Per trovare lo spazio tra le note, dicono Ben
Nichols e Rick Steff, quello che rimane di non detto (e di
non suonato) dentro una canzone, è nata l’idea di questo Lucero
Unplugged, album che vede i soli due membri del gruppo
di Memphis, rispettivamente alla chitarra e al pianoforte,
ripercorrere dal vivo in studio una storia lunga venticinque
anni e un corposo songbook che si allarga a venti tracce spalmate
su un doppio vinile (oltre alla contemporanea edizione digitale
disponibile su tutti i canali di streaming).
Non fosse passata ormai da tempo la moda del disco “unplugged”,
epoca sepolta fatta di dominio di MTV e di musica amplificata
dal potere dello schermo, avremmo potuto persino immaginare
che i Lucero volessero “sfruttare” il vecchio catalogo
per fare cassa, ma è talmente fuori luogo discuterne, vista
la storia in gran parte indipendente di questa rock’n’roll
band, che è meglio accostarsi a questa uscita da un’altra
prospettiva, quella di un omaggio ai loro estimatori di lungo
corso. Tale rimane il senso generale di Lucero Unplugged,
uno di quei lavori discografici che sembrano rivolgersi a
chi è già stato “convertito”, per giunta ripescando in abbondanza
dalla produzione storica della formazione, una delle migliori
esperienze offerte dal “nuovo rock sudista”, insieme ai colleghi
Drive-By truckers, nate allo scoccare degli anni Duemila.
Aprire la scaletta con In Lonesome
Times, brano che arriva dai primi nastri della
soffitta (The Attic Tapes, così denominati) incisi
dai Lucero, è già un segnale chiaro, al quale Nichols e Steff
(ormai membro essenziale della band, anche se non presente
nella prima stagione) aggiungono altri tasselli e gemme dimenticate
che nutrivano il loro alternative country dal turbolento animo
punk, lo stesso che dominava l’esordio omonimo del 2001 (My
Best Girl e It Gets Worse At Night), lo strepitoso
Tennessee di un anno successivo (molto amato, pare
di poter dire e a ragione, con ben quattro episodi: Sweet
Little Thing, Nights Like These,
Darby’s Song e Slow Dancing), e ancora That
Much Further West (con la title track, Hate And Jealousy
e quello straziante sfogo che rimane la catartica Tears
Don't Matter Much). Curioso non abbiamo scelto
di includere anche Bikeriders (l’originale stava su
Nobody’s Darling del 2005), visto il recente successo
del film (girato dal fratello di Ben, Jeff Nichols) e della
relativa colonna sonora, la qual cosa fa ancora più onore
ai due musicisti e non può che ribadire le buone intenzioni
di Lucero Unplugged.
Album che rimane, occorre ribadirlo, un sovrappiù nella storia
del gruppo, anche se ha il merito di accendere i riflettori
più sulle parole e sull’intesità dei testi di Ben Nichols:
l’intima dimensione acustica, gioco forza, esalta il romantico
e burrascosco mondo sentimentale, fatto di ricordi, delusioni
e speranze, che nutre da sempre il songwriting da adolescenza
rock di Nichols, al quale il lirismo e la limpidezza melodica
delle note del piano di Rick Steff offrono quel sostegno
in grado di non rendere Lucero Unplugged una raccolta
troppo involuta e priva di dinamiche. La voce graffia come
sempre, cruda e limitata ma efficacissima nel descrivere una
certa poetica della sconfitta, mentre il cuore scuro e folkie
di queste ballate (Among the Ghost
resta un piccolo impetuoso capolavoro anche in questa veste,
e Hello Sadness dice tutto già dal titolo) ci racconta
come sempre un’altra America, quella a cui continueremo a
voler bene nonostante tutto il chiasso politico e la decadenza
sociale che oggi la circondano.