L’idea di canzoni che utilizzino un
dialetto (se non proprio una vera lingua) regionale, anche
su sonorità non per forza di musica tradizionali, è ormai
vecchia, e l’elenco di nobili esempi, da Creuza de Ma
in giù, è vasto. Anche il mondo del blues non si è fatto
attendere nello sperimentarne l’effetto (singolare, ad esempio
che l’unico disco interamente in napoletano registrato da
Edoardo Bennato, con l’alias di Joe Sarnataro, fosse proprio
in chiave chicago-blues), ma nel caso di Elli De Mon
i distinguo sono parecchi.
Lei la conosciamo già da molti anni su queste pagine, sia
come solitaria one-woman-band dedita ad un blues spigoloso
e luciferino, sia, con il suo vero nome (Elisa de Munari),
come autrice di libri, e rinnovo l’invito a leggere il suo
interessantissimo Countin
The Blues sulle blues-singer storiche. Doppia vita artistica
che qui si riunisce in un album intitolato Raìse
(“radici” in vicentino), a cui fa eco anche un libro dallo
stesso titolo realizzato con le illustrazioni di Luca Peverelli.
Per l’album, stavolta, non solo ci troviamo davanti ad una
proposta che esce ancor più del solito dai confini del blues
usato nella sua abituale versione anglofona, ma qui Elli
De Mon si inventa anche un suono che sa di Delta come anche
di Laguna, anche se più precisamente il dialetto utilizzato
è quello vicentino e non veneziano.
Anzi, l’album è una sorta di concept che scava nelle sue
radici del paese di origine, Santorso, tra santi veri e
miti pagani che costellano la storia di Orso (da
non confondere con il più noto Sant’Orso della Val d’Aosta),
un nobile del medioevo che, dopo aver ucciso la famiglia,
fu condannato ad intraprendere un lungo cammino in cerca
di una identità. Un simbolico percorso umano che è di ispirazione
per una serie di canzoni che vanno davvero oltre il concetto
di blues, invadendo il campo del mondo del dark-folk come
anche di un roccioso stoner-rock alla Kyuss in alcuni casi,
e creando così un genere tutto suo, a cui il dialetto si
adatta persino meglio dell’italiano.
Le origini famigliari di Raise,
la presentazione del personaggio principale di Orso
e di Sinner (dove riaffiora un refrain in inglese),
il viaggio che lo ha portato alla santità di Sumàn
(il monte Summano sovrasta il paese di Santorso) sono tutti
i primi tasselli della leggenda, che poi si fa quadro di
vita di provincia in El Me Moro,
dove rientriamo nell’ambito del focolare domestico con una
moglie che deve sopportare le angherie del marito che tona
a casa ubriaco. La presa di coscienza di poter risorgere
a nuova vita arriva in Babastrii (Pippistrelli),
simboleggiata dall’acqua purificatrice di Giose (Gocce),
e si finisce così con la rinascita (Sarò Tera) e
la ninna nanna finale di Nana Bobò.
Elli suona tutto, aiutata da Marco
Degli Esposti e Francesco Sicchieri alle chitarre e percussioni,
e lasciandosi influenzare da suoni che uniscono rock anni
90, blues, temi orientali o tradizionali veneti, e componendo
un puzzle davvero originale, nonché un album che meriterebbe
davvero di portarla davanti a platee anche più ampie.