Doug Paisley
Strong Feelings
[
No Quarter
2014]

www.dougpaisley.com

File Under: alt-country, singer-songwriter's world

di Fabio Cerbone (31/01/2014)

Che vi sia un rapporto molto privilegiato (e quanto mai intenso) tra il Canada e la musica roots d'autore ce ne siamo accorti da parecchio te,po, contando piccole scene e altrettanti songwriter che hanno dato slancio ad un genere spesso mummificato nelle sue sedi più naturali, da Austin a Nashville. Potremmo aggiungere tranquillamente il nome di Doug Paisley, originario di Toronto, a quella lunga stirpe che parte dai semi gettati dalla Band e approda al country rock d'antan dei Blue Rodeo. Non sono nomi citati a caso, evidentemente, perché nel terzo episodio discografico di Paisley l'organo e la leggenda stessa di Garth Hudson, nonché il basso di Bazil Donovan sono parte attiva di un progetto che richiama apertamente il rock pastorale di quelle formazioni, così come tutta una lunga tradizione di autori a metà strada tra le fortune elettriche degli anni 70 e la ricerca interiore del migliore folk rock. Strong Feelings è un disco in un certo senso di rottura o di svelamento per lo stesso Doug Paisley, che dalle collaborazioni con il mondo del folk indipendente, dall'ombra stessa di Bonnie Prince Billy, suo mentore (che ancora echeggiava nel già ottimo Constant Companion), sembra essersi affrancato in maniera definitiva, cogliendo oggi una sfumatura più classica.

Non farà piacere ai cercatori di malinconie a bassa fedeltà, ma il contenuto di Strong Feelings torna in fondo alle radici del musicista, quando in duo con Chuck Erlichman scavava nel repertorio old time e restava affascinato dal country primigenio degli Stanley Brothers. Adesso che Paisley è divenuto autore sensibile e raffinato cantore di memorie, sentimenti e passioni (il sipario cala, come copione richiede, tra le corde pizzicate e le carezze di Because I Love You, in coppia con la voce di una rediviva Mary Margaret O'Hara), come fosse accodato ad una delle più peculiari carratteristiche nazionali, la sua musica sembra l'anello di congiunzione tra l'alternative country del 2014 e le confessioni del Neil Young di Harvest, o meglio ancora di caratteri timidi, introversi e troppo spesso trascurati come Jesse Winchester (una cover di Biloxi non avrebbe affatto stonato in scaletta) e David Blue, persino di qualche troubadour dimenticato, James Talley suggerirei per dovere di giustizia. È l'effetto di ballate che giostrano su tonalità pastello, effluvi di pianoforte e accenti twang delle chitarre, cominciando da una rivelatrice, sorniona Radio Firl, meraviglia e sintesi del nuovo Doug Paisley.

Incantevole nel suo dolce spleen d'altri tempi, nella prima parte l'album attraversa umori pensosi e raccolti, dall'organo ondeggiante di una Song My Love Can Sing che torna ad inseguire la lezione dello stesso Bonnie Prince Billy (la presenza di Emmett Kelly alle chitarre è un altro legame innegabile) alla dichiarazione disarmate di Only Love, passando per la radiosa, bucolica melodia a passo di country elettrico di It's Not Too Late (To Say Goodbye), dove la stampella della seconda voce femmile accresce gli agganci con stagioni passate. Giunto al centro della sua poetica, Paisley si abbandona all'eleganza più affettata e sfuggente, tra gli svolazzi jazzy del piano e l'inatteso, morbido solo di sax nel finale di What's Up is Down, fra la delicata sospensione di Old Times, nostalgica sin dal titolo, e il fragile involucro di Growing Souls, forse la più connessa con il linguaggio indie folk. Una parentesi, che avrebbe rischiato di inchiodare Strong Feelings ad una sorta di monocolore, per fortuna scossa nella volata finale da due degli episodi più elettrici e intriganti della raccolta: To and Fro è difatti un country rock rabbuiato e sconnesso come solo i Crazy Horse sanno rendere magistralmente, lanciato tra i fremiti nervosi delle chitarre, mentre Where the Lights Take You un piccolo capolavoro di equilibri che da un lato ricorda il recente cambio di rotta di Jason Isbell e dall'altro si imbizzarisce un poco nell'epica coda psichedelica.

Dieci canzoni minute, piccoli dettagli, niente sfoggio di abbondanza, solo versi e idilliaca american music che scalda con pazienza da artigiano.


    


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