RootsHighway 2014 revisited
di
Fabio Cerbone
In attesa di capire se il vecchio caro vinile risolleverà
le sorti della discografia agonizzante (qualcuno crede a questa favoletta? E in
ogni caso noi non ci sentiamo affatto coinvolti...perché
il vinile non lo abbiamo mai abbandonato), il 2014 chiude i conti con un colpo
di coda per chi continua a pensare senza vergogna - come RootsHighway e il suo
pubblico di lettori - che là fuori ci siano sempre canzoni da scoprire,
senza questioni assillanti e inconcludenti sull'originalità e il presunto
futuro, racchiuse dentro dischi che guardano sì alla tradizione, magari
senza trasformarsi in revival fine a se stesso. Lo stato di salute di tutto ciò
che ruota intorno al "classico", sia quest'ultimo più sbilanciato
verso le radici o più propenso alla moderna elettricità, ci è
parso anche questa volta ottimo, forse persino più vivace delle passate
stagioni: da un parte un ritorno generalizzato alla centralità del gesto
rock, alle chitarre, dall'altra il solito grande fiume di songwriter, che si mettono
sulle tracce dei maestri e provano a rinnovarne la lezione.
Una cosa è
certa: una figura femminile è tornata con prepotenza sbaragliare gli avversari.
Non accadeva da anni e non era un dato così scontato. In un mondo spesso
troppo sbilanciato verso il lato maschile, ci sembra una buona notizia, anche
se l'indiziata, Lucinda Williams, non è certo una debuttante. Indiscusso
punto di riferimento per quell'Americana che guarda alle paludi dello swamp rock
e del country blues sudista, il suo ultimo lavoro ha rappresentato la summa di
un'intera carriera e il catalizzatore di un sound che mette al centro l'anima
del rock'n'roll americano cresciuto sulla linea tra Memphis e Nashville.
I
colleghi uomini si sono comunque arraffati il resto: sono spuntati parecchi solisti
e ne hanno in parte fatto le spese le rock'n'roll band, almeno a giudicare dalle
prime posizioni. Che siano le conferme dei soliti Ryan Adams (con il suo trionfale
ritorno al rock), John Mellencamp (il più regolare della sua generazione,
ormai non sbaglia un colpo), Damien Jurado (il più avventuroso forse nello
spostare in avanti il genere) e Joe Henry (impegnato in uno dei suoi lavori più
equilibrati e densi), oppure i nuovi arrivati Robert Ellis e Christopher Denny,
il segnale è che c'è ancora speranza per la canzone d'autore di
stampo folk rock e country. E nelle retrovie incalzano altre più e meno
giovani conoscenze, da Beck a Leonard Cohen, da Matthew Ryan a Bob Mould...
Quanto
ai gruppi, come detto, ci si lecca un po' le ferite, ma l'expliot dei War on Drugs
rimette in pari la bilancia, con un disco che ha unito davvero i ponti tra vecchio
e nuovo, tra "conservatori" e "progressisti", tra sensibilità
indie e tradizione rock. Insieme a loro si segnalano il ritorno solidissimo dei
Counting Crows (e la conferma è arrivata dalle loro esibizioni live), i
beniamini della scena roots, Old Crow Medicine Show, due felici presenze italiane
(Mandolin' Brothers e Cheap Wine) a guidare la truppa nostrana e molti altri ancora
nelle posizioni di rincalzo (Woods per i più psichedelici, Reigning Sound
e Handsome Jack per i più garagisti fra noi).
Ciò che ci
pare non difetti a questo 2014 di RootsHighway sono anche le promesse, le rivelazioni
e le doverose conferme del vasto universo Americana e indie rock, una ricerca
che resta in fondo la nostra missione fondamentale fin dagli inizi: segnatevi
allora i nomi di Mike Farris, Sturgill Simpson, Frazey Ford, Blake Mills, Lydia
Loveless, The Temples... e preparatevi ad un nuovo viaggio di scoperte insieme
a noi, in questo 2015 appena arrivato. |