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Violent Femmes
What made Milwaukee famous

- a cura di Marco Denti -

Era il 1987 quando Springsteen diceva che “il rock è diventato una faccenda così grande e ha significato così tanto per tanti tipi diversi di persone e ha assorbito una tale quantità di tempo nella loro vita che ha assunto delle proporzioni veramente smisurate. C’è una certa mancanza di prospettiva in tutto questo”. Eravamo all’apice di lunghissimi anni in cui nei primi posti di tutte le classifiche c’erano personaggi con acconciature improbabili e canzoni senza senso. La musica era diventata un’immagine a colori primari, che andavano bene per tutte le stagioni. La forma e lo stile erano inventati in laboratorio, i suoni plastificati e omogeneizzati. Persino gli intellettuali più attenti li salutavano come una grande e definitiva novità, tanto che a cicli più o meno regolari vorrebbero un revival che, nonostante gli sforzi, non arriva. È ovvio: era tutta aria fritta ed è sparita con il primo colpo di vento. L’ottica giusta l’avevano avuta le Violent Femmes qualche anno prima. Arrivavano da Milwaukee che non è New York o Los Angeles, e insinuarono il dubbio che fosse tutto una farsa.

Con quel nome assurdo, Gordon Gano, Brian Ritchie e Victor DeLorenzo si presentavano con un disco dalla copertina candida ed enigmatica. Se uscisse una fotografia così scatterebbe una denuncia o, se non altro, tutti si chiederebbero chi è quella bambina, cosa sta facendo o cosa potrebbe fare, perché è lì. Nella sua innocenza l’immagine in sé era rivelatrice perché induceva a scoprire cosa c’era dietro quella finestra, con un’innocenza, una curiosità e un’attenzione che sono andate perse nel mondo isterico che ben conosciamo. Violent Femmes riportava all’essenzialità, anche meno, e aveva qualcosa di fresco e di acido nello stesso tempo. Dietro la copertina il contenuto era rivoluzionario ed esplosivo: le canzoni erano sospese tra Jonathan Richman, i Velvet Underground, Captain Beefheart, e chissà cos’altro e tre ragazzi le suonavano con strumenti acustici e con un uso improprio di altri materiali compreso un catino rovesciato su un rullante. Rudimentali, scarni, geniali: Violent Femmes è stato uno dei dischi capitali per la sopravvivenza del rock’n’roll perché riportava all’essenza, alla sua origine umile e marginale, in una parola, alla base, e anche più sotto. Però con un’esuberanza che pareva non tenere conto che ci fosse stato qualcosa prima, o di quello che poteva venire dopo. Erano giovani, sfrontati, non avevano nulla da perdere, ed è giusto così.

La prassi non era inusuale, anzi, era ed è rimasta una componente implicita dell’identità del rock’n’roll, come ben sapeva Charlie Gillett: “Ogni volta che l’industria pensava di essere riuscita a dominare lo spirito sfuggente del rock’n’roll, questo scompariva per riformarsi altrove, lontano dagli occhi indiscreti”. L’esordio dei Violent Femmes, ormai quarant’anni fa, fu un salutare shock estetico e culturale. Riportava tutto all’anno zero e, concettualmente, fece tabula rasa di pregiudizi e preconcetti con un’ironia, una carica esplosiva di follia e di simpatia che avrebbero poi trovato molti seguaci, tutti bravi ed efficaci, ma non altrettanto originali. Nella sua ristampa digitale del 2003, l’importanza di questo gioiello è confermata dall’abbondanza di outtake e da un intero disco dal vivo che è qualcosa in più di un feticcio aggiuntivo. È piuttosto un omaggio ad un gruppo che, nel giro di due album, rivoluzionò il rock’n’roll e diede il via alla riscoperta di tutte le “rootshighways”.

Lo sapeva anche Bill Flanagan che “il rock’n’roll è uno stile così magnificamente immorale: agguanta al volo le buone idee, le prova in dodici modi diversi e conserva qualsiasi cosa gli vada bene”. L’eccentrico non è soltanto una deviazione, è una leva capace di sollevare qualsiasi cosa ed è il secondo disco, Hallowed Ground, a confermare la straordinarietà dei Violent Femmes. La terra stregata di cui parla il titolo è un luogo magico dove la musica nasce per estrapolazione da paesaggi sfuggenti e riti ancestrali conditi da miti, maschere e leggende. I confini coincidono in gran parte con la “repubblica invisibile” dei Basement Tapes, così come l’ha raccontata Greil Marcus, ma dentro Hallowed Ground c’è un gradiente che si trova raramente nei dischi di rock’n’roll: il colore degli alberi, della terra, delle paludi, di sentieri tortuosi e anfratti segreti, di forze della natura (a partire dalla pioggia) e fantasmi inafferrabili. All’epoca Hallowed Ground soffriva il confronto con l’effetto sorpresa del debutto, ma con il tempo è diventato evidente che ha un taglio ancora più misterioso e affascinante. Un album stratificato, comprensivo dei fiati degli Horns of Dilemma, degni di Tom Waits, e densissimo perché se l’omonimo Violent Femmes è stato fondamentale, Hallowed Ground non è meno importante per capire l’evoluzione che avrebbe portato a gran parte del miglior rock’n’roll degli ultimi anni. Hallowed Ground percorreva le stesse strade con l’aggiunta di un’estetica musicale ancora più radicale e torbida, legata alla provincia americana e alle sue bizzarrie, e ha condotto, a sua volta, in territori da riscoprire, dagli ascendenti, dalla Carter Family in poi, agli eredi, tra cui ricordiamo almeno Willard Grant Conspiracy, Handsome Family, Lullaby For The Working Class e, più di tutti, i Sixteen Horsepower, e quello che è venuto dopo.

