Travellers Nuovi
tradizionalisti sui sentieri dell'Americana (2014-2024)
Uno speciale a cura
di Fabio Cerbone
Abbiamo vissuto in diretta sulle pagine del nostro
sito l'affermazione di questa scena, ne abbiamo
colto l'evoluzione e al tempo stesso i legami stretti
con la tradizione passata, in una sorta di passaggio
di testimone. Se gli anni 90, e fino all'alba del
nuovo millennio, erano stati il terreno di caccia
dell'alternative-country, di quel mondo rock alternativo
che riscopriva la "musica delle radici"
servendosi soprattutto della voce potente delle
rock'n'roll band, con l'assottigliarsi di queste
ultime e l'emergere di una nuova stagione di solisti,
i Travellers sembrano ricollegarsi
a quanto accaduto in maniera speculare negli anni
Settanta. L'ispirazione attinge dunque dai cosiddetti
outlaw, dal country d'autore che al tempo
rinnovò Nashville scardinandone le regole
dall'interno, un lungo elenco di maestri (e madrine)
della canzone americana che rivive nella nuova generazione.
Quest'ultima è rappresentata da un fiorire
continuo di autori che, grosso modo, sono nati fra
la fine degli anni 70 e la prima metà dei
90 (troverete indicata la loro origine in ogni scheda),
un periodo che ha allevato talenti spesso provienienti
dai punti più marginali, poveri e dimenticati
dell'America: Kentucky e West Virginia, Alabama
e Georgia, ma anche gli immancabili Texas e Olklahoma.
Molti fra loro si sono diretti ancora a Nashville,
negli studi cittadini, con produttori in comune
(Dave Cobb, un nome su tutti) e alimentando una
conoscenza reciproca, eppure tenendosi a debita
distanza dal circo del mainstream musicale. Un elenco
cronologicamente collocato tra il 2014 e il 2024,
certamente non esaustivo, ma che prova a coglierne
i protagonisti migliori, o quelli che sono sembrati
i più efficaci a raccontare una certa idea
di "altra America", in bilico tra rievocazione
e rinnovamento.
Un percorso in 25 dischi (2014- 2024)
|||
Sturgill Simpson ||| Metamodern Sounds In
Country Music
Quando:
High Top Mountain, 2014 Dove:
Low Country Sound - Nashville, Tennessee Origini
artista: Jackson, Kentucky (1978)
Giunto sulla scena con l’intenzione apparente
di resuscitare il suono più caratteristico dei
cosiddetti outlaw degli anni Settanta, Sturgill
Simpson, origini famigliari operaie in Kentucky
e una carriera musicale incerta per una decina
d’anni a Nashville, a partire dal secondo album
rivendica subito un ruolo di rottura con i luoghi
comuni del genere. Metamodern Sounds In Country
Music è un disco che traghetta il country
rock verso le galassie della “cosmic music”: poggiandosi
sulle fondamenta solide dell’honky tonk spicca
il volo in direzione della psichedelia e persino
di rivisitazioni personali del synth pop, come
accade nella curiosa cover di The Promise,
brano del trio inglese When in Rome. La regia
produttiva di Dave Cobb si occupa di mantenere
i legami con la tradizione, i musicisti sono quelli
che lo accompagnano in tour e il feeling nella
registrazione si sente, ma in studio Simpson lascia
sbocciare il suo flusso di coscienza, rapito da
testi che riveleranno sempre più il loro contesto
filosofico (il titolo curioso non mente) nel quale
domande su amore, affetti, religione e allucinazioni
sparse si accavvallano in una moderna odissea
americana.
Prova
anche: A Sailor's Guide to Earth (Atlantic
2016)
|||
Lydia Loveless ||| Somewhere Else
Quando:
Bloodshot, 2014 Dove:
Sonic Lounge Studio - Grove City, Ohio Origini
artista: Coshocton, Ohio (1990)
Personalità complessa, sia come individuo che
come artista, tanto da non riconoscersi nel tempo
in una precisa definizione di genere, Lydia
Loveless scardina dal basso il mondo delle
certezze dell’americana proponendosi con un roots
rock dal suono aggressivo e melodico al tempo
stesso, dove il passato punk si infiltra nella
scrittura dall’educazione country. Cresciuta in
una comunità rurale dell’Ohio, in un ambiente
religioso e tradizionale, Lydia reagisce con uno
spirito ribelle che mette in mostra tutte le sue
vulnerabilità, comprese le dipendenze che ne mineranno
in parte la carriera, e le ferite dell’anima,
utilizzando la musica come un grimaldello per
aprire nuove possibilità al desiderio e all’amore.
Somewhere Else, insieme al successivo Real,
forma un dittico di lavori discografici che si
collocano nel solco dell’alternative country più
riottoso ed elettrico, fedeli alla storia stessa
dell’etichetta che l’ha vista crescere artisticamente,
la Bloodshot di Chicago. Senza filtri nelle liriche
e con una produzione che ammicca a un pop rock
più rotondo ma non dimentica le origini cow-punk,
Lydia si muove sul crinale sottile fra tormento
e affermazione di sé.
Prova
anche: Real (Bloodshot 2016)
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Ryan Bingham ||| Fear and Saturday Night
Quando:
Axter Bingham records, 2015 Dove:
Plyrz Studios - Valencia, California Origini
artista: Hobbs, New Mexico (1981)
In apparenza fuori posto, se dovessimo guardare
al suo apogeo artistico con Mescalito,
tutto concentrato nel decennio precedente, è
pur vero che Ryan Bingham appartiene alla
stessa generazione qui in esame, assumendo l'importante
ruolo di un apripista. Fear and Saturday Night
non è necessariamente il migliore album
per coesione e qualità, ma senza dubbio quello
che riassume un'intera poetica, fatta di strada
percorsa, corde di chitarra consumate e schiaffi
ricevuti dalla vita. Nel solco di quella tradizione
dei troubadour americani che ha saputo rinnovare,
Bingham respira ancora la polvere del South West
e torna all'essenza del suo rauco e vissuto country
rock di frontiera. Cadenze da "cavalli selvaggi",
il grande orizzonte del border che si stende davanti
agli occhi, nonostante buona parte di questo materiale
abbia preso vita nell'angusto spazio di un caravan,
senza acqua corrente ed elettricità. La raucedine
della voce è una sorta di cicatrice permanente
e l'amarezza si fa largo cercando però un appiglio,
un varco verso la luce, tra chitarre sabbiose
e armoniche dylaniane, tra country secco come
il deserto e versi che rubano un po' di ispirazione
ai suoi maestri.
Prova
anche: American Love Song (Axter Bingham
2019)
|||
Jason Isbell ||| Something More Than Free
Quando:
Southeastern, 2015 Dove:
Sound Emporium - Nashville, Tennesseee Origini
artista: Green Hill, Alabama (1979)
Il più intimo tra i “southern man” dell’Americana
contemporaneo, Jason Isbell parte da lontano
per arrivare fin sulla vetta: alle spalle il tirocinio
rock come membro dei Drive-By Truckers, palestra
di talenti e di incessanti tour per il paese,
davanti la promessa di una carriera solista che
ne libera definitivamente il talento. Something
More Than Free giunge al culmine di una maturazione
costante come autore, facendo tesoro dei propri
errori e dei demoni interiori, fonte di ispirazione
costante per ballate più riflessive e per una
scrittura roots dai rotondi contorni pop rock.
Formando un dittico irrinunciabile con il precedente
Southeastern, altro album dai forti connotati
autobiografici, Something More Than Free porta
in dote al musicista dell’Alabama un Grammy come
'Best Americana Album', ma soprattutto celebra
una sorta di rinascita umana dell’uomo e dell’artista,
ora più che mai in stretta comunione sonora con
i 400 Unit, la band che ne traduce sia gli aspetti
elettrici, sia quelli acustici da moderno cantore
dei sentimenti, per una musica vissuta pricipalmente
come una forma di catarsi personale.
Prova
anche: Weathervanes (Southeastern 2023)
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John Moreland ||| High On Tulsa Heat
Quando:
Old Omens, 2015 Dove:
Home recording - Bixby & Norman, Oklahoma Origini
artista: Tulsa, Oklahoma (1985)
L’eco di una nuova credibile voce dell’heartland
americano giunge da un ragazzone dell’Oklahoma
cresciuto a Tulsa, dopo un’infanzia trascorsa
a girovagare per il paese al seguito dei lavori
del padre. John Moreland asciuga le sue
ballate fino a raggiungere l’essenza del racconto
country folk, anche se strada facendo la sua musica,
spesso autoprodotta nel proprio studio, si carica
di qualche tremolio elettrico. Accade nella maturazione
di High on Tulsa Heat, album diviso fra
tormenti interiori, tornadi all'orizzonte e storie
dai margini dell'american dream, dove la lezione
di Steve Earle e del John Mellencamp in veste
da folksinger si uniscono alle ombre dei padri
Guy Clark e Townes Van Zandt. Come capita spesso,
il passato da ribelle punk è gettato definitivamente
alle spalle, così che John Moreland canta adesso
di un'America defilata che ancora esiste e soffre
là fuori, immaginario che si infila tra liriche
costruite con cruda sincerità e un suono che alterna
confessioni acustiche, forti accenti rurali e
brevi pulsazioni rock, le stesse che acquisteranno
più spazio nel successivo e altrettanto fondamentale
Big Bad Luv.
Prova
anche: Big Bad Luv (4AD 2017)
|||
Chris Stapleton ||| Traveller
Quando:
Mercury Nashville, 2015 Dove:
Grand Victor Sound - Nashville, Tennessee Origini
artista: Staffordsville, Kentucky (1978)
Con ogni probabilità l’esordio più importante
per l’intero movimento country degli ultimi dieci
anni, compresi premi e riconoscimenti a pioggia,
la comparsa di Traveller e del suo autore
Chris Stapleton tiene insieme due mondi
fino a quel momento descritti secondo linee divergenti:
l’ala “progressista” e d’autore dell’Americana
e quella più mainstream dell’industria discografica
di Nashville. Stapleton le ha frequentate entrambe
e ne conosce tutti i trucchi, avendo galleggiato
per una decina d’anni tra una possibile affermazione
in gruppi di ispirazione bluegrass e southern
rock (soprattutto gli SteeDrivers) e una solida
gavetta dietro le quinte in veste di “ghost writer”
per altri artisti, firmando anche numerosi successi
country e pop. Libero da imposizioni e sicuro
delle conoscenze acquisite, compresi musicisti,
studi e produttore (sempre il fondamentale Dave
Cobb), Stapleton riversa in Traveller tutta
la sua arte e il suo mestiere, bilanciandone miracolosamente
gli aspetti in un album che unisce i punti cardinali
della southern music, lì dove country fuorilegge,
soul e rock acquisiscono una lingua comune, cuciti
insieme dalla voce straripante del protagonista,
combattuto fra tormenti e romanticherie.
Prova
anche: Starting Over (Mercury Nashville
2020)
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Cody Jinks ||| I'm Not the Devil
Quando:
Cody Jinks Music, 2016 Dove:
Sonic Ranch Studio - Tornillo, Texas Origini
artista: Forth Worth, Texas (1980)
A rappresentare un’intera scena locale, quella
texana, che sembra vivere da sempre un’indipendenza
e una forza paragonabili allo stesso orgoglio
tipico della sua gente, Cody Jinks si carica
del compito di rinnovare la tradizione regionale
del country più “outlaw”, imparentato con le sferzate
elettriche dell’honky tonk. Partito come altri
ragazzi della sua generazione dal mondo dell’heavy
metal più estremo, con gli anni Cody ha fatto
ritorno alle radici, lui che è nato in una cittadina
a qualche miglia da Forth Worth. Nella musica
di Jinks echeggiano infatti gli irregolari come
Joe Ely e i fuorilegge come Waylon Jennings, ma
anche gli interpreti più classici del linguaggio
country, da George Jones a Merle Haggard. Con
I'm Not the Devil Cody si procura il sostegno
necessario di una band, The Tonedeaf Hippies,
e fedele alla linea dei “tre accordi e nient’altro
che la verità”, ci restituisce una voce di quelle
baritonali e profonde, quintessenza di questo
stile, oltre a un campionario di cosiddette "heartache
song" e confessioni che denotano la bravura del
personaggio nel vestire i panni del country singer
tormentato da demoni e rimorsi.
Altro frutto maturo dell’Oklahoma, il talento
del poco più che ventenne Parker Millsap
si fa largo sulla scena nazionale con l’omonimo
album del 2014, portandosi a casa una nomination
come “Emerging Artists of the Year” nei circoli
dell’Americana. The Very Last Day è l’album
della consacrazione che ci si aspettava, ma con
il senno di poi anche il suo ultimo vagito nei
territori della canzone roots. Il disco compie
un grande balzo nella direzione di un folk elettrico,
dinamico e palpitante, dove le radici rurali del
musicista si fanno esuberanti e cariche di tentazioni
elettriche, riuscendo nel non facile compito di
mantenere in equilibrio storie e versi di una
certa profondità con canzoni dall'appeal immediato.
Figlio di un pastore pentecostale, cresciuto fra
canti religiosi e regole ferree, Millsap è un
autore giovane che non rinnega il passato, ma
allo stesso tempo ne vuole spezzare le catene:
nella sua musica vibrano spiritualità gospel,
diavolerie blues e ribelle eccitazione rock, ma
è proprio l’insofferenza alle categorizzazioni
e le potenzialità della sua voce che lo allontaneranno
sempre di più negli album successivi dal mondo
Americana.
Prova
anche: Parker Millsap (Okrahoma Records
2014)
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Margo Price ||| Midwest Farmer's Daughter
Quando:
Third Man records, 2016 Dove:
Sun Studio - Memphis, Tennessee Origini
artista: Aledo, Illinois (1983)
Prima di alzare l’asticella delle sue (legittime)
ambizioni di musicista, sposando un’americana
dai tratti più californiani, psichedelici e pop,
assumendo il ruolo di nuova diva della scena alternativa
di Nashville, Margo Price debutta per l’etichetta
di Jack White prestando fede al ruolo di “restauratrice”
di un suono honky tonk ruspante, elettrico e “neo-tradizionalista”
che torna sui passi delle eroine di un tempo,
lungo quella linea che va da Loretta Lynn a Emmylou
Harris. Midwest Farmer's Daughter è tra
le sorprese della stagione perché mantiene fede
fin dal titolo alla biografia di Margo, una sceneggiatura
che sa di classico intramontabile, scritta appositamente
per catturare le attenzioni: le origini in un
paesino sperduto nel mezzo del Midwest, un lontano
zio autore di canzoni per le grandi stelle della
country music, gli studi di danza e teatro al
college, prima di fare i bagagli per Nashville
assaggiando la cruda realtà, tra lavori umili
e sogni di gloria. Il legame con il futuro marito
e autore James Ivey è il punto di svolta, creando
il nucleo della band che farà letteralmente
decollare le sue canzoni, dalla crescita in pubblico
nei club cittadini alla firma del contratto discografico.
Prova
anche: All American Made (Third Man Records
2017)
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Tyler Childers ||| Purgatory
Quando:
Hickman Holler Records, 2017 Dove:
Butcher Shoppe - Nashville, Tennessee Origini
artista: Lawrence County, Kentucky (1991)
Altro figlio prediletto della terra del Kentucky,
vera fucina di talenti che hanno ridato slancio
al gesto country di queste stagioni, Tyler
Childers ne racconta, spesso con taglio autobiografico,
anche i lati più scomodi e tormentati, quel “purgatorio”
che tira in ballo sconfitte personali, dipendenze
e dura vita nell’America rurale chiusa in se stessa.
Lo fa con un vivace piglio musicale country rock
che incrocia tradizione folk appalachiana e bluegrass,
distinguedosi immediatamente nel novero dei colleghi,
tra i quali è da citare naturalmente Sturgill
Simpson, amico di scorribande e conterraneo che
tiene a battesimo la produzione di Purgatory
in quel di Nashville. È l’album che impone su
scala nazionale la figura di Childers, per anni
attivo sulla scena locale tra festival e tour
itineranti, adesso alla ricerca di un’ideantità
che lo traghetti dall’educazione roots di partenza
verso ambizioni sonore (e tematiche) che si faranno
sempre più strada nei dischi successivi. I bozzetti
country dal tono agreste di Purgatory risuonano
tuttavia con una freschezza e una spontaneità
che ancora oggi Tyler Childers non è più riuscito
a replicare.
Prova
anche: Country Squire (Hickman Holler 2019)
|||
Courtney Marie Andrews ||| Honest Life
Quando:
Loose Music, 2017 Dove:
Studio Litho - Seattle, Washington Origini
artista: Phoenix, Arizona (1990)
Dal deserto dell’Arizona, suo luogo d’origine,
alle strade dell’Europa, Courtney Marie Andrews
attraversa un decennio di maturazione artistica
e di vagabondaggi al seguito di altri musicisti
prima di emergere con tutta la grazia confessionale
e il tono cristallino di Honest Life. Non
è il suo primo album, ma è quello che ne delina
con chiarezza il percorso, nuova musa sulle orme
di un classicismo folk rock dalle inflessioni
country d'autore, unendo idealmente il Laurel
Canyon di Joni Mitchell con la Nashville dorata
di Emmylou Harris. Un soprano cristallino e dolcissimo,
una ricchezza fuori del comune nel timbro vocale,
che infonde ancora più verità in quello che canta,
esperienze accatastate nel suo lungo peregrinare
di donna e di musicista. Una accrescimento che
proseguirà anche nel successivo e gemello May
Your Kindness Remain, chiudendo la parentesi
più “Americana” della Andrews, poi tentata da
avventure sonore più sensibili a una scrittura
pop e moderna, pur non rinnegando la tradizione
di partenza.
Prova anche: May Your Kindness Remain (Loose
2018)
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Colter Wall ||| Songs of the Plains
Quando:
Young Mary Records, 2018 Dove:
RCA Studio A - Nashville, Tennessee Origini
artista: Swift Current, Saskatchewan (1995)
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Cantore delle immense praterie del Canada, da
quella provincia del Saskatchewan governata a
suo tempo dal padre politico, Colter Wall
rilancia l’archetipo del singin’ cowboy asciugando
fin nelle ossa le sue ballate, che sanno di spazi
infiniti ed epica western. La voce, un abisso
baritonale, sembra possedere tutta la sapienza
e il peso della vita di un decano e incece appartiene
a un ragazzo poco più che ventenne, rivelatosi
oltre confine (naturale che il fascino di Wall
si estenda fin negli States e nella culla di Nashville,
lì dove incide i suoi dischi negli storici RCA
Studios) con l’album omonimo del 2017. Songs
of the Plain ne ribadisce le coordinate di
integrità e scarna bellezza acustica, così come
l’interegerrima estetica da cavalcata country&western,
soltanto “sporcando” leggermente il suono con
qualche ritmica più accesa e una maggiore cura
degli arrangiamenti. Concepito come un'ode appassionata
alla sua terra, l’album è la maturazione definitiva
dell’autore, con sette brani originali che si
affiancano a una scelta lungimirante di cover
e tradizionali da vero ricercatore d'oro, andando
a formare un corpo unico da intonare intorno al
fuoco di un bivacco.
Prova
anche: Western Swing & Waltzes and Other Punchy
Songs (La Honda 2020)
|||
Brent Cobb ||| Providence Canyon
Quando:
Low Country Sound/RCA, 2018 Dove:
Historic Studio A - Nashville, Tennessee Origini
artista: Ellaville, Georgia (1986)
Dopo un breve peregrinare tra la California, dove
si era trasferito per incidere il suo esordio,
e Nashville, città che lo adotta in qualità di
autore per alcune stelle affermate della country
music cittadina, Brent Cobb torna a casa
e si riconcilia con la terra della Georgia che
lo aveva visto crescere in una piccola comunità
rurale. Providence Canyon poggia lo sguardo
su aspetti autobiografici ridando slancio a quel
country d'autore e fuorilegge degli anni Settanta
che ha ispirato il trentenne Brent, adesso disposto
a “sporcare” con chitarre southern, atmosfere
swamp e ritmi funk la sua musica. A dargli manforte
il più noto cugino e produttore Dave Cobb, sorta
di Re Mida della scena neo-tradizionalista che
sta conquistando la ribalta. Peccato che la firma
musicale di quest’ultimo sull’album non sia sufficiente
a trasformare Brent in uno degli artisti di punta
del genere, perché lo meriterebbe più di altri.
La sua voce credibile racconta storie di ordinaria
America di provincia con quel taglio “indolente”
tipico del sud, là dove una languida ballata da
portico si intreccia con i ritmi boogie del rock’n’roll.
Prova
anche: Southern Star (Ol' Buddy 2023)
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H.C. McEntire ||| Lionheart
Quando:
Merge, 2018 Dove:
Track and Field/ Le Acres Mysticale - Durham,
North Carolina Origini
artista: Durham, North Carolina (1985)
Sorprendente eppure dimesso esordio solista in
casa Merge, etichetta solitamente di primo piano
nel linguaggio indie rock, che aveva già dato
fiducia alla band di riferimento di Heather
McEntire, i Mount Moriah, da Durham, North
Carolina, validissimo gruppo purtroppo passato
del tutto inosservato e dedito alla rilettura
delle radici appalachiane e gospel in chiave "alternativa".
Una voce angelica, dolcemente cullata da sfumature
soul, che oggi prendono definitvamente il sopravvento
in queste nove canzoni dall'animo accorato, piccoli
albori attraversati da una luce tenue e gentile,
che riflettono gli amori musicali e l'educazione
sentimentale della stessa H.C. McEntire, donna
che vive la condizione dell'omosessualità
in un mondo, quello della cosiddetta Bible Belt,
intriso di conservatorismo. Bagnato da languide
pulsioni gospel e radici country soul sudiste,
Lionheart sposta il baricentro musical-geografico
dalla natia North Carolina verso Nashville, il
profondo sud, in direzione di un country rock
adamantino attraversato dai tremori della steel
guitar e di un piano dalle tonalità barrelhouse.
Prova
anche: Every Acre (Merge Records 2023)
|||
Ian Noe ||| Between the Country
Quando:
National Treasury recordings, 2019 Dove:
RCA
Studio A - Nashville, Tennessee Origini
artista: Beattyville, Kentucky (1990)
L’ennesimo talento che il Kentucky regala al nuovo
country rock d’autore americano, Ian Noe
è quello che ne descrive con più penetrante verità
il dolore, l’isolamento e le promesse mancate.
Dalla terra degli Appalachi un pugno di brani
che hanno sedimentato per dieci anni abbondanti,
gli stessi che ci ha messo Noe per emergere dal
nulla della sua Beattyville: così Between The
Country presenta al mondo un giovane autore
dalla biografia travagliata e dalla personalità
complessa (che inciderà non poco anche sull’altalenante
carriera successiva), approdando al debutto perfettamente
maturo e consapevole nel padroneggiare il suo
songwriting. Ancora una volta è Dave Cobb a tirare
le fila, portando Ian negli studi RCA di Nashville
e costruendogli attorno un suono secco e lirico
al tempo stesso, in grado di esaltare il tono
diretto del racconto, da discepolo coscienzioso
di John Prine e Townes Van Zandt. Dal canto suo
Ian Noe passa in rassegna short stories che parlano
di depressione e treni, di rapine in banca, disoccupazione
e alcolismo, ma anche di amore disperatamente
inseguito, mettendo in scena una colonna sonora
degna di un romanzo di Chris Offutt, suo conterraneo.
Prova
anche: River Fools & Mountain Saints (Thirty
Tigers 2022)
|||
Justin Townes Earle ||| Saint of Lost Causes
Quando:
New West, 2019 Dove:
Sound Emporium - Nashville, Tennessee Origini
artista: South Nashville, Tennessee (1982)
Che tremenda ingiustizia uscire di scena così,
proprio quando Justin Townes Earle sembrava
avere trovato un difficile ma meritato equilibrio,
senza più preoccuparsi dell’ombra ingombrante
del padre Steve, e senza dover dimostrare fin
dalla nascita di meritarsi quel Townes di mezzo.
E che titolo dal destino beffardo, il “santo delle
cause perse”, tredici brani che sanno di vecchie
bettole, di honky tonk e juke joint, di country&western,
blues rurale e rockabilly, episodi che echeggiano
l'american music primitiva e selvaggia degli anni
Cinquanta, le incisioni per la Sun records e i
fantasmi di Hank Williams, ma parlano dell’America
di oggi. Un disco scuro e socialmente spietato
nelle liriche, che ci parlano della depressione
a Flint, famosa città operaia del Michigan, di
inquinamento e criminalità, di esclusione sociale,
del lato oscuro della strada, di scelte sbagliate.
Avvicinandosi alla maturità dei quarant’anni,
Justin Townes Earle aveva forse trovato la sua
piena dimensione artistica, forse anche il suo
posto nel mondo, ma i demoni erano sempre lì in
agguato e se lo sono portati via.
Prova
anche: Kids in the Street (New West 2017)
|||
Charley Crockett ||| Welcome to the Hard Times
Quando:
Son Of Davy, 2020 Dove:
Soil Of The South Studio - Valdosta, Georgia Origini
artista: San Benito, Texas (1984)
Personaggio diviso tra realtà e finzione, introdotto
da una biografia che di per sé è già una sorta
di odissea americana che attraversa buona parte
degli archetipi di un certo mondo musicale e narrativo,
Charley Crockett è un texano adottato dalla
strada e attirato dall’idea di recuperare l’intero
spettro dei linguaggi dell’american music tradizionale.
Con una produzione a dir poco prolifica (si inventa
anche una sorta di alter ego, Lil G.L., con cui
pubblica prevalentemente album di cover), è difficile
isolare un momento rivelatore nella sua discografia,
ma Welcome to the Hard Times resta un buon
candidato, opera che ne amplifica il nome sulla
scena nazionale con la sua sintesi di honky tonk
e country&western di vecchia scuola solcato da pigre
inflessioni bluesy e dolci malinconie soul, ora
più acustico e rilassato, altre volte più elettrico
e baldanzoso. “Conservatore” nella facciata sonora
e raffinato conoscitore della storia musicale
che lo ha preceduto, Crockett recupera la Nashville
dorata a cavallo tra Sessanta e Settanta per raccontare
con disperazione e affetto il noir della sua vita.
Prova
anche: $10 Cowboy (Son of Davy 2024)
|||
John R. Miller ||| Depreciated
Quando:
Rounder, 2021 Dove:
Sound
Emporium - Nashville, Tennessee Origini
artista: Hedgesville, West Virginia (1985)
In prospettiva uno dei più interessanti folksinger
emersi dalle lande dell’Appalachia in questi anni,
seppure ridimensionato in parte dalla strttura
troppo scarna dell’album successivo, John R.
Miller celebra in Depreciated, esordio
per il prestigioso marchio Rounder, le sue radici
famigliari affogate nella West Virginia, la gavetta
in posti sperduti e “spaventosi”, l’attaccamento
a un territorio che porta con sé storie antiche
e una tremenda voglia di riscatto. Per lui spende
parole di elogio il collega Tyler Childers e ne
capiamo i motivi: la voce di Miller contiene uno
spessore e una “pigrizia” che trasmettono i duri
colpi ricevuti dalla vita nonostante la giovane
età, mentre la musica procede per trame country
folk d’autore, che non disdegnano talvolta di
imboccare una via più elettrica, la stessa che
lascia scorrere passaggi blues sporcati di accenti
sudisti e psichedelici. Un disco abitato da uno
spirito antico, eppure lontano dalla semplice
calligrafia folk, Depreciated è un compendio
di caratteri e suoni che arrivano dal cuore di
un songwriter che appare assai più maturo di quanto
non sveli la sua età anagrafica. I maestri John
Prine e Guy Clark ne andrebbero fieri.
Prova
anche: Heat Comes Down (Rounder 2023)
|||
Sierra Ferrell ||| Long Time Coming
Quando:
Rounder, 2021 Dove:
Minutia
Studios - Nashville, Tennessee Origini
artista: Charleston, West Virginia (1988)
Rivelazione fulminea quella di Sierra Ferrell,
o almeno così appare all’appuntamento della vita,
con il suo debutto per il marchio Rounder. Alle
spalle però ci sono almeno una decina d’anni di
apprendistato, due album indipendenti e un vagabondaggio
americano in piena regola, passando dalla sua
nativa West Virginia al Texas, da New Orleans
fino al sogno dorato di Nashville. Animo da busker,
passione per ogni linguaggio della tradizione,
Sierra arriva sulla scena con la sua voce clamorosa,
a cui tutto è concesso. E Long Time Coming
non si lascia sfuggire l’occasione di strizzare
l’occhio al “vintage” country, senza per questo
rinunciare alla modernità della sua figura, una
ragazza che in poco tempo sarà pronta a spingersi
più in alto, duettando con Black Keys, Zach Brown
e altri personaggi del mainstream nazionale. Anche
la sua musica subirà qualche aggiustamento, ma
in Long Time Coming è ancora rapita da
un accattivante mescolanza di sonorità vecchio
stile, che rievocano l’America da cartolina degli
anni Cinquanta, il country rurale e l’honky tonk
che ondeggiano sulle note dello swing, approcciando
il revival con uno spirito camaleontico.
Prova
anche: Trail of Flowers ( Rounder 2024)
|||
John Fullbright ||| The Liar
Quando:
Blue Dirt records, 2022 Dove:
The
Farm - Pawnee, Oklahoma Origini
artista: Bearden, Oklahoma (1988)
La città è Okemah, Oklahoma, il santo protettore
è il concittadino Woody Guthrie, che un giovane
John Fullbright si ritrova alle spalle
come guida spirituale, prima di conquistare la
ribalta nel festival locale dedicato proprio alla
memoria del grande folksinger americano. Da lì
in avanti la strada per l’affermazione non sarà
così spianata, nonostante una nomination ai Grammy
con il suo secondo album, From the Ground Up.
Ci vorranno quasi otto anni dall’intimo e cantautorale
Songs al qui presente Liar per tornare
in scena, crisi di identità e pressioni artistiche
a fare da muro. Fullbright si riprende tutto con
gli interessi, chiama un po’ di amici in studio,
baratta la chitarra per il pianoforte e aproccia
la canzone folk (rock) mettendo insieme Bob Dylan
e Randy Newman, il Texas di Townes Van Zandt con
la Louisiana di Dr. John. Tra valzer country,
tirate blues e ballate pianistiche, l’album si
rivela come il lavoro più espressivo e completo
nel mettere in mostra il campionario del songwriter
dell’Oklahoma, sospeso fra confessioni esistenziali
e commento sociale.
Prova anche: From the Ground Up (Blue Dirt
2012)
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Arlo McKinley ||| This Mess We're In
Quando:
Oh Boy records, 2022 Dove:
Sam
Phillips Rec. Studio - Memphis, Tennessee Origini
artista: Cincinnati, Ohio (1980)
L’ultimo giovane artista messo sotto contratto
da John Prine prima della sua scomparsa, così
narra la storia, Arlo McKinley da Cincinnati,
Ohio approda all’oasi felice e indipendente della
Oh Boy records con l’impronta del folksinger di
vecchio stampo, osservatore delle ferite dell’anima
e narratore di un’America rurale in decadenza.
Cresciuto nella chiesa Battista e tra i canti
gospel di famiglia, McKinley porta quella sensibilità
a contatto con il suo spirito un po’ punk e nomade,
traducendo il tutto in ballate ombrose, colte
in chiaroscuro, prima con lo scarno realismo country
di Die Midwestern, poi con il dolente folk
rock di This Mess We're In, entrambi incisi
a Memphis negli storici studi della Sun sotto
la direzione del produttore Matt Ross-Spang e
di una squadra di musicisti che vantano trascorsi
con Wilco e Lucero. La morte lo circonda, quella
della madre innanzitutto, e poi di alcuni amici:
McKinley le esorcizza con una catarsi musicale
che si sviluppa in una decina di taglienti preghiere
roots rock dal passo lento e avvolte in un canto
malinconico.
Prova
anche: Die Midwestern (Oh Boy 2020)
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Margo Cilker ||| Valley Of Heart’s Delight
Quando:
Loose music, 2023 Dove:
Bocce
studio - Vancouver, Washington Origini
artista: Santa Clara Valley, California (1993)
Trentenne di origini californiane che mette radici
in un ranch dell’Oregon, duemila anime nell’estremo
Ovest americano, Margo Cilker raccoglie
il testimone di Emmylou Harris e Nanci Griffith
diventando nell’arco di soli tre anni una delle
giovani voci alla guida dell’Americana al femminile.
Tanto passa dal suo apprezzato esordio di Pohorylle
alla piena maturità di autrice di Valley of
Heart's Delight, nel quale Margo conferma
il sodalizio artistico con la collega Sera Cahoone
(che cura la produzione di entrambi i dischi)
e libera le sue emozioni alla ricerca di un tempo
perduto, quello della famiglia in California.
Il contrasto fra la nostalgia di casa e l’appartenenza
alla strada della musicista errante è al centro
di un album dalla misurata poetica rootsy. La
voce e il suono dei grandi spazi americani sono
in Margo Cilker una diretta emanazione del suo
animo gentile e acquistano il sapore agrodolce
di un country rock diviso tra vecchia e nuova
strada, immerso in ballate dalla candida naturalezza.
Prova
anche: Pohorylle (Loose Music 2021)
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Jaime Wyatt ||| Feel Good
Quando:
New West, 2023 Dove:
Electric
Deluxe Recorders - Austin, Texas Origini
artista: Santa Monica, California (1985)
Per qualche anno in cerca di identità artistica
e anche di un difficile equilibrio personale,
indecisa se diventare una delle tante nuove reginette
dell’honky tonk o una reincarnazione dello scintillante
country rock di lontane stagioni a Los Angeles,
la californiana Jayne Wyatt attraversa
il guado con l’aiuto del produttore Adrian Quesada
(Black Pumas) e si riprende il completo controllo
della sua vita (eccessi, condanne e dipendenze
varie che ne hanno influenzato anche il songwriting),
per inneggiare infine alla rinascita con un intreccio
di fremiti country soul e spavalderia rock che
si incontrano esattamente a metà strada. Di ritorno
dall’inferno Jaime dichiara adesso di sentirsi
bene, e in Feel Good guida la band in una
vampa southern soul sospesa tra la Memphis della
Stax, le mura di Muscle Shoals e l’intera Nashville
dei rinnegati fuorilegge degli anni Settanta.
Jaime Wyatt canta (benissimo) e racconta se stessa
credendoci veramente, e questo fa la differenza,
anche quando sceglie di indagare il buio e non
la luce della sua anima.
Prova
anche: Neon Cross (New West 2020)
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Taylor McCall ||| Mellow War
Quando:
Black Powder Soul, 2024 Dove:
Silent
Desert Studio - Nolensville Tennessee Origini
artista: Greenville, South Carolina (1997)
Giovane songwriter originario di Greenville, South
Carolina, Taylor McCall per qualche anno
insegue la natura selvaggia americana e come un
novello Thoreau va alla ricerca della sua “vita
nei boschi”, assecondando le passioni per la pesca
e l’escursionismo tra i grandi orizzonti del Montana.
Quando decide che ne ha abbastanza, fa ritorno
a casa e rimette in circolo le sue canzoni. Il
tempo di un ep e due album e il suo nome si impone
sull’estesa mappa dei talenti dell’attuale scena
roots d’autore. Mellow War è un piccolo
prodigio nel quale contano i silenzi, i rintocchi
acustici della chitarra, ma anche le ambientazioni
swamp e il controcanto soul che i musicisti incontrati
a Nashville hanno saputo offrire al protagonista.
Quest’ultimo da parte sua offre il dettaglio tutt’altro
che trascurabile di una voce che sa di racconto
country bagnato nelle acque benedette della southern
music e del gospel, quella stessa vode che è
strumento fra gli altri e che Taylor McCall riesce
ad esaltare immergendola nelle cadenze risonanti
di queste ballate. Il calore dell’incisione e
l’intensità dell’interprete sono gettate in primo
piano, sfruttando al massimo la potenza con il
minimo indispensabile degli arrangiamenti.
Prova
anche: Black Powder Soul (Thirty Tigers
2021)
Dagli esordi più tormentati e a “bassa fedeltà”,
che l’avevano segnalata fra le voci nuove dell’indie
folk al femminile, Katie Crutchfield, in arte
di Waxahatchee, abbraccia definitivamente
quella svolta “tradizionalista” che da più parti
scorreva sottotraccia nel suo percorso musicale
precedente. Riconciliatasi non solo con se stessa
e i suoi demoni, spesso fonte di ispirazione per
liriche a fior di pelle, ma con ogni probabilità
anche con le sue origini (nata a Birmingham, Alabama,
da cui deriva il curioso nome d’arte, un omonimo
fiume locale), Katie infoltisce i nuovi brani
di una vivacità roots rock mai banale, in perfetto
equilibrio tra passato e presente, tra gesto indipendente
e country d’autore. Muovendosi attraverso un songwriting
sempre molto autobiografico, con versi che riflettono
brevi confessioni dell’anima e illuminazioni di
un momento, potenti nella loro palese fragilità,
Tigers Blood svela una confidenza con i
propri sentimenti che è anche lo specchio di una
maturità artistica, l’acquisizione di una maggiore
sicurezza che costituisce una vittoria su tutta
la linea.
Prova
anche: Saint Cloud (Merge 2020)
Altri Travellers
(appendice)
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