La rock’n’roll
band fanno giri strani, cercano di sopravvivere nella corrente, si aggrappano
a sogni troppo grandi, finiscono per prendere sonore cantonate o addirittura
cadono rovinosamente. Qualche volta però gli capita di risollevarsi, trovando
magicamente la fiamma perduta, e allora escono dischi come questo Emitional
Contracts, la sorpresa migliore uscita dal cilindro dei Deer
Tick dai tempi lontani di Born
on a Flag Day (2009). Il quartetto di Providence, Rhode Island nel
frattempo ha navigato a vista, con pochi sussulti e troppe idee confuse,
nascondendo il talento (e le canzoni) in dischi a corrente alternata,
fino a proporsi perfino in un’ambiziosa doppia formula (l’acustico ed
elettrico di Deer
Tick Volume 1 & 2) e nella più classica compilazione di outtake, cover
e scarti vari (Mayonnaise),
spesso sintomo di un impasse artistico alla disperata ricerca di ispirazione.
Il nuovo contratto in casa ATO porta in dono una svolta, di approccio
e di attitudine, un breve raccolto di dieci canzoni, brani provati a più
riprese nel loro personale rifugio e lasciati decantare prima di incontrare
il produttore Dave Fridmann (The Flaming Lips, Sleater-Kinney), registrando
l’album a New York. L’effetto è evidente sul grado di intesa e di espressività
che la band ha potuto raggiungere, condividendo più di altre volte il
materiale a disposizione: tutti contribuiscono al risultato finale, la
gioia di suonare è palpabile e anche la consapevolezza di non avere più
nulla da perdere, portando a casa il disco della maturità, nel quale dominano
i temi adulti delle responsabilità di famiglia, del trascorrere inesorabile
del tempo e dei bilanci che alcune scelte di vita hanno comportato.
Invece di risolversi in una tediosa raccolta di mezza età, Emotional
Contracts ha scelto però intelligentemente la reazione, partendo dal
riff “stonesiano” di If I Try to Leave,
dove il leader storico del gruppo John McCauley insegue il segreto dell’eterna
giovinezza di Keith Richards, mentre la spalla Ian Patrick O'Neil (ormai
completamento ideale nei Deer Tick e in formazione dal 2009) firma lo
scintillio power pop della successiva Forgiving
Ties. E tra sussulti roots, bevute al bancone del pub rock,
iniezioni soul e melodia elettrica, questi “contratti” conclusi con le
proprie emozioni a suon di rock’n’roll hanno il merito di offrire un nuovo
inizio alla storia della band, qui sostenuta in studio anche dall’amico
Steve Berlin (Los Lobos) e da un contorno di strumenti a fiato e tastiere
(lo stesso Friedman con il figlio Jon) che non fanno che aumentare i colori
e la vivacità dell’album: dalle accelerazioni di Grey Matter al
sobbalzare garage soul di If She Could Only See Me Now, dal rock
rurale a tinte texane di Disgrace ai toni più urbani di una ballata
sorniona come My Ship, fino al gioiello pop elettrico dell’intera
raccolta, una Once in a Lifetime che
parte sul morbido pulsare del basso di Christopher Dale Ryan e finisce
tra uno luccichio sixties di chitarre, fiati e voci (ci sono anche quelle
di Courtney Marie Andrews e Vanessa Carlton).
Dal momento che i Deer Tick restano comunque una piccola rock’n’roll band
di teppisti, a cui la precisione va sempre un po’ stretta, nel disco meglio
prodotto della loro carriera trovano il tempo di infilare anche i nove
minuti della conclusiva, epica The Real Thing,
confronto diretto di McCauley con la depressione di cui è stato vittima
per lunghi periodi della sua esistenza. Più che contraddire quanto lo
ha preceduto, è la degna chiusura di un disco che metterebbe d’accordo
Tom Petty e Nick Lowe sulle sponde opposte dell’oceano.