Instabili e frenetici, come rabdomanti in cerca dell’acqua in un deserto di idee, i Violent Femmes sorpresero anche al terzo difficile album. The Blind Leading The Naked, con le influenze dei Velvet in risalto, metteva in evidenza una volta di più la vena sarcastica e irriverernte in I Held Her In My Arms. Quella frase che dice “la tengo tra le mie braccia, ma non sei tu”, già scombinando le declinazioni dei verbi, è emblematica nel mettere in evidenza l’aspetto surreale che ha distinto le liriche di Gordon Gano, anche nei suoi stralunati gospel o spiritual, che poi avrebbero trovato maggiore spazio nei Mercy Seat, un’esperienza notevole, per quanto estemporanea. Il punto di non ritorno probabilmente è da cercare nella loro versione di Children Of The Revolution riproposta come se l’avessero suonata i Talking Heads, e così per ricordare che il produttore era Jerry Harrison, e non sono andati lontani a cercarlo visto che anche lui è originario di Milwaukee. Lo sforzo di plasmare le canzoni dei Violent Femmes con forme più accattivanti nel tentativo, inevitabile, di confrontarsi con una possibile progressione sonora, non limita l’eclettismo di The Blind Leading The Naked, ma va anche detto che non sarebbero andati oltre. C’è un’alchimia nei Violent Femmes che non tollera intrusioni prefabbricate.

Dopo The Blind Leading The Naked e il quarto album intitolato, secondo una logica tutta da capire, 3, i Violent Femmes non sono stati più in grado di esprimere lo stesso impeto rivoluzionario, pur distribuendo una manciata di album più che dignitosi, compresi nell’elenco gli episodi solisti di Brian Ritchie. Se The Blind Leading The Naked era evidente il tentativo di ampliare le sonorità in 3, che in parte riprendeva lo stile dell’esordio, appare più chiaro il fascino dylaniano, soprattutto nelle ballate, per quanto distorto dalla visione dei Violent Femmes. Forse è il passaggio più accessibile della loro discografia, dove comunque non mancheranno sorprese, come l’interpretazione di Do You Really Want To Hurt Me? dei Culture Club e un’American Music che è il riflesso naturale di quella dei Blasters in Why Do Birds Sing? (e siamo già nel 1991) o Machine, una roba tagliente degna dei Suicide nel 1994 in New Times, del resto gli estremi sono sempre ben frequentati.

Il cambio della guardia alla batteria (Victor De Lorenzo aveva un groove unico), scioglimenti e successive ricomposizioni, alcuni screzi interni, con le immancabili controversie legali, hanno segnato l’esistenza del gruppo, che si è trascinata a fasi alterne fino a oggi, ma motivi per affrontare Rock!!!!! pubblicato nel 2000 (in origine solo in Australia), Freak Magnet, We Can Do Anything nel 2019 o ancora il più recente Hotel Last Resort, nobilitato dalla presenza di Tom Verlaine, ce ne sono parecchi, anche se restano tutto sommato episodi relativi. La vera eredità dei Violent Femmes è stata la determinazione a infrangere regole e costumi come non si è più vista. L’idea perseguita fino a oggi di coltivare l’eccentricità come elemento poetico e pratico, se non addirittura politico, e bisogna dire che in questo il vero maître à penser resta l'anarcoide Mojo Nixon.

Un parte consistente riguarda anche la realtà della loro musica suonata senza additivi o correttivi, con una gamma di espressioni dal minimale (la voce di Gordon Gano) al funambolico (il basso di Brian Ritchie) che hanno garantito se non altro un’alta certezza di genuinità. Un’attitudine che si è consolidata nel riportare le incisioni con tutti i limiti e i difetti dell’irruenza sonora dei Violent Femmes, alla faccia di filtri, campionamenti e frigide riduzioni digitali, e questo vale per tutto quello che hanno registrato. Si sente soprattutto nei concerti dove senza assecondare una regola che sia una, si sono confermati ogni volta un act trascinante, spesso con risvolti imprevisti e psichedelici. Non hanno mai perso smalto, e ci sono parecchie testimonianze del loro impatto dal vivo.

Più di tutte merita Viva Wisconsin, dove, non a caso, Violent Femmes e Hallowed Ground (fondamentali, si sarà capito) forniscono una buona parte del repertorio che non sembra accusare gli anni che passano: ci sono ancora follia, divertimento, coraggio e una predisposizione irriverente nei Violent Femmes in tour nel 1998. Uno show energico, corposo, delirante: viaggiano sul filo della follia, si prestano alle divagazioni, però suonano in maniera impeccabile. Ah, e un appunto per tutti i kids che ci provano: i Violent Femmes suonavano ovunque. Quando li sbattevano fuori dai bar, improvvisavano ai quattro angoli della strada, nelle stazioni degli autobus o dove capitava. Si diventa grandi così.

:: Percorso discografico

Violent Femmes (Slash, 1983)
Hallowed Ground (Slash, 1984)
The Blind Leading the Naked (Warner, 1986)
3 (Slash, 1989)
Why Do Birds Sing? (Reprise, 1991)
New Times (Elektra, 1994)
Rock!!!!! (Mushroom, 1995)
Viva Wisconsin (BMG, 1999)
Freak Magnet (BMG, 2000)
We Can Do Anything (PIAS, 2016)
Hotel Last Resort (PIAS, 2019)

 

    

 

info@rootshighway.it