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La zecca non lascia. Raddoppia di
Gianuario Rivelli (15/09/2017)
L'epos minore e desolato di un capolavoro come Smith Hill, una delle canzoni
americane più belle in assoluto degli anni zero, e l'intero Born
on Flag Day (2009) avevano fatto gridare al (mezzo) miracolo e seminato
attese spasmodiche per il prosieguo della carriera dei Deer Tick. Il combo
capitanato dal lunatico John McCauley III pareva essere un nome sicuro su cui
puntare per gli anni a venire, con tutte le carte in regola per emergere dalla
pletora di band che si affacciano quotidianamente sul panorama musicale a stelle
e strisce. E' evidente che da allora qualcosa non deve aver girato per il verso
giusto se il loro cammino si è impantanato in dischi anonimi, privi di personalità,
in una parola deludenti.
Dopo quattro anni e dopo una serie di fausti
eventi che hanno interessato il leader (matrimonio con Vanessa Carlton e nascita
della piccola Sidney Aoibheann), i Deer Tick alzano l'asticella e si ripropongono
addirittura con un doppio album. Deer Tick Vol.1 e Vol.2 in
barba alle regole del mercato escono praticamente in contemporanea e riflettono
le due anime della band: il folk rock malinconico e strascicato da un lato, il
rock puro ed energico dall'altro. La notevole ambizione che soggiace ad un'idea
del genere (e su questo anche le copertine still life sono coerenti) non trova
riscontro nelle canzoni, in buona parte ben scritte e ben realizzate ma che quasi
mai trasmettono l'urgenza e l'anima che ti aspetteresti da chi vuole farti ascoltare
venti brani.
Nel Volume 1 quel sacro fuoco che animava lamenti allucinati,
marcette etiliche e melodie sghembe nei tempi andati se non del tutto spento,
si è decisamente sopito, declassato a fiammella buona per mantenere una velocità
di crociera ma non per correre. Sea of Clouds
è il loro marchio di fabbrica, folk grondante nostalgia e sogni a mezz'altezza,
dolci chitarre che si sfregano con il tipico latrato di McCauley: i nostalgici
dei Deer Tick degli esordi possono abbeverarsi qui. Spunti interessanti arrivano
dagli altri componenti della band coinvolti nella scrittura: Hope is Big
del chitarrista è una country ballad per piano e voce di grande intensità e Me
and My Man a firma del batterista Dennis Ryan colpisce con una melodia efficace
e una sorprendente apertura con organo hammond. Niente male anche Card
House con il suo giocoso ciondolare a bordo di chitarre flamenche.
Ma tutto il resto non riesce proprio ad elevarsi.
Il Volume 2 è un compitino
rock ben svolto, con un paio di picchi (in primis Jumpstarting,
un urban rock impeccabile ed ispirato che non a caso è il brano preferito da McCauley
e It's a Whale, invasata di foga punk) e un livello medio più che sufficiente
ma mai entusiasmante. Meritano una citazione il country rock sfrenato di Tiny
Fortunes, Look How Clean I Am che strizza l'occhio allo Steve Wynn
solista e l'impeto garagista di Mr.Nothing Gets Worse, il pezzo che cala
il sipario. Vol.1 e Vol.2 non invertono la rotta e ci consegnano la "zecca del
cervo" così come l'avevamo lasciata: una buona band dal grande futuro dietro le
spalle.