Rhiannon Giddens
Tomorrow is My Turn
[Nonesuch
2015]

www.rhiannongiddens.com

File Under: folk diva

di Fabio Cerbone (27/02/2015)

Sofisticata come una regina del pop e ruvida come le migliori interpreti blues, al tempo stesso ammaliante nella ricerca vocale e fedele alle sue radici folk, Rhiannon Giddens sembra far coesistere nella più normale delle unioni i segni opposti dell'american music. Debitrice tanto di Odetta quanto di Nina Simone, in grado di affrontare un'antica, soffice ballata dai profumi irlandesi (O Love is Teasin', solenne nell'incedere della melodia ricreata dai violini), così come una canzone firmata da Dolly Parton (la vivace presenza country di Don't Let It Trouble Your Mind) e un vecchio successo di Patsy Cline (She's Got You), Rhiannon rivendica il suo ruolo nella moderna riscoperta della memoria folk, accompagnata nell'operazione dal suo nume tutelare, T Bone Burnett.

È infatti attraverso un preciso percorso artistico - che ha rappresentato anche una presa di coscienza della stessa Giddens - che il famoso produttore ha accompagnato Rhiannon in un viaggio di formazione: dalla presenza non indifferente nel progetto The New Basement Tapes (sue le interpretazioni più toccanti) insieme a Elvis Costello e Mumford & Sons, fino alla partecipazione al concerto tributo di Inside Llewyn Davis (anche qui le sue esibizioni ben al di sopra degli standard di altri partecupanti), ispirato al film dei fratelli Coen, le sue intenzioni sono apparse chiare: rileggere il passato senza impantanarsi nella pura imitazione, nel revival storico di facciata. Tomorrow Is My Turn, esordio solista dopo i Grammy e gli aplausi ottenuti alla guida dei Carolina Chocolate Drops (tuttora attivi, va precisato), si colloca esattamente su questa linea: una raccolta di cover soltanto in apparenza, ma ben più ricca di un ossequioso ripasso della tradizione. Merito di una voce che tuona letteralmente nei rintocchi di Waterboy e si fa stentorea nelle sue inflessioni country gospel di Last Kind of Words, diventa poi una preghiera nella dolcissima Round About the Mountain, accarezza nei tratti roots di Shake Sugaree e si risveglia robusta e trascinante nel mix di hillbilly e gospel di Up Above My Head (dal repertorio di Sister Rosetta Tharpe).

La nota positiva di un album quale Tomorrow Is My Turn, pur nella sua eleganza formale, è quella di non soccombere una volta tanto a certe ovattate forzature, tipiche delle recenti produzioni di Burnett: sarà lo spirito della stessa Rhiannon Giddens o una sorta di magia venutasi a creare in studio con i musicisti (i soliti Jay Bellerose e Dennis Crouch alla sezione rimica, ai quali si aggiungono, tra gli altri, le chitarre di Colin Linden e il fiddle di Gabe Witcher), eppure la diversità di toni e sentimenti, quasi una sintesi di un secolo di musica americana, è la forza trainante del disco. Il quale non manca di rischiare, evitando i clichè di un Americana da bella figurina: ci sono per esempio i leggeri loop elettronici in Black is the Color, vecchia folk song trasfigurata in un pulsante e moderno brano r&b, o ancora la sorprendente Tomorrow is My Turn di Charles Aznavour (ma probabilmente appresa da Nina Simone), che, avvolta in una drammatica atmosfera per archi, denota una volta di più la versatilità della Giddens come interprete. Nel finale l'unico brano firmato personalmente, Angel City, ballata acustica per chitarra e violino che avvicina l'autrice all'intimo, magistrale incedere folk di colleghe quali Natalie Merchant e Margo Timmins (Cowboy Junkies): che sia diretto lì il suo cammino?


    


<Credits>