The
Black Crowes Before
the Frost, Until the Freeze
[Silver Arrow/ Goodfellas 2009]
Il ritorno di fiamma fra Chris e Rich Robinson - fratelli coltelli
che si sono guardati in cagnesco per una vita intera, sempre pronti allo scontro
- aveva rappresentato indubbiamente un incontro desiderato da troppo tempo, specialmente
da chi aveva perso le tracce di una rock'n'roll band che era stata capace di ripercorrere
uno ad uno i passi del classic rock, occupando ormai il ruolo di depositari di
un preciso immagnario sonoro. Warpaint
aveva rivitalizzato la loro storia personale con uno scatto d'orgoglio e molto
mestiere, un cambio della guardia che grazie all'ingresso trionfale della chitarra
di Luther Dickinson (senza dimenticare il piano di Adam McDougall) aveva
rimesso al centro suoni e canzoni, nonostante i detrattori, tutti un po' distratti
dall'idea di un gruppo che dovesse sempre ripetere la lezione di Southern Armony
e Amorica. L'entusiasmo è cresciuto, l'intesa si è rafforzata ed è stato un naturale
svolgimento quello di ripensarsi in grande: quasi centoquaranta show nel giro
di dieci mesi hanno accompagnato il risveglio dei Black Crowes, seguendo
la vecchia lezione mai sopita che la strada, il palco e il pubblico siano una
bolgia infernale dalla quale, a volte, si può risorgere come un'araba fenice.
Testimoniata minuziosamente tale resurrezione in Warpaint
live, pubblicato pochi mesi addietro, i Corvi hanno tentato la sorte
rilanciando la posta in gioco: quasi aggrappandosi ad un momento di grazia si
sono decisi a rovistare fra l'abbondante raccolto degli ultimi due anni, incidendo
d'istinto nuove canzoni. E lo hanno fatto nel modo a loro più congeniale: dal
vivo, lungo il corso di alcune serate ai Levon Helm studios di Woodstock, in quello
che è stato denominato il Cabin Fever Winter tour. Atmosfera raccolta, pubblico
selezionato, i Black Crowes si sentono The Band e pur con tutti i distinguo, a
quella fonte di ispirazione vanno ad abbeverarsi: si badi bene, non tanto stilisticamente,
seppure i legami sussistano, quanto nello spirito, in quella ricerca di un senso
comunitario che porta inevitabilmente verso la terra, le radici, la rilettura
del proprio passato per scoprire da dove provengano realmente i Black Crowes di
oggi. Le foto promozionali, quegli scatti fra i boschi e la neve, l'interno del
cd che li ritrae fra la legna come un residuo dell'agreste periodo del rock americano
"settantesco", sono la migliore descrizione del contenuto di Before
the Frost… - e del suo gemello …Until the Freeze, reso disponibile
online dal sito ufficiale della band attraverso un codice presente nel cd vero
e proprio. Venti canzoni, il granaio pieno, ed un gruppo che non ha mai suonato
così "roots": i Black Crowes dell'ufficiale Before the Frost… graffiano ma non
tracimano, entrano ed escono dal sentiero del rock'n'roll per mostrare altre facce
del loro songwriting. Il quale appare più diretto, anche nelle liriche, che in
passato: Chris Robinson ha imparato la lezione ma dalla citazione dei maestri
è passato ad una sua libera interpretazione. La band naturalmente suona libera
e persino umile, o quanto meno preoccupata di rendere un'atmosfera, di catturare
un momento, aldilà della precisione. Si, non è un disco perfetto Before
the Frost…, ha il sapore di un incontro informale, dove l'impatto frontale di
Good Morning Captain oppure le sventagliate
hard blues di Been a Long Time (Waiting on Love)
e il funky rock d Make Glad, riflussi da jam
band sudista, si stemperano improvvisamente fra abbaglianti country rock (il piccolo
classico Appaloosa), mugugni folk dagli umori
pastorrali (la What Is Home? interpretata
da Rich Robinson) e ardenti ballate colme di anima (The
Last Place That Love Lives a chiudere la prima parte). Dentro questo
quadro esaustivo dei mille stimoli musicali della band entrano in gioco persino
scherzi spiazzanti quali il rock dalle tinte "disco-funk" (un omaggio
agli Stones gigioni di fine '70?) di I Aint Hiding,
primo singolo scelto per scombinare le aspettative di pubblico e critica. Nel
mezzo tantissime certezze, quelle in fondo che fanno pensare ai Black Crowes come
ad un classