File Under:down
in Texas di
Fabio Cerbone (02/02/2015)
Il
riscatto attraverso il dolore: Fear and Saturday Night esorcizza
i fantasmi personali di Ryan Bingham attraverso una manciata di canzoni
che sono la fotografia più intima messa in musica dal songwriter texano. È evidente
l'effetto catartico, basta immergersi nel groviglio di note e testi che caratterizzano
l'album più sentito della sua produzione: non necessariamente il migliore per
coesione e qualità, ma senza ombra di dubbio quello che riassume un'intera poetica,
fatta di strada percorsa, corde di chitarra consumate e schiaffi ricevuti dalla
vita. Nel solco di quella tradizione dei troubadour del South West americano che
ha saputo rinnovare, Bingham inghiotte ancora la polvere che un tempo fu di Mescalito,
il disco rivelazione del 2007: Fear and Saturday Night torna all'essenza del suo
rauco e vissuto country rock di frontiera, abbandonando quelle, anche legittime,
ambizioni sonore, che avevano tuttavia impantanato la sua proposta musicale nel
coraggioso e confuso Tomorrowland.
Grazie alla produzione asciutta e sensibilmente più classica di Jim
Scott (un nume tutelare nel campo, da Tom Petty ai Wilco fino ai Whiskeytown
di Stranger's Alamanc), con una nuova band alle spalle che comprende alcuni membri
dei Rose Hill Drive, Bingham riparte dalle ferite familiari, dai suoi stessi errori,
da un prezzo che ha dovuto spesso pagare senza colpe. Tantissime le ombre dei
genitori che si addensano fra le pieghe delle liriche: un finale tragico quello
che hanno subito, travolti dai demoni dell'alcol, il padre persino suicida. Impossibile
che questo carico di sofferenza non trovasse sfogo nei solchi di Nobody
Knows My Trouble, della stessa title track o nella strepitosa My
Diamond Is Too Rough. Cadenze da "cavalli selvaggi", il grande orizzonte
del border che si stende davanti agli occhi, nonostante oggi Bingham risieda in
California e buona parte di questo materiale abbia preso vita nell'angusto spazio
di un caravan, senza acqua corrente ed elettricità. Così narrano le cronache e
così piace pensare all'opera la scrittura del texano: luogo comune o meno, la
sua voce gratta persino più del previsto, la raucedine rock una sorta di cicatrice
permanente e l'amarezza si fa largo cercando però un appiglio, un varco verso
la luce, tra chitarre sabbiose e armoniche dylaniane, tra country secco come il
deserto e versi che rubano un po' di ispirazione ai suoi maestri.
Non
solo i versi a dire il vero: in Adventures of You and
Me uno scatenato accordion accende la festa tex-mex, pagando il dazio
al suo mentore Joe Ely e accendendo un cero alla memoria di Doug Sahm, mentre
il walzer di Broken Heart Tatoos cita platealmente Dylan e la stessa Nobody
Knows My Trouble segue il portamento fiero di Guy Clark. Contrariamente al
recente passato però Fear and Saturday Night mischia meglio le carte, non indugia
soltanto sulla malinconia di frontiera e non eccede nel carico elettrico, difetti
che frenavano sia Junky
Star (il disco che chiuse l'avventura con i Dead Horses e con la Lost
Highway) sia il citato Tomorrowland. L'alternanza con i ceffoni hard di Top
Shelf Drug, o con una Radio che
vibra sulle corde della migliore tradizione rock stradaiola, segnalano il ritorno
alla forma più congeniale per lo stesso Bingham: in lui batte un cuore antico
da balladeer texano, ma la pellaccia dura è quella di un rocker sfrontato, che
scatta nella convulsa ritmica alla Bo Diddley di Hands
of Time e dilata lo spazio vitale dell'Americana con un uso sapiente
di piano e chitarre, tra i crescendo di Island in the Sky e della conclusiva
Gun Fightin Man, parabola della sua stessa
sfida alla vita.