How Can I Stop è il titolo di un brano
contenuto in Bridges to Babylon, anno 1997; un bel
po’ di tempo fa, ma quel ponte era già lungo trentacinque
anni. Pur non essendo in questa specifica scaletta e appartenendo
a una delle tante preistorie dei Rolling Stones, il
pezzo induce, oggi come allora, a interrogarsi piuttosto che
sul “quando”, sul “come” faranno Mick e soci a fermarsi, soprattutto
sul “come faremo noi”, dal 1962 in qua, a fare a meno della
lingua più celebre di tutte. Ormai è una specie di gioco,
chiedersi se andranno avanti fino alla fine dell’anno, del
decennio o fino a numero palindromo, 6226; roba da bingo.
In attesa del prossimo inevitabile tour, mentre si inaugura
il settimo decennio, ecco l’ennesimo “live”, termine questo
preceduto dallo stesso “Grrr” che designava un’antologia del
2012. E qui i discorsi si azzerano, la musica getta un velo
su tutto, storia, cronaca, chiacchiere e nostalgia, come per
ogni disco o concerto del loro percorso, live compresi, al
netto di alti e bassi; e sono tantissimi, dai tempi dei tour
collettivi e di Got Live If You Want It, agli stadi
gremiti dei vari No Security e Live Licks. Non
volendo scomodare Winston Churchill, gli Stones sono in tour,
oltre che da sempre, ininterrottamente dal 2012, quando alle
prese con il “50 & Counting Tour”, praticamente senza soluzione
di continuità con i successivi “14 On Fire” e “Zip Code”;
ne sarebbero seguiti altri, con filtro o senza. Chi segue
(assiduamente) il gruppo sa bene che si tratta di un copione
rodato, consolidato e organizzato a puntino; sempre quello,
ma un copione di qualità immensa.
In questa sede, invece che attingere da più performance, si
opta per l’evento unico, nella fattispecie il concerto tenuto
il 15 dicembre 2012 al Prudential Center di Newark, New Jersey.
Molto giusto, primo perché ancora con la formazione classica,
comprendente il compianto Charlie
Watts (scomparso, ricordiamo, nel 2021); secondo,
perché si tratta di un eccellente concerto, uno di quelli
che mette d’accordo passato e futuro, con tutti gli ingredienti,
gli ospiti e i dettagli al posto giusto. Mentre prendiamo
atto dei formati disponibili (3 Lp, 2Cd, DVD e Cd, Blu-ray
etc.), i contenuti ci riportano alla band che “sfornava i
singoli più formidabili”. Quei singoli sono ancora sugli scaffali,
appartengono all’oggi. “Hey, are you feeling good?”: l’ingresso
è potente, sono in scena una dietro l’altra Get Off Of
My Cloud e The Last Time, roba del ’65, quando
i ragazzi erano maestri nel superarsi di volta in volta. Come
It’s Only Rock’n’Roll e Paint It Black che
seguono a ruota, chitarre fendenti, ritmica incalzante e un
Jagger in splendida forma, ci mancherebbe.
D’altra parte, chi segue (costantemente o meno) gli Stones
questo si aspetta, barriere del tempo infrante e il distillato
del rock più puro, quello che passa per Tumbling
Dice (ospite Bruce Springsteen), Start Me Up,
classici dell’era “di mezzo”; o per una cocente Gimme
Shelter, presente Lady Gaga (si rimpiange un po’
Lisa Fisher), per il blues rovente di Going Down (dalla
penna di Freddie King) e dell’impareggiabile Midnight Rambler,
con la collaborazione, rispettivamente, di John Mayer e Mick
Taylor. O ancora, quello che passa per classici inevitabili,
Honky Tonk Women, You Can’t Always Get What You
Want, Wild Horses, Sympathy For The Devil,
l’ammiccante Miss You, per l’hit (al tempo) attuale
Doom And Gloom, per l’intermezzo
di Keith Richards con Before They Make Me Run e Happy,
per l’inedita, eccellente Who Do
You Love? di Bo Diddley insieme ai Black Keys (“questa
non l’abbiamo mai fatta”), per il roboante, magnifico finale
a base di Jumpin’ Jack Flash, Brown Sugar, Satisfaction.
E infine per i musicisti, Keith, Ronnie, Charlie, Darryl e
tutti gli altri, per Mick Jagger, re indiscusso delle scene
che ringrazia e presenta ancora la band al pubblico. Che dire:
“ladies and gentlemen, The Rolling Stones”, in uno dei live
(forse) più belli.