File Under:american
beauty di
Fabio Cerbone (02/11/2015)
Colori
pastello, aria bucolica, anche se il tratto è abbozzato, un po' confuso. C'è l'anima
dei Primised Land Sound catturata nel dipinto di copetina del loro secondo
lavoro, targato Paradise of Bachelors, ormai da considerarsi una delle etichette
in prima linea nel mettere in comunicazione il linguaggio della tradizione con
quel vasto mondo indie rock contemporaneo, una garanzia di proposte artistiche
fuori dai soliti schemi, seppure ancorate alle radici. È l'effetto che produce
anche For Use and Delight, album dell'imposizione definitiva per
la band dei fratelli Joe ed Evan Scala, maturati in tour al fianco di Alabama
Shakes e Angel Olsen. Il primo ricopre il ruolo di bassista, principale voce e
autore, il secondo quello di batterista: attorno a loro si è coalizzato un nutrito
gruppo di musicisti dell'altra Nashville, quella che guarda oltre l'eredità più
classica del country cittadino, di cui certamente tiene conto, ma lo contamina,
anzi lo avviluppa in un grumo di visioni psichedeliche, di code settantesche i
cui i Grateful Dead più imbambolati si incontrano con i Big Star del crepuscolo
(quelli di Third/ Sister Lovers, per intenderci), dove il gesto del garage rock
si tuffa nei ricordi dei sixties e arriva fino a lambire la California dei Byrds,
magari quelli più stralunati di Fifth Dimension, prima di fermarsi in qualche
comune hippy.
Sono soltanto alcune delle linee guida che covano sotto
il songwriting in ebollizione di For Use and Delight, disco nel quale la giovane
band ha attirato nella propria rete nuovi collaboratori: Peter Stringer-Hye (The
Paperhead) alla chitarra ritmica, Mitch Jones (dai Fly Golden Eagle) alle tastiere
e il cameo di Steve Gunn, qui ospite esemplare nella jam strumentale, in
chiave folk blues acustica, intitolata Dialogue.
È proprio il produttore degli ultimi interessanti lavori di Gunn, Jason Meagher,
a trascinare il gruppo fuori dal recinto di Nashville, registrando le tracce base
presso il personale Black Dirt Studio nella campagna a nord di New York. Tutto
concorre evidentemente ad espandere lo spettro sonoro dei Promised Land Sound,
con un nome che evoca immaginario americano fin nelle ossa (e forse anche un'ode
a Chuck Berry…), ma a ben vedere si muove zigzagando fra mille suggestioni, dove
musica agreste e pop lisergico (Oppresion, Better Company, una Canfield
Drive dai sapori pinklfoydiani) hanno lo stesso diritto di cittadinanza
di un rock'n'roll aguzzo e dallo spirito punk (Golden
Child).
Stazionano melodia e improvvisazione acida al centro
della loro musica: come in Push
and Pull (All the Time), introduzione e manifesto del suono
affascinante creato dal gruppo, oppure nel dileguarsi impalpabile ed elegante
di Northern Country Scene, mentre She Takes Me
There ha trame che lambiscono l'Americana, ma declinate secondo una
sensibilità sempre un po' "cosmica" e aspra nelle trame della slide guitar, e
infine Otherworldly Pleasures fa incontrare,
in una ideale seduta spiritica, i Crazy Horse con i Grateful Dead (e la coda finale
di Through the Seasons è un distillato di puro pensiero alla Jerry Garcia).
Passo dopo passo For Use and Delight si rivela uno dei dischi chitarristici più
intriganti della stagione, terreno di caccia per una american music che riconosce
i suoi padri putativi, non li rinnega, ma neppure si limita a copiarne i gesti,
preferendo un continuo gioco di specchi e allusioni.