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Mojo Nixon
Il mio libero arbitrio non è disponibile

- a cura di Gianfranco Callieri -

In ricordo di Mojo Nixon, 1957-2024

Per sciagurata ma curiosa coincidenza, due mesi fa se n’è andato Shane MacGowan dei Pogues e oggi, anche lui piuttosto giovane (erano entrambi del ’57), se n’è andato pure Mojo Nixon, che alla famigerata, insalubre dentatura dell’irlandese aveva dedicato l’indimenticabile Shane’s Dentist, dove l’odontoiatra di costui era ritratto come un negligente lazzarone abituato a trascorrere le proprie giornate al pub. Quella, nondimeno, era una manifestazione d’affetto e rispetto, per quanto strano possa sembrare e per quanto possa risultare difficile crederlo da parte di un autore, appunto Neill Kirby McMillan Jr, in arte Mojo Nixon, specializzato nell’arte di quanto oggi, nella neolingua della cultura hip-hop, ci siamo abituati a chiamare dissing, e cioè il lancio di insulti e contumelie attraverso le strofe di una canzone.

Benché il disco più "insultante", tra tutti quelli realizzati da Nixon, sia stato senza dubbio il velenoso Whereabouts Unknown (1995), infarcito di vituperi rivolti a Morrissey, Michael Bolton, David Geffen e chi più ne ha più ne metta (senza dimenticare la Tie My Pecker To My Leg, "legatemi il pisello alla gamba", scritta col compianto Country Dick Montana dei Beat Farmers e inneggiante a temi ameni quali coprofilia, incesto e zoofilia), poche cose, non solo nella sua discografia, possono rivaleggiare in spirito dissacratore con la celeberrima Debbie Gibson Is Pregnant With My Two-Headed Love Child (Debbie Gibson è incinta del mio figlio dell’amore a due teste), feroce satira del culto per le celebrità e dell’ossessione per il pettegolezzo di cui, a fine anni 80, fu girato anche un video esilarante, con Winona Ryder nei panni della pop-star adolescente del titolo e la capacità di preconizzare, con sottofondo amarognolo, un futuro di consumatori inebetiti non solo dal tubo catodico ma, più in generale, dalla smania di entrare nelle mutande dei personaggi famosi, meglio se tali senza un perché o in assenza di talenti riconoscibili.

Il brano veniva dal quarto (e ultimo) album in quel decennio realizzato da Nixon in sodalizio con il polistrumentista californiano Skid Roper: il primo risaliva al 1985 appena, ma in quattro anni i due avevano dato sfogo a una prodigiosa espressività iconoclasta, macinando pezzi come se non ci fosse un domani e qualsiasi argomento a disposizione, con preferenza per le prese per i fondelli dei politici repubblicani, meritasse la loro triturazione esecutiva e verbale. Roper, al secolo Richard Banke, forniva a Nixon la scolarizzazione di cui quest’ultimo, musicista del tutto amatoriale, era completamente sprovvisto, di volta in volta costruendo le architetture - rozze, virulente, sgangherate eppure solide - di qualche sbronza celtica (Pirate Radio) e di svitati rockabilly (Jesus At McDonald’s), di vortici alla John Belushi oggi impensabili (Art Fag Shuffle, e chi mai proferirebbe più un titolo come "il ballo del finocchio artistoide"?) e di umoristiche sfuriate punk (I’m Livin’ With A Three-Foot Antichrist), di scanzonati rockacci alla Creedence (I’m Gonna Dig Up Howlin’ Wolf) e di grasso rock and roll da sobborghi (High School Football Friday Night).

Debbie Gibson Is Pregnant With My Two Headed Love Child (1989)
Girlfriend in a Coma (1995)

Volutamente poco interessati alla professionalità, forse più per scelta e postura espressiva che per reali limiti tecnici, Nixon e Roper si inserivano in realtà a meraviglia in quell’atmosfera di rinascimento rootsy caratterizzante tanto "nuovo rock" degli ’80, una dimensione sonora già a rischio di maniera alla quale la coppia, non diversamente da Violent Femmes, Jason & The Scorchers o Meat Puppets, portava in dote il dono di una follia stracciona e di un cow-punk impestato di rockabilly tanto profanatorio, all’apparenza, quanto sotto sotto affascinato dalle radici e dal country, dai paesaggi rurali del Sud, dai più rancidi honky-tonk bar frequentabili in quella "cintura della bibbia" popolata da imbonitori televisivi, contadini dal collo arroventato, muli e coccodrilli, carni alla brace accompagnate da liquori, operai e camionisti sbronzi sia di mattina sia di sera.

Come avevano fatto i Blues Brothers con l’amato R&B, e come avrebbero fatto gli Uncle Tupelo con la musica old-time, Nixon e Roper pigiarono l’acceleratore sul primitivismo e l’essenzialità del loro punkabilly per sottolinearne l’universalità, l’atemporalità e l’innata trasversalità, il tutto nel nome di una chiesa immaginaria la cui santissima trinità era composta, Mojo dixit, da Elvis Presley, dal pollastro dei cartoni animati Garlo Gallo e dall’attore Hal Smith nelle vesti di Otis Campbell, l’ubriacone del paese nella serie televisiva (dei ’60) The Andy Griffith Show.

Interrotta la collaborazione con Roper, Nixon si mise subito al lavoro su di un album solista (lo squinternato Otis del 1990) e, dopo aver reclutato un nuovo gruppo denominato Toadliquors, si concesse all’erotomania senza freni del bislacco Horny Holidays! (1992). Nel 1994, a sorpresa, se ne venne fuori con i due album migliori della sua carriera. L’incendiario Prairie Home Invasion, uscito per la Alternative Tentacles fondata da Jello Biafra dei Dead Kennedys e realizzato con lui a quattro mani, metteva in scena una pirotecnica cavalcata roots-rock - compagni di viaggio, i citati Toadliquors e la sei corde del mitico Evan Johns, un tempo nei LeRoi Brothers e alla guida degli H-Bombs, anch’egli prematuramente scomparso per troppo alcol - all’insegna della demistificazione di ogni ipocrisia, prendendo in prestito i violini, le armoniche e i mandolini dei vecchi cowboy per vomitare fiele sulle pose dell’emo-core e i sui punk venduti, sulle multinazionali della discografia e su quelle dell’estrazione degli idrocarburi, fino a sghignazzare dei movimenti antiabortisti in una poco ortodossa rivisitazione del salmo cristiano Will The Circle Be Unbroken? per l’occasione ribattezzato Will The Fetus Be Aborted?

Nella medesima stagione, sebbene la stampa Hightone rechi l’intestazione del 1993, l’ingiustamente dimenticatissimo Live In Las Vegas, accreditato ai Pleasure Barons, ossia Mojo, Dave Alvin e di nuovo Country Dick (con lo scomparso “Buddy Blue” Seigal, sempre dai Beat Farmers), mandava in orbita il soul sudista con una sua parafrasi degna dei fuochi d’artificio di Wilson Pickett o Booker T., incorniciata da un delirante The Definitive Tom Jones Medley, canonizzata da una sublime versione della Games People Play di Joe South e culminante in una chilometrica parafrasi - undici minuti e rotti la durata - della Elvis Is Everywhere dello stesso Mojo. Successivamente, Nixon avrebbe dato alle stampe qualche altro disco dal vivo, qualche frattaglia inedita e persino un incredibile cofanetto decuplo (The Mojo Manifesto, pubblicato nel 2020), ma si sarebbe soprattutto impegnato in attività collaterali, per esempio la conduzione radiofonica, il doppiaggio o l’estensione di testi per pubblicità (piuttosto sui generis) e videogiochi.

Era diventato, in particolare, una delle voci più riconoscibili della Sirius XM, l’azienda newyorchese di telecomunicazioni con programmi radio sparsi in tutto il paese: Nixon era il presentatore, sulle frequenze della sussidiaria Outlaw Country Radio, della seguitissima trasmissione The Loon In The Afternoon, "lo scemo del pomeriggio", appunto impegnata nella promozione di tutto ciò che del country incarnasse i volti meno convenzionali e più anticonformisti. Grazie alla fama radiofonica, da qualche anno presiedeva nelle vesti del padrone di casa e in quelle dell’artista pronto a esibirsi ovunque la situazione lo richiedesse, una delle tante crociere musicali - la Outlaw Country Cruise, va senza dire - in periplo nautico per gli isolotti del pacifico, e la sera del sette febbraio scorso, dopo un concerto e una fiammeggiante chiusura della serata presso il bar della nave, è morto nel sonno, non lontano da Porto Rico, all’età di 66 anni appena.

In circostanze simili si dice che il mondo, senza certi personaggi, è più triste. Io non so in quanti si ricordassero di Mojo Nixon, ma per costoro, certamente, il suo passaggio a miglior vita spalanca un mondo meno spassoso, meno spregiudicato e infinitamente più bacchettone.


 

info@rootshighway.it