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Petty Country: A Country Music Celebration Of Tom Petty
[Big Machine 2024]

Sulla rete: tompetty.com

File Under: Made in Nashville


di Fabio Cerbone (26/06/2024)

Tom Petty era un uomo del sud, non lo ha mai rinnegato, neppure quando guardava il mondo dalle colline dorate di Hollywood. La fortuna l’aveva trovata in California, ma le sue radici restavano laggiù in Florida, a Gainsville, cittadina distante mille miglia dall’eccitazione e dal business di Los Angeles. Forse per questo motivo ha sempre mantenuto una schiettezza e un’integrità morale che non erano esattamente la prima preoccupazione di molti colleghi impegnati a recitare il ruolo di rock’n’roll star.

Viste queste origini, la country music ha sempre fatto parte dell’orizzonte di Tom e dei fedeli Heartbreakers, anche quando non lo davano a vedere in maniera così esplicita. Un’impronta che restava sotto pelle, e che forse è emersa con più chiarezza negli anni della maturità, tra i dischi a firma solista e la ripresa dell’avventura con i Mudcrutch, lì dove il rocker ha incontrato il folksinger e dove i fantasmi di Hank Williams e Johnny Cash si sono riconquistati la scena. Con quest’ultimo poi l’incontro non si è svolto solamente nei sogni, ma ha preso la forma concreta di una meravigliosa simbiosi sonora, quella dei celebrati American Recordings, sotto la guida di Rick Rubin.

Figuriamoci dunque se non appaia sensato, almeno sulla carta, un tributo “country” alla memoria del nostro e delle sue canzoni, patrimonio nazionale entrato nell’intimo di tanti musicisti, così come annuncia trionfalmente questo Petty Country: A Country Music Celebration of Tom Petty. A maggior ragione se sono coinvolti come curatori dell’opera, con l'approvazione della famiglia stessa, nomi quali George Drakoulias e Randall Poster, per anni al fianco di Tom Petty, produttori che ne conoscono a memoria il suono e l’anima. Parte da loro l’iniziativa e a loro va imputata dunque la scelta, discutibilissima anche se comprensibile per questioni di “visibilità” commerciale, di pescare a piene mani nel mondo della Nashville tirata a lucido, come garantisce lo stesso marchio della Big Machine Records, un colosso discografico da quelle parti, fra suoni che hanno più a che fare con il mainstream pop americano che non con il cuore della faccenda, per fortuna con qualche apprezzabile eccezione lungo il percorso.

Così la celebrazione di cui sopra è certamente garantita, ma la qualità musicale assai meno, tra molti bassi e pochi alti, con versioni (venti in tutto, scaletta generosa) che, quando se la cavano, restituiscono una copia carbone dell’originale e quando esagerano, non fanno che reiterare lo stereotipo di una country music più attenta alla forma che alla sostanza. Peccato perché le premesse per una buona riuscita c’erano tutte, vista l’apertura affidata a Chris Stapleton e al suo autentico tornado southern rock, quello che si impossessa di I Should Have Known It, brano tratto dall'album Mojo e riproposto con la stessa furia elettrica. Altro che country, verrebbe da dire. Ma la trappola è dietro l’angolo, con Thomas Rhett che riduce Wildflowers a una piacevole e innocua marcetta hillbilly dai sapori rurali dove scompare la fragile intimità dell’interpretazione originale.

Runnin’ Down A Dream, rimessa alla voce della giovane country star Luke Combs, è proprio una di quelle copie ben fatte e senza anima che ascolteremo in scaletta: ricalca il modello di Full Moon Fever e di fatto non aggiunge un briciolo di personalità. Accade anche con Here Comes My Girl affidata a Justin Moore, che si “limita” a gonfiare il suono ma non esce dall’imitazione, come del resto una I Won’t Back Down dei Brothers Osborne che addirittura insegue per filo e per segno lo stesso sound da tramonto degli anni 80 dell’originale. Appunti non molto dissimili potremmo scrivere sugli inconsistenti Lady A (una volta conosciuti come Lady Antebellum, poi rivisti dalla smania del politically correct) di Stop Draggin’ My Heart Around, oppure sul trattamento country rock di maniera che Dierks Bentley riserva a un capolavoro come American Girl (chissà cosa penserà di questa versione Roger McGuinn, che un tempo ebbe a confonderla con una propria canzone parlandone con Petty in persona), mentre la Learning To Fly della Eli Young Band è semplicemente banale e trascurabile.

Riescono a uscire dall’angolo, con un po’ di grinta, ma anche troppa enfasi tipicamente nashvilliana, la coppia formata da Wynonna Judd e Lainey Wilson in Refugee, così come dimostrano di leggere con coscienza il copione Ryan Hurd e Carly Pearce in Breakdown, atteggiamento che invece non considerano affatto nè Dolly Parton, voce sempre incredibile ma arrangiamento ampolloso oltre ogni sopportazione, che lascia evaporare tutta l’intensità di un classico come Southern Accents (con buona pace dell’indimenticabile incisione che fece Johnny Cash...), né tanto meno i disastrosi, quasi pestiferi The Cadillac Three che rovinano letteralmente il gioiello Free Fallin’. Tra le giovani leve gli unici a non uscire con le ossa rotte sembrano i Midland, trio di Dripping Springs, Texas che rimette al centro il rock’n’roll e le chitarre con una energica rilettura di Mary Jane’s Last Dance.

Eppure per ricevere davvero qualche emozione e al tempo stesso ritrovare in controluce un po’ dello spirito di Tom Petty e del suo songwriting, occorre inevitabilmente rivolgersi a quei pochi partecipanti che non arrivano dall’universo della Nashville imbellettata, o che ne sono stati una sorta di contraltare “fuorilegge”: per esempio, ci vuole un uomo di novant’anni come Willie Nelson (insieme al figlio Lukas) per infondere un po’ di grazia in Angel Dream No. 2 (dal trascurato album/colonna sonora She’s The One), uno di quasi settanta e che ne ha viste di tutti colori come Steve Earle per prendere letteralmente per le corna e fare sua Yer So Bad, o ancora un discepolo quale il redivivo Jamey Johnson per ripotare con i piedi per terra la poetica country folk di I Forgive It All (dal secondo album dei Mudcrutch), così come il sempre brillante Marty Stuart, accompagnato dai fidi Fabulous Superlatives, che riesce a far brillare I Need To Know.

Sono tra le poche note veramente positive di questo Petty Country: A Country Music Celebration of Tom Petty, in compagnia delle più contemporanee voci femminili di Margo Price e Rhiannon Giddens: la prima sceglie intelligentemente un brano fuori dai radar come Ways To Be Wicked, successo “donato” al tempo da Tom Petty e Mike Campbell ai Lone Justice di Maria McKee e che la Price fa rinascere con la stessa determinazione soul rock; la seconda offre l’adattamento più personale (finalmente!) di tutto il tributo con una sorprendente versione di Don’t Come Around Here No More, tra folk cameristico e straniante vocalità in simbiosi con il Silkroad Ensemble. Sarebbe potuta finire qui, con un colpo di coda ammirevole a risollevarne le sorti, e invece i produttori hanno deciso di calare il sipario chiamando il nome di grido, George Strait, e la sua registrazione dal vivo di You Wreck Me, moscissima e capace di eliminare qualsiasi traccia di groove e tutto il tiro rock micidiale che gli Heartbreakers avevano infuso nell’originale su Wildflowers.

Non badando agli introiti e al richiamo del grande pubblico (ma non facciamo finta che non sia importante, non siamo così ingenui), viene da pensare che Petty Country: A Country Music Celebration of Tom Petty sarebbe stata tutta un’altra questione se avesse aggiunto ben altri outsider e rock’n’roll band, più coerenti con la storia e il messaggio musicale di Tom Petty: dai Drive By Truckers ai Lucero per arrivare ai Wilco, da Sturgill Simpson a Tyler Childers, passando per Jason Isbell, Ryan Bingham, Daniel Romano e mille altri che potete aggiungere anche voi, nulla ci toglie dalla testa il pensiero che noi ascoltatori ci saremmo senz’altro divertiti di più, e forse anche Tom, dovunque si trovi adesso, avrebbe sorriso soddisfatto, pensando che la sua eredità fosse finita in buone mani, quelle che ne hanno veramente capito lo spirito.

La scaletta, i protagonisti

I Should Have Known It
, Chris Stapleton
Wildflowers, Thomas Rhett
Runnin’ Down A Dream, Luke Combs
Southern Accents, Dolly Parton
Here Comes My Girl, Justin Moore
American Girl, Dierks Bentley
Stop Draggin’ My Heart Around, Lady A
I Forgive It All, Jamey Johnson
I Won’t Back Down, Brothers Osborne
Refugee, Wynonna Judd feat. Lainey Wilson
Angel Dream No. 2, Willie Nelson & Lukas Nelson
Learning To Fly, Eli Young Band
Breakdown, Ryan Hurd feat. Carly Pearce
Yer So Bad, Steve Earle
Ways To Be Wicked, Margo Price feat. Mike Campbell
Mary Jane’s Last Dance, Midland
Free Fallin’, The Cadillac Three feat. Breland
I Need To Know, Marty Stuart And His Fabulous Superlatives
Don’t Come Around Here No More, Rhiannon Giddens feat. Silkroad Ensemble and Benmont Tench
You Wreck Me (Live), George Strait



 

 

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