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Joe Ely Band
Fighting the Rain
[New Shot 2024]

Sulla rete: newshotrecords.com

File Under: texas tornado rock


di Fabio Cerbone (27/05/2024)

È un racconto che si nutre di quella piccola mitologia rock da carbonari quello che accompagna l’uscita di questo live della Joe Ely band, testimonianza del primo tour italiano del songwriter texano. La data dell’8 ottobre 1993 reca infatti come luogo del concerto la discoteca Sinatra’m di Vergiate, nel varesotto, profonda provincia lombarda che sembra l’ideale palcoscenico per le storie americane di Ely, figlio prediletto di Lubbock, polvere e tornado nella regione conosciuta come Texas Panhandle. Si tratta tuttavia di un ripiego di fortuna: all’ultimo momento, l’organizzatore della serata, Carlo Carlini, figura che attraverso la sua agenzia Only a Hobo ha scritto un pagina importante per gli appassionati di certa american music in terra italiana, è costretto a cambiare il locale che ospiterà l’esibizione di Ely e del suo gruppo. La più capiente Sala Marna, sulle rive del Ticino, è finita letteralmente sott’acqua dopo un violento temporale che si è abbattuto in giornata, per cui un cartello improvvisato e un passaparola frenetico avvisa il pubblico di spostarsi in blocco a Vergiate.

La risposta non si fa attendere e il locale si riempie con l’entusiasmo di chi ha seguito passo dopo passo le gesta di un musicista che dai Flatlanders ai Clash ha unito il mito del South West fuorilegge con il gesto ribelle del rock’n’roll. E l’attesa cresce anche nello stesso Joe Ely, che introduce lo show con parole che non sembrano affatto di circostanza, magari di quelle studiate su misura per blandire gli astanti. “Aspettavo con ansia questa serata da molto tempo, gente”, e le note distese di If You Were a Bluebird, brano dell’amico e compagno di ventura nei Flatlanders, Butch Hancock, aprono una scaletta che sarà fiammeggiante per intensità elettrica ed epica per narrazione musicale.

La sintesi tra le due anime è offerta dalla formazone che Ely si porta appresso, modellata sulle dinamiche e sui musicisti di quello che è già passato alla storia come uno dei suoi album dal vivo più robusti, il ben noto Live at Liberty Lunch, registrato in Texas nella primavera del 1989 e uscito per la MCA l’anno successivo: sono infatti della partita la stessa chitarra incendiaria di David Grissom e la batteria quadrata e martellante di Davis McLarthy, mentre il basso cambia protagonista con Glen Fuckunaga (al Liberty Lunch era presente Jimmy Pettit). Il suono resta quello che anche nei dischi di studio dell’epoca - oggi forse un po’ dimenticati dopo le vette artistiche toccate con il capolavoro personale dell'artista, Letter to Laredo, e la svolta spanish - dava la stura a un country rock carburato sui giri di un eccitante roadhouse texano, impregnato delle note rock blues della solista di Grissom (che in quegli anni si divideva tra Ely e John Mellencamp, giusto per ribadire il raggio d'azione) e sull’intensità del canto (ma anche come “spalla” chitrarristica non se la cava niente male) dello stesso Joe Ely.

Lo dimostra proprio la presenza di alcuni brani tratti dal recente Love and Danger, uno dei dischi della lunga carriera di Ely più imparentati con certo heartland rock americano: non un capolavoro, senza dubbio, eppure nella loro versione live l’innodica Settle for Love, la rutilante Highways and Heartaches e la ben nota cover del collega Robert Earl Keen, quella sceneggiatura in musica che corrisponde al titolo di The Road Goes On Forever, restituiscono esattamente l’atmosfera bollente che aveva un concerto della Joe Ely Band al tempo. La conferma? È lì sul piatto, quando Ely tira fuori gli assi dalla manica, spesso e volentieri tratti dalla penna adorata dell’amico Butch Hancock: una devastante Boxcars, che insieme a Row of Domonoes e She Never Spoke Spanish To Me traccia i sentieri più western dell’immaginario musicale del protagonista, siano essi votati al lato selvaggio, imbizzarrito ed elettrico, oppure alla poesia da confine messicano.

Nel mezzo spazio anche per l’honky tonk danzereccio di Dallas, brano appartenuto all’altro compadre dei lontani giorni nei Flatlanders, Jimmie Dale Gilmore, per l’autografa Me and Billy the Kid, una sgroppata di autentico rock’n’roll “outlaw” che scalda il pubblico stipato al Sinatra’m con la sua storia fra leggenda e ironia, e più di tutti per il finale di Letter to L.A., occasione per liberare da ogni obbligo la solista di Grissom in tutto il suo lirismo.

L’impossibilità di offrire l’intero set orginale del concerto – come spiegato puntualmene nelle note da Renato Bottani della New Shot records, sia per motivi tecnici riguardanti l’incisione, sia per scelte artistiche dello stesso Ely (un brano in particolare non ritenuto adatto alla sensibilità dei nostri giorni) – lascia un pizzico di amaro in bocca per quello che avrebbe potuto essere il live album definitivo della carriera di Joe Ely, e tuttavia anche in questa forma “ridotta”, dieci brani e comunque la bellezza di cinquantatrè minuti di fuochi d’artificio, Fighting the Rain risulta imperdibile, un treno in corsa lanciato per le praterie del migliore rock delle radici made in Texas.