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ghosts di
Fabio Cerbone (01/12/2015)
L'intreccio
fra storia americana e folk music si fa strettissimo in questo progetto discografico
a nome The Orphan Brigade, che l'italiana Appaloosa snida con intelligenza
dalla miriade di uscite indipendenti, per offrirlo nell'edizione con testi tradotti
a fronte (lavoro meritevole, vista la centralità delle vicende umane cantate).
Non è una sorpresa dell'ultima ora la sensibilità di alcuni musicisti di area
roots per questo tipo di narrazioni in musica: sembra semmai un tratto distintivo
- quello cioè di utilizzare il passato e le intersezioni fra cronaca e
mito - per questa generazione perduta di songwriters. Vi appartengono di dirittto
Neilson Hubbard, Ben Glover e Joshua Britt, qui i tre attori
protagonisti ai quali si aggiungono le voci di Kim Richey, Gretchen Peters, Heather
Donegan e un altro manipolo di strumentisti di area Americana, sottolineando così
la natura corale dell'album.
The Orphan Brigade era l'appellativo di un
contingente di soldati del Kentucky (ufficialmente "First Kentucky Brigade")
che combatterono durante la Guerra Civile Americana sotto le bandiere della Confederazione.
Furono presenti anche nella famosa battaglia di Shiloh, immortalata spesso dalla
tradizione folk. Soundtrack to a Ghost Story, il disco e il corrispondente
documentario che lo accompagna (è a disposizione sul sito ufficiale del
gruppo), si sviluppa dunque intorno alla vita e alle leggende di questa brigata,
a poesie e testimonianze dirette, raccolte dai tre autori, cogliendone letteralmente
lo spirito in una registrazione tenutasi presso l'Octagon Hall di Franklin, Kentuycky.
Edificio misterioso quest'ultimo, ammantato da un'aura inquietante e, la vulgata
racconta, infestato dai fantasmi, al centro di un'antica piantagione che fu teatro
di quella guerra e delle tante vite soffocate nella violenza tra unionisti e confederati.
L'esito non poteva che essere un disco di affascinante e dilatata Americana, dove
sentori di irish music e fragranze sudiste, country rurale e folk rock d'assalto
si incontrano nel suono rarefatto, diremmo ambientale, offerto dall'ottimo Neilson
Hubbard, produttore che pare avere studiato tanto alla scuola di T Bone Burnett
quanto a quella di Daniel Lanois.
Dovremmo parlare di quattordici capitoli
di un romanzo più che di singole canzoni, dalla sparsa introduzione pianistica
di Octagon Hall Prelude all'affascinante chiusura di The Orphans,
crescendo di voci dai toni celestiali per fiati e banjo. Nel mezzo un susseguirsi
di incanti che abbracciano la roots music più gotica e oscura in Trouble
My Heart (Oh Harriett), lettera d'amore disperata e scelta come video
promozionale, e I've Seen the Elephant, resoconto
degli orrori sul campo di battaglia, passando all'afflato gospel di Sweetheart
e attraversando marcette stranianti (il fischiettio di Whistling Walk)
e veri e propri arrembaggi (l'unisono attacco folk di Cused
be the Wanderer). Ciò che colpisce della musicalità di Soundtrack to
a Ghost Story è quel suo dipanarsi tra inferno e paradiso, tra armonia e riverberi
delle voci (Good Old Flag, Pale Horse),
colmo di quel senso di mistero che è proprio soltanto della migliore "american
music", un po' come se la nostra Orphan Brigade avesse fatto tesoro della
lezione di The Band.
Dolcissime le melodie di Last
June Light, la guerra vista attraverso gli occhi dell'innocenza di
un bambino, e Goodnight Mary, bozzetti roots avvolti in mandolini e fiddle;
perfette le dinamiche country soul di The Story You tell Yourself, dove
l'intepretazione di Kim Richey ricorda da vicino l'ultima Rosanne Cash; intense
le parole e la voce spezzata di Ben Glover (un talento da tenere d'occhio) che
nell'asciutta Paddy's Lamentation riversa
la delusione di un immigrato irlandese venuto a cercare fortuna in America e si
ritrova gettato sul campo di battaglia.
Storie di uomini, storie di fantasmi,
una casa, le sue mura, la terra che la circonda intrisa di vita e di morte: Soundtrack
to a Ghost Story è la loro colonna sonora.