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americana soundtrack
di Fabio Cerbone (08/02/2019)
Più che una Mayonnaise,
come ci informano i Deer Tick dal titolo, questa è un’insalata
russa, abbondante e pasticciata a dovere, che poco aggiunge alla storia
della band guidata dall’ugola scartavetrata di John McCauley. L’intenzione
è chiara: una sorta di omaggio rivolto soprattuto agli estimatori del
gruppo e a chi era rimasto favorevolmente colpito dalla recente pubblicazione
dei due
volumi omonimi, anime contrapposte e intercambiabili della
loro musica: da una parte il volto rootsy e folkeggiante, dall’altra il
suono rauco ed elettrico figlio del punk rock. Non avendo speso parole
di entusiaso per quel lavoro, bene accolto invece dalla stampa inglese
(Uncut e Mojo a guidare il drappello), è difficile che troveremo tesori
nascosti anche in questo Mayonnaise, il quale, come anticipato, mischia
il mazzo delle carte e offre un piatto di inediti, presunte tracce alternative
e cover selezionate, che sembrano ammiccare soprattutto allo zoccolo duro
dei fan e a tutti coloro che hanno seguito il gruppo del Rhode Island
durante il fortunato tour inglese di questi mesi.
Da lì giungono infatti alcune scelte curiose, attingendo dal repertorio
altrui con vivacità e gusto (questo non è mai stato in discussione per
i Deer Tick): sono presenti all’appello i Pogues di White City (tratta
dal loro quarto disco di studio, Peace and Love), il George Harrison di
Run of the Mill (dal classico All
Things Must Pass), una riuscita versione in puro stile alterntive country
di Pale Blue Eyes dei Velvet Underground,
e infine una chicca da intenditori quale Too Sensitive for This World
di Ben Vaughn, ripescata dal gioiellino Dressed in Black del 1990. L’estrema
disponibilità dell’appassionato sarebbe pronta a perdonare tutto, dopo
una sfilza di simili scelte musicali, ma il mix con il resto del materiale
e l’attitudine generale di Mayonnaise non è esattamente
un miracolo, né tanto meno una rivelazione, e noi siamo ancora qui, a
dieci anni da quel manifesto che fu Born
on a Flag Day, ad aspettare che John McCauley e compagni ci
sorprendano come agli esordi, invece di scivolare da grandi promesse a
semplici gregari.
Dopo qualche occasione sprecata, molti vorrei ma non posso e radi sprazzi
di eccitazione elettrica, sarà difficile che Mayonnaise possa sobbarcarsi
il ruolo di trascinante svolta. Tanto più che ciò che resta della sua
scaletta è riempito da presunte alternative takes (e non sempre indispensabili)
di Limp Right Back, End of the World e Doomed From the
Start, episodi pescati dal passato prossimo della loro produzione,
e da qualche inedito che ondeggia ancora fra l’anima rock grezza di Spirals,
la svogliatezza punk roots di Hey! Yeah! e l’agrodolce malinconia
country di Strange Awful Feeling,
quest’ultima forse l’episodio migliore. Tre dischi nell’arco di un anno
e mezzo, due in contemporanea e una sorta di appendice oggi con Mayonnaise,
sono troppi per chiunque, figuriamoci per una rock’n’roll band che sembra
già avere speso tutte le sue armi segrete.