John
Mellencamp This
is Our Country. Nascita e crescita di un folksinger
elettrico
- a cura di Marco Denti -
Parlando del suo lavoro con George M. Green, John
Mellencamp diceva: “Le nostre canzoni sono
nate tutte nello stesso modo: parlando seduti
al tavolo della cucina”. Non è un dettaglio
relativo: il processo somiglia da vicino a quello
illustrato da William Faulkner: “Parlavano tutti
insieme, con voci insistenti e impazienti, contraddittorie,
trasformando una cosa irreale in una possibilità,
poi in una probabilità, poi in un fatto incontrovertibile,
come fa la gente quando i suoi desideri diventano
parole”. Cercare il tono adatto al momento giusto
è stata la lunga sfida di John Mellencamp, il
“ragazzo di strada” che è diventato grande prendendo
coscienza dei propri limiti e di quelli della
nazione in cui ha vissuto. Alla veemenza e alla
sfrontatezza è andato sostituendo un’attitudine
più riflessiva, intima e approfondita, anche se
l’energia è rimasta inalterata.
La metamorfosi, per niente scontata, ha la sua
progressione più importante in Scarecrow,
senza dubbio, ma il percorso che ha portato l’American
Fool alias il “piccolo bastardo” a diventare un
Country Gentleman non è così lineare, per quanto
sia estremamente coerente. Le prime avvisaglie
vanno cercate in due canzoni di Uh-Huh:
una è Pink Houses, lo sguardo all’America
dimenticata e perduta destinato a tracciare un
solco nel songwriting di John Mellencamp. L’altra
è il riff di Authority Song, una dichiarazione
a muso duro che poi è andato ad argomentare perché
un conto è schierarsi contro il potere, che è
cosa buona e giusta, e un conto è capire perché.
Tra Authority Song e To Washington,
passerà un quarto di secolo, ma John Mellencamp
è rimasto uno “street fighting man” fedele alla
linea e alle sue posizioni, prima con una moto
e un giubbotto di jeans, poi con Woody Guthrie.
Resta il fatto che Uh-Huh, pur contenendo
già i prodromi dei temi rilevanti di Scarecrow,
era un mondo con i Rolling Stones che rumoreggiavano
in soggiorno (non se ne andranno mai) e per John
Mellencamp, che chiudeva i concerti con You
Can’t Always Get What You Want, verrà ben
presto il tempo di passare a Like A Rolling
Stone.
È facile notare la continuità, anche nel corso
di un drastico cambiamento. Scarecrow è
il centro, lo snodo di quella voce “dal basso”
che l’ha guidato fin da American Fool,
con quel cipiglio da “gioventù bruciata”, ma che
aggiunge alle chitarre elettriche una consapevolezza
contadina. L’attenzione al piccolo mondo delle
sue origini non è casuale ed è fatta di scrupoli
e di dettagli, di misure e di fotogrammi che si
sommano a formare quell’immaginario definito da
Rock In The U.S.A., “dalle grandi città
ai piccoli paesi”. La dimensione delle canzoni
di John Mellencamp ha un filo diretto con la realtà,
le mediazioni della fiction sono ridotte al minimo
essenziale: il più delle volte sono “based on
a true story”, con tanto di elogi da parte di
Johnny Cash. “Questa terra ha alimentato una nazione,
questa terra mi ha reso orgoglioso”, canta in
Rain On The Scarecrow ma è rimasta soltanto
“pioggia sullo spaventapasseri, sangue sull’aratro”.
Ineccepibile, ma questo è già Woody Guthrie, solo
che le chitarre non permettevano distinzioni di
sorta e sparavano ad alzo zero. Un certo volume
era necessario: Scarecrow racconta
la “faccia della nazione”, quasi un contraltare
a Born In The U.S.A., ma anche una decisa
critica all’industrializzazione dell’agricoltura.
Questo è un passaggio nella storia di John Mellencamp
che merita di essere messo in risalto perché tutta
la sua vicenda è in contrasto con i meccanismi
scontati dell’industria, della politica, del business
e dei luoghi comuni che producono a ritmo insostenibile.
L’ottica dalla Small Town è la stessa di
Wendell Berry quando sostiene che bisognerebbe
coltivare fin dove vedono gli occhi, che è una
dimensione umana, di fronte ai ritmi e alle imposizioni
delle macchine che hanno costi insostenibili,
in tutti i sensi. Le politiche verso gli agricoltori
di Reagan erano soltanto l’effetto: le cause erano
(e restano) molto più profonde, e toccano da vicino
il rapporto con la terra, con il cibo, con l’ambiente.
Va ricordato che lo sviluppo contemporaneo di
"Farm Aid" (la serie di concerti benfici
fondata insieme a Neil Young e Willie Nelson)
non riguarda soltanto una raccolta di beneficienza,
ma sostiene l’idea di un’agricoltura più attenta
al territorio e soprattutto alle persone che ci
vivono. In questo Scarecrow resta lungimirante
ed è quello il momento come, direbbe Barry Lopez,
che “perdo cognizione di me stesso come individuo
con delle esigenze particolari e inizio a pensarmi
come membro di una specie, come un essere umano
impegnato, al pari dei miei simili, nell’interminabile
lotta per comprendere il tempo e valutare le conseguenze
delle mie azioni”.
Scarecrow è l’album della svolta perché
da lì la sua ricerca musicale si è indirizzata,
disco dopo disco, verso un suono più radicale,
contando The Lonesome Jubilee (ma
senza sottovalutare ancora Big Daddy) come cardine
di tutto quello che è venuto in seguito. The
Lonesome Jubilee non è soltanto il cambio
sonoro di violini e fisarmoniche che diventa un
nuovo punto di partenza, è anche una mutazione
nell’impianto delle canzoni che è diventato più
narrativo ed è l’artefice di un cambiamento che
poi sarebbe diventato un fenomeno diffuso in tutte
le “levelland”. Tra The Lonesome Jubilee e
Big Daddy ci sono affinità e divergenze
notevoli: se lo guardo del primo era panoramico,
con il secondo Mellencamp ha ristretto la prospettiva,
focalizzando un’intuizione al momento, e poco
più, poi trasformandola via via in una forma d’espressione
nitida. Le fonti erano quelle precisate da Timothy
White nelle note di The Best That I Could Do
1978-1988): “L’indistruttibile bellezza di questo
paese e la musica che lo descrive può risiedere
nel fatto che prospera oltre i limiti di tutte
le razze, credenze, nazionalità, confini civili
e segreti dubbi inespressi, offrendo sempre ai
pellegrini qualche piccolo posto per trovare un
nuovo pezzo di se stessi, soprattutto quando sembra
ormai certo che non ci sia altro posto dove poter
andare”.
È tutto lì. Se la “real life” è diventata l’epicentro
del songwriting di John Mellencamp il modo di
declinarla è andato esplorando vie trasversali,
un po’ conosciute, e un po’ tutte da scoprire.
Il ritorno all’essenzialità e all’elettricità
tout court del rock’n’roll, con David Grissom,
in Whenever We Wanted sigla il primo album
con il nome John Mellencamp. Il Cougar se ne è
andato in via definitiva perché come direbbe William
Faulkner “i nomignoli sono una cosa volgare. Li
usa solo la gente ordinaria”. Pare giusto così,
e i passaggi successivi avrebbero compreso Human
Wheels, l’album che riassumeva tutte le direzioni
intraprese, la natura spartana di Dance Naked,
con un sound ridotto ai minimi termini, eppure
unico, gli esperimenti ritmici di Mr Happy
Go Lucky, le variazioni pop di John Mellecamp
e Cuttin’ Heads e Freedom’s Road,
perché il rock’n’roll è qui per restare e figurarsi
se uno come John Mellencamp se lo dimentica. Anche
con un disco dovuto e realizzato per contratto,
Rough Harvest, (ogni riferimento ad altri
musicisti o a fatti realmente accaduti è puramente
casuale), Mellencamp ha saputo giostrarsi l’idea
di rinnovare un po’ le canzoni, spogliandole verso
un suono molto genuino, che sa di campagna senza
puzzare di muffa.
Un passaggio che diventa importante se viene accostato
a Trouble No More, particolarmente significativo
per arrivare all’ultima fase dove la voce di John
Mellencamp è cambiata di nuovo, comprimendo da
Life, Death, Love and Freedom a Strictly
a One-Eyed Jack, la definitiva visione
della maturità. Ci è arrivato districandosi, negli
anni, tra molte variazioni sul tema, a volte ispirate,
a volte sfuggenti, comunque coraggiose, per poi
ridisegnare tutto un continuum sonoro negli ultimi
album, grazie alla collaborazione con T Bone Burnett.
Ci vuole più determinazione che coraggio per proseguire
con No
Better Than This, Plain
Spoken, Sad
Clowns & Hillbillies, dischi dove la
ricerca del suono si è fatta ossessiva, se soltanto
si pensa per un attimo all’istintiva e grezza
concretezza di Uh-Uh da cui partiva. Inevitabile
che la prospettiva si sia ampliata e nello stesso
tempo si sia concentrata: è come se John Mellencamp
fosse riuscito a identificare un linguaggio molto
lineare, e diretto, ma inventandosi uno stile
tutto suo.
C’è una sintonia tra Mellencamp e l’America rurale
le cui atmosfere alla fine hanno delineato tutta
l’ultima parte della sua carriera. Ci sono raffinatezze
che piano piano compongono un quadro completo,
che forse si può osservare per intero soltanto
attraverso On
the Rural Route 7609. Jack And Diane
sono cresciuti, molti si sono persi nelle
Ghost Towns Along the Highway, e la sua
è diventata una voce autorevole che non spiega
cosa fare o come vivere, ma che racconta che la
vita è breve anche nei suoi giorni più lunghi,
facendo tesoro della saggezza dei nonni. Life,
Death, Love and Freedom è un capitolo
definitivo, anche se all’epoca “nessuno pare se
ne sia accorto”, come ha detto lo stesso Mellencamp,
ma lui è andato avanti imperterrito, come se avesse
già chiaro il disegno complessivo, come se, oltre
al suono, avesse un’idea intera di quello che
aveva da dire.
Una concezione di America che si è sovrapposta
a una possibile evoluzione personale: invece di
diventare una rock’n’roll star gonfia e ingrigita,
è diventato una voce popolare, più grave nelle
tonalità e nella sostanza. Non che sia stato un
percorso imprevisto: molto di quello che è apparso
da Life, Death, Love and Freedom a Strictly
a One-Eyed Jack andava dritto in quel senso,
in cui va collocata anche la sua riduzione di
Born
In The U.S.A., cantata come se volesse
riportarla tra le strade di Derry, la “small town”
creata da Stephen King per It. Non è una
coincidenza: la voce ha cambiato registro, assecondando
di volta in volta lo spirito dylaniano e i toni
baritonali che, da Louis Armstrong passando per
Johnny Cash fino ad arrivare a Tom Waits, hanno
distinto “the americans”, quelli veri, quelli
che stanno dall’altra parte.
Scarecrow
(Deluxe Edition, 2022)
- a cura di Fabio Cerbone -
Non
è esattamente un tempismo perfetto, essendo
passati trentasette anni da quel 1985 che annunciava
la svolta decisiva nella carriera di John Mellencamp,
eppure anche Scarecrow
riceve l'onore di una ristampa in edizione "deluxe",
che ne sancisca l'importanza per l'artista e per
l'intera storia del rock americano.
Al formato "super" che strizza l'occhio
come al solito ai collezionisti e ai fan più
accaniti (libro, cartoline, poster, un 45 giri
di
Small Town,
un terzo disco in Blu-ray con alta risoluzione
delle tracce...) si affiancano le edizioni standard,
in doppio cd e vinile, che oltre a riproporre
il disco originale in una nuova versione rimasterizzata
e remixata, aggiungono un secondo disco di inediti,
demo e b-sides che ampliano la visuale sulla genesi
dello stesso Scarecrow.
Nulla di rivelatorio e imprescindibile, come spesso
capita in queste occasioni, ma una ghiotta opportunità
per gli appassionati di Mellencamp di riunire
in un colpo solo le diverse tracce sonore sparse
in quel periodo.
Due i veri e prorpri inediti, che si inscrivono
a pieno nel sound propulsivo e stradaiolo delle
sessioni di Scarecrow: Carolina Shag
è la quintessenza del rock proletario che
Mellencamp e band avevano affinato in quegli anni,
e che non avrebbe sfigurato nella scaletta ufficiale
dell'album, mentre Smart Guys possiede
un beat più sbarazzino che si ricollega
alla stagione appena precedente di John. Le cover
di Under the Boardwalk dei Drifters e Cold
Sweat di James Brown, già conosciute
come b-sides di singoli, alle quali si aggiunge
Shama Lama Ding Dong (ben nota per la performance
nel film Animal's House) sono comunque
esplicative della matrice r&B/soul che ha
sempre nutrito l'ispirazione del rocker dell'Indiana,
con una predilezione personale per la prima delle
tre, qui offerta in una deliziosa versione dal
piglio rootsy. Più prevedibili invece i
cosiddetti "rough mixes" di Lonely
Ol’ Night, R.O.C.K. in the U.S.A e
Minutes to Memories, che confermano sostanzialmente
l'impianto sonoro poi finito nei solchi della
versione ufficiale. Chiudono infine il raccolto
inedito le demo acustiche di Between a Laugh
and a Tear, Rumbleseat e Small Town,
che nel caso dei primi due episodi si limita a
brevi bozzetti acustici, curiosi soltanto per
gli affezionati, mentre per la terza propone un
convincente arrangiamento acustico e dall'anima
folkie, che in anni recenti sarà più
volte ripreso dal vivo dallo stesso Mellencamp.