Il cognome forse tradisce origini italiane, non
sappiamo, più sicura invece è la provenienza dal South West americano
e dall’Arizona in particolare, luogo di fascinanzioni desertiche e di
“wilderness”, come direbbero da quelle parti, nota biografica che non
manca di essere rimarcata per descriverne le conseguenze sulla musica
di Kassi Valazza. Perfettamente a suo agio nella scuderia della
Loose (che pubblica il disco sul mercato europeo), tra altre presenze
femminili che rinnovano il linguaggio country folk ai confini con certa
psichedelia californiana da Laurel Canyon (si veda la recente Angelica
Rockne, nonché la già affermata Courtney Marie Andrews), Kassi
infila dieci ballate che sanno di flusso di coscienza e introspezione,
come nella migliore tradizione del genere, l’abito lirico più adatto per
costruirci intorno questo sound country rock morbido e vagamente imparentato
persino con alcuni effluvi di folk inglese.
I paragoni stilistici scomodati in occasione della pubblicazione di Knows
Nothing (terzo episodio dopo l’esordio del 2019 Dear Dead Days
l’ep del 2022 Highway Sounds) sono inevitabili ma anche pericolosi
come una gabbia, almeno di non cadere in una giradola di citazioni: meglio
semplicemente ribadire che Kassi Valazza si accoda a una felice stagione
di interpreti femminili dell’Americana, con una voce amorevole che spesso
fa la differenza e soprattutto un gruppo di spalla, TK
& the Holy Know-Nothings (da cui probabilmente il titolo stesso
dell’album), che in qualche passaggio del disco riesce a trasportare la
protagonista fuori dall’ordinario. L’incontro è avvenuto a Portland, Oregon
dove Kassi si è trasferita da qualche anno, in una comunità musicale sempre
molto vivace e attenta ai richiami della tradizione country rock, della
quale gli stessi TK & the Holy Know-Nothings sono ambasciatori.
Qui meno ruspanti e più rispettosi dello stile languido di Kassi, la accompagnano
in un viaggio un po’ onirico e un po’ nostalgico che si apre sulle note
accoglienti di una Room in the City,
canzone che pare uscire dalla brezza country della Nashville più classica,
a braccetto con le carezze, tra acustica e soffio di armonica, di Rapture.
L’interprete c’è tutta, la musica è teneramente passatista, ma brilla
di sentimento (al terzo tentativo Corners rispetta il copione,
e altri ne seguiranno con Song for a Season, leggermente spruzzata
dai fiati, e Canyon Lines, forse l’episodio che ha più solleticato
gli agganci con il linguaggio del british folk), anche se l’uniformità
del repertorio rischia di non far emergere il lavoro della band, che invece
al quarto brano arriva dritta in buca con i sei minuti di calma eccitazione
psichedelica di Watching Planes Go By,
le chitarre di Jay Cobb Anderson e Taylor Kingman a trascinare Kassi Valazza
in un canyon elettrico che ricorda la San Francisco dei Quicksilver Messenger
Service.
Spunti “vivaci” nella scaletta di Knows Nothing che riemergono,
tradotti con placida andatura country rock, in Smile e nella zigzagante
Welcome Song, da qualche parte fra
le muse Emmylou Harris e Sandy Denny: mondi sonori solo in apparenza divisi
da un oceano, ma sappiamo quanto vicini nel far vibrare simili corde dell'anima.