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Sing This!
Brevi storie di brani e di alcune cover |
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#4 Summertime Blues [a cura di Gianni Del Savio] Nella sua breve vita dal ‘38 al ‘60, il cantante e chitarrista Eddie Cochran (Edward Raymond Cochran, morto a causa di un incidente automobilistico in cui rimase ferito un altro grande quale Gene Vincent) ha lasciato alcune perle rock'n'roll, come compositore ed interprete. Tra queste, Sittin’ in the Balcony (‘56), Twenty Flight Rock (proposta anche in “The Girl Can’t Help It” - “Gangster cerca moglie” film del ‘56, pieno di star r&b/r&r, rockabilly e dintorni), C’mon Everybody e Three Steps to Heaven. Ma è soprattutto Summertime Blues (‘58) a divenire poi alimento per alcuni rocker del decennio successivo, che ne sottolineano validità e significato della scrittura, riportandola all’attenzione di un pubblico determinato a condividere un “doloroso carico”: la mancanza di denaro e la conseguente difficoltà di godersi l’estate con la ragazza, anche perché il datore di lavoro non sente ragioni, negando deroghe all’impegno concordato. Composta, come altre song, insieme a Jerry Capehart, Summertime Blues è dunque una delle più efficaci ed essenziali descrizioni di una situazione psicologico-sociale acuita dalla stagione estiva, con le sue necessità vacanziere e relazionali che portano il protagonista a malinconia, rammarico e frustrazione...
Saranno i Blue Cheer, gruppo rock di San Francisco, a riproporla, nel 1967 in Vincebus Eruptum, album d’esordio del trio di Richard “Dickie” Peterson (cantante e bassista). Il singolo li porta in alto nelle classifiche e diviene anche uno dei riferimenti proto-metal, aggiungendo quegli ingredienti “heavy” che acuiscono il dramma estivo del protagonista del racconto (solitudine, frustrazione e dintorni, dicevamo…), e che più si avvicinano alle nuove generazioni. Rimarrà il loro brano più famoso, irrinunciabile nei concerti, tra cui questo del ‘68.
Sempre in ambito rock, gli Who (sensibili, si sa, ai turbamenti giovanili: My Generation, del ‘65, quale particolare punto di riferimento, nonché il concept album Tommy, del ‘69), non possono rinunciare a un tema del genere. Lo ripropongono con la consueta solidità vocale di Roger Daltrey e l’incisività ritmico-strumentale del quartetto guidato dal chitarrista Pete Townshend, completato dal bassista John Entwistle e dall’inarrestabile Keith Moon alla batteria. Qui li ritroviamo durante un’esibizione del ‘69.
Quando negli anni Settanta è già l’ora di rinfrescare e
riproporre brani famosi con spirito neo-r&r (dalle trame rockabilly),
Robert Gordon - che insieme a Gene Vincent guarda a Cochran come
uno dei suoi ispiratori -, è tra quelli che meglio lo sanno fare. Dotato
di una voce dalle coloriture drammatiche, non priva di sfumature ironiche
e supportato da un sound, con relativa “eco ambientale”, Gordon sfrutta
al meglio l’apporto chitarristico, innovativo di Link Wray, riproponendo
il brano con intense e accattivanti tonalità baritonali.
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