Tom Petty era un uomo del sud, non lo
ha mai rinnegato, neppure quando guardava il mondo dalle colline
dorate di Hollywood. La fortuna l’aveva trovata in California,
ma le sue radici restavano laggiù in Florida, a Gainsville,
cittadina distante mille miglia dall’eccitazione e dal business
di Los Angeles. Forse per questo motivo ha sempre mantenuto
una schiettezza e un’integrità morale che non erano esattamente
la prima preoccupazione di molti colleghi impegnati a recitare
il ruolo di rock’n’roll star.
Viste queste origini, la country music ha sempre fatto parte
dell’orizzonte di Tom e dei fedeli Heartbreakers, anche quando
non lo davano a vedere in maniera così esplicita. Un’impronta
che restava sotto pelle, e che forse è emersa con più chiarezza
negli anni della maturità, tra i dischi a firma solista e
la ripresa dell’avventura con i Mudcrutch, lì dove il rocker
ha incontrato il folksinger e dove i fantasmi di Hank Williams
e Johnny Cash si sono riconquistati la scena. Con quest’ultimo
poi l’incontro non si è svolto solamente nei sogni, ma ha
preso la forma concreta di una meravigliosa simbiosi sonora,
quella dei celebrati American Recordings, sotto la
guida di Rick Rubin.
Figuriamoci dunque se non appaia sensato, almeno sulla carta,
un tributo “country” alla memoria del nostro e delle sue canzoni,
patrimonio nazionale entrato nell’intimo di tanti musicisti,
così come annuncia trionfalmente questo Petty Country:
A Country Music Celebration of Tom Petty. A maggior
ragione se sono coinvolti come curatori dell’opera, con l'approvazione
della famiglia stessa, nomi quali George Drakoulias e Randall
Poster, per anni al fianco di Tom Petty, produttori che ne
conoscono a memoria il suono e l’anima. Parte da loro l’iniziativa
e a loro va imputata dunque la scelta, discutibilissima anche
se comprensibile per questioni di “visibilità” commerciale,
di pescare a piene mani nel mondo della Nashville tirata a
lucido, come garantisce lo stesso marchio della Big Machine
Records, un colosso discografico da quelle parti, fra suoni
che hanno più a che fare con il mainstream pop americano che
non con il cuore della faccenda, per fortuna con qualche apprezzabile
eccezione lungo il percorso.
Così la celebrazione di cui sopra è certamente
garantita, ma la qualità musicale assai meno, tra molti bassi
e pochi alti, con versioni (venti in tutto, scaletta generosa)
che, quando se la cavano, restituiscono una copia carbone
dell’originale e quando esagerano, non fanno che reiterare
lo stereotipo di una country music più attenta alla forma
che alla sostanza. Peccato perché le premesse per una buona
riuscita c’erano tutte, vista l’apertura affidata a Chris
Stapleton e al suo autentico tornado southern rock, quello
che si impossessa di I Should Have Known It, brano
tratto dall'album Mojo e riproposto con la stessa furia
elettrica. Altro che country, verrebbe da dire. Ma la trappola
è dietro l’angolo, con Thomas Rhett che riduce Wildflowers
a una piacevole e innocua marcetta hillbilly dai sapori rurali
dove scompare la fragile intimità dell’interpretazione originale.
Runnin’ Down A Dream, rimessa alla voce della giovane
country star Luke Combs, è proprio una di quelle copie ben
fatte e senza anima che ascolteremo in scaletta: ricalca il
modello di Full Moon Fever e di fatto non aggiunge
un briciolo di personalità. Accade anche con Here
Comes My Girl affidata a Justin Moore, che si “limita”
a gonfiare il suono ma non esce dall’imitazione, come del
resto una I Won’t Back Down dei Brothers Osborne che
addirittura insegue per filo e per segno lo stesso sound da
tramonto degli anni 80 dell’originale. Appunti non molto dissimili
potremmo scrivere sugli inconsistenti Lady A (una volta conosciuti
come Lady Antebellum, poi rivisti dalla smania del politically
correct) di Stop Draggin’ My Heart Around, oppure sul
trattamento country rock di maniera che Dierks Bentley riserva
a un capolavoro come American Girl (chissà cosa penserà
di questa versione Roger McGuinn, che un tempo ebbe a confonderla
con una propria canzone parlandone con Petty in persona),
mentre la Learning To Fly della Eli Young Band è semplicemente
banale e trascurabile.
Riescono a uscire dall’angolo, con un po’
di grinta, ma anche troppa enfasi tipicamente nashvilliana,
la coppia formata da Wynonna Judd e Lainey Wilson in Refugee,
così come dimostrano di leggere con coscienza il copione Ryan
Hurd e Carly Pearce in Breakdown, atteggiamento che
invece non considerano affatto nè Dolly Parton, voce sempre
incredibile ma arrangiamento ampolloso oltre ogni sopportazione,
che lascia evaporare tutta l’intensità di un classico come
Southern Accents (con buona pace dell’indimenticabile
incisione che fece Johnny Cash...), né tanto meno i disastrosi,
quasi pestiferi The Cadillac Three che rovinano letteralmente
il gioiello Free Fallin’. Tra le giovani leve gli unici
a non uscire con le ossa rotte sembrano i Midland, trio di
Dripping Springs, Texas che rimette al centro il rock’n’roll
e le chitarre con una energica rilettura di Mary Jane’s
Last Dance.
Eppure per ricevere davvero qualche emozione e al tempo stesso
ritrovare in controluce un po’ dello spirito di Tom Petty
e del suo songwriting, occorre inevitabilmente rivolgersi
a quei pochi partecipanti che non arrivano dall’universo della
Nashville imbellettata, o che ne sono stati una sorta di contraltare
“fuorilegge”: per esempio, ci vuole un uomo di novant’anni
come Willie Nelson (insieme al figlio Lukas) per infondere
un po’ di grazia in Angel Dream No. 2 (dal trascurato
album/colonna sonora She’s The One), uno di quasi settanta
e che ne ha viste di tutti colori come Steve Earle per prendere
letteralmente per le corna e fare sua Yer So Bad, o
ancora un discepolo quale il redivivo Jamey Johnson per ripotare
con i piedi per terra la poetica country folk di I Forgive
It All (dal secondo album dei Mudcrutch), così come il
sempre brillante Marty Stuart, accompagnato dai fidi Fabulous
Superlatives, che riesce a far brillare I Need To Know.
Sono tra le poche note veramente positive
di questo Petty Country: A Country Music Celebration
of Tom Petty, in compagnia delle più contemporanee
voci femminili di Margo Price e Rhiannon Giddens: la prima
sceglie intelligentemente un brano fuori dai radar come Ways
To Be Wicked, successo “donato” al tempo da Tom Petty
e Mike Campbell ai Lone Justice di Maria McKee e che la Price
fa rinascere con la stessa determinazione soul rock; la seconda
offre l’adattamento più personale (finalmente!) di tutto il
tributo con una sorprendente versione di Don’t Come Around
Here No More, tra folk cameristico e straniante vocalità
in simbiosi con il Silkroad Ensemble. Sarebbe potuta finire
qui, con un colpo di coda ammirevole a risollevarne le sorti,
e invece i produttori hanno deciso di calare il sipario chiamando
il nome di grido, George Strait, e la sua registrazione dal
vivo di You Wreck Me, moscissima e capace di eliminare
qualsiasi traccia di groove e tutto il tiro rock micidiale
che gli Heartbreakers avevano infuso nell’originale su Wildflowers.
Non badando agli introiti e al richiamo del grande pubblico
(ma non facciamo finta che non sia importante, non siamo così
ingenui), viene da pensare che Petty Country: A Country
Music Celebration of Tom Petty sarebbe stata tutta un’altra
questione se avesse aggiunto ben altri outsider e rock’n’roll
band, più coerenti con la storia e il messaggio musicale di
Tom Petty: dai Drive By Truckers ai Lucero per arrivare ai
Wilco, da Sturgill Simpson a Tyler Childers, passando per
Jason Isbell, Ryan Bingham, Daniel Romano e mille altri che
potete aggiungere anche voi, nulla ci toglie dalla testa il
pensiero che noi ascoltatori ci saremmo senz’altro divertiti
di più, e forse anche Tom, dovunque si trovi adesso, avrebbe
sorriso soddisfatto, pensando che la sua eredità fosse finita
in buone mani, quelle che ne hanno veramente capito lo spirito.
La scaletta, i protagonisti
I Should Have Known It, Chris Stapleton Wildflowers, Thomas Rhett Runnin’ Down A Dream, Luke Combs Southern Accents, Dolly Parton Here Comes My Girl, Justin Moore American Girl, Dierks Bentley Stop Draggin’ My Heart Around, Lady A I Forgive It All, Jamey Johnson I Won’t Back Down, Brothers Osborne Refugee, Wynonna Judd feat. Lainey Wilson Angel Dream No. 2, Willie Nelson & Lukas Nelson Learning To Fly, Eli Young Band Breakdown, Ryan Hurd feat. Carly Pearce Yer So Bad, Steve Earle Ways To Be Wicked, Margo Price feat. Mike Campbell
Mary Jane’s Last Dance, Midland Free Fallin’, The Cadillac Three feat. Breland I Need To Know, Marty Stuart And His Fabulous Superlatives
Don’t Come Around Here No More, Rhiannon Giddens feat.
Silkroad Ensemble and Benmont Tench You Wreck Me (Live), George Strait