gradualmente verso l'intensità folk..."
"...i Railroad Earth sono i protagonisti delle parti
strumentali, con la loro miscela di bluegrass, rock, jazz e musica celtica. Le
parti soliste sono affidate soprattutto al fantasioso violino di Tim Carbone,
al mandolino di John Skehan e al banjo di Andy Goessling, mentre Haynes si concentra
sulla scrittura e sulla voce (in costante miglioramento)..."
"...improvvisazioni jazzistiche, chitarre imbevute
di morbida psichedelia e richiami al folk rock anglosassone
che ne decretano la piena realizzazione. È un piccolo
miracolo di equilibri questo lavoro del giovane
chitarrista di Chicago, nemmeno venticinque anni
all'anagrafe, eppure un'anima vecchia come la sua
musica..."
"...non necessariamente il migliore per
coesione e qualità, ma senza ombra di dubbio quello che riassume un'intera poetica,
fatta di strada percorsa, corde di chitarra consumate e schiaffi ricevuti dalla
vita. Nel solco di quella tradizione dei troubadour del South West americano che
ha saputo rinnovare, Bingham inghiotte ancora la polvere che un tempo fu di Mescalito..."
"...le stesse tematiche tuttavia ribadiscono l'approccio
di Isbell, uno che ha capito come la migliore canzone americana scaturisca dalle
ferite, dai cuori spezzati (e da qualche bicchiere vuoto al bancone del bar) e
come trovi la sua catarsi nelle speranze di tutti i giorni, in una nuova famiglia
o nella semplice "fortuna" di avere ancora un lavoro ..."
"...è persino impossibile definire questo
debutto come un album di country ortodosso. Qui semmai cadiamo nel campo del canone
sudista, una musica tra radici bianche e nere imbevuta di southern soul e country
rock da banditi, di umori gospel e ballate da bivacco, dove la voce, ecco che
torniamo al "singer" di partenza, non è affatto una nota a piè di pagina..."
Riepilogo
- Best albums 2015
Top
10
1.
Chris Stapleton - Traveller
2. Jason Isbell - Something More Than Free
3. Ryan Bingham - Fear And Saturday Night
4. Warren Haynes - Ashes And Dust
5. The Decemberists - What A Terrible World
What A Beautiful World
6. Ryley Walker - Primrose Green
7. Courtney Barnett - Sometimes I Sit and Think,
and Sometimes I Just Sit 8.The Orphan Brigade - Soundtrack To a Ghost
Story 9. Jesse Malin – New York Before The War
10.
The Sonics – This Is The Sonics Runners
11-25
11. Anderson East - Delilah
12. Promised Land Sound - For Use And Delight
13. Jesse Malin - Outsiders
14. Craig Finn - Faith In The Future
15. Cracker - Berkeley To Bakersfield
16. JJ Grey & Mofro - Ol' Glory
17. Dwight Yoakam – Second Hand Heart
18. Josh Ritter - Sermon On The Rocks
19. The White Buffalo - Love & The Death
of Damnation
20. Glen Hansard - Didn’t He Ramble
21. Kurt Vile - B'lieve i'm goin' down
22. Christopher Paul Stelling - Labor Against
Waste
23. Dawes - All Your Favorite Bands
24. James McMurtry - Complicated Game
25. Rhiannon Giddens - Tomorrow Is My Turn
26. Nathanel Rateliff & The Night Sweats
- Nathaniel Rateliff & The Night Sweats
27. Murder by Death - Big Love
28. Laura Marling - Short Movies
29. John Moreland - High on Tulsa Heat
30. Bettye Lavette - Worthy