L’intima natura della coscienza è l’oggetto del contendere
che un gruppo di giovani ricercatori è chiamato a indagare
in una struttura della New York University. Il dilemma
(biologico, filosofico ed etico) si attorciglia in un
dramma quando uno degli scienziati muore in metropolitana
in circostanze più ambigue che misteriose. Da lì Le
rivelazioni, romanzo di esordio di Erik Hoel
(Carbonio
Editore, nella traduzione di Olimpia Ellero,
416 pagine) si sviluppa attorno alla figura di Kierk Suren
che, a differenza dei colleghi accademici, è tormentato
dai dubbi e dalle contraddizioni che suscitano gli interrogativi
legati all’enigma della coscienza.
Cosa sognavi di diventare? Uno
scienziato, uno scrittore o entrambi?
Crescere nella libreria di mia madre mi ha praticamente
costretto a diventare uno scrittore. È quello il nucleo
della mia identità. Comunque, serve un soggetto da seguire
e gli scrittori lo trovano in vari modi: si uniscono a
una controcultura, o vanno nell’esercito, per dire. Alcuni
scrivono solo di se stessi. Ero affascinato dalla scienza,
e ho intravisto un soggetto che sembrava inesplorato,
almeno in senso letterario.
Quando hai cominciato a scrivere?
Cosa ti ha ispirato?
Quando cresci in una libreria da bambino, i libri sono
letteralmente la cosa più importante. Erano al centro
del dibattito, della discussione, di tutto, veramente.
Quindi mi è sempre parso naturale, forse inevitabile.
Dal punto di vista dei libri, gli autori sono semplicemente
come i libri li riproducono.
Quale è stata la parte più difficile
nella scrittura del tuo romanzo d’esordio, Le rivelazioni?
Certamente la necessità di trovare un equilibrio con
il mio dottorato in neuroscienze. Ma da una prospettiva
strutturale, Le rivelazioni è un libro con una
meccanica folle. Ogni capitolo inizia con le stesse tre
parole e la stessa scena. Si svolge nell’arco di un mese,
ogni giorno è un capitolo. Sentivo che nessuno aveva mai
provato davvero a mettere in piedi una struttura del genere.
E ora so perché, dato che ci è voluta un’immensa quantità
di lavoro. Sono contento di aver fatto le scelte che ho
fatto per il libro, ma non le rifarei mai, se non altro
perché ora so di più sul lavoro necessario per far funzionare
una struttura narrativa così complessa.
Quanto di autobiografico c’è nel
libro?
Questa è una domanda complicata, perché alla fine non
c’è nulla di autobiografico. Non sono mai stato confuso
con un potenziale omicidio, e così via. Allo stesso tempo,
è un libro profondamente personale. Ho vissuto a New York,
ho lavorato all’Università del Wisconsin, come ha fatto
Kierk, e ho lavorato alla Columbia University, come ha
fatto Carmen, e molte delle loro preoccupazioni intellettuali
sono le mie. Penso che come molti primi romanzi si tratta
di un gruppo di esperienze filtrate attraverso la struttura
di un libro.
Come hai sviluppato i caratteri
di Kierk e Carmen?
Penso di essere davvero uno scrittore filosofico classico.
I miei personaggi sono spesso iniziazioni di idee, come
Carmen che è la rappresentazione di qualcuno di fronte
al problema mente versus corpo. Così spesso inizio in
modo molto astratto, e lavoro a ritroso.
Qualcuno dei principali protagonisti
ha un posto speciale, per te?
Penso che Kierk sia certamente un personaggio interessante.
Non c’è più posto per persone come lui, ossessive romantiche,
nel mondo della scienza. Forse nel mondo in generale.
Può risultare irritante e ha i suoi difetti, ma è anche,
credo, un personaggio sensibile.
L’uso degli animali nel campo della
ricerca è giustificato da un punto di vista etico? È necessario?
La ricerca sui primati descritta nel libro è completamente
reale. Spesso le persone non riescono a crederci. Molti
degli eventi più orribili li ho sperimentati in prima
persona. Penso che la ricerca sugli animali sarà una delle
cose per cui saremo giudicati nel corso dei secoli futuri,
nonostante sia necessaria in molti casi ora. Ma sono convinto
che se le persone sapessero di più su ciò che accade,
sosterrebbero il contenimento dei peggiori eccessi, in
particolare nei primati, e nello stesso modo con gli animali
domestici come cani e gatti.
A parte questo, che impatto ha
avuto, a livello, emotivo, la scrittura del romanzo? Quale
è stata la sfida maggiore?
È stata un’esperienza molto intensa scriverlo. Ci ho
versato molta energia, credo si senta. Come ho detto,
la struttura stessa era diabolica. Ma penso soprattutto
che riconciliare la scrittura con il lavoro quotidiano
in campo scientifico sia sempre una sfida importante.
Cosa ti ha sorpreso di più nella
scrittura e nella pubblicazione?
Direi che la risposta è sempre quella, ma sono i pro
e i contro di pubblicazione che mi hanno stupito. Penso
che la gente creda che quando un libro è pubblicato il
viaggio finisca lì, missione compiuta. Ma non è affatto
così che funziona.
Stai lavorando a qualcosa che vuoi
condividere?
In questo momento la maggior parte dei miei sforzi sono
concentrati su un lavoro sulla piattaforma Substack,
The Intrinsic Perspective. Quando scrivo libri, mi
sento come se mi unissi a una lunga fila di titani, e
quindi mi sto sempre paragonando a gente scomparsa da
lungo tempo, e non posso assolutamente pensare di essere
all’altezza. Ma scrivere on line, mandare una newsletter,
è un’esperienza completamente diversa. È davvero un genere
a parte, relativamente nuovo e in rapida crescita. Mi
pare un mezzo nuovo e fresco per scrivere.
Cosa fai quando non stai scrivendo?
Oh, per lo più cose normali. Vivo a Cape Cod, che è una
parte del Massachusetts dove molte persone vanno in vacanza
in estate. Durante l’inverno, quando i turisti se ne sono
andati, è molto tranquillo e sereno, trascorro del tempo
con la mia famiglia, gioco con il mio cane, tutto qua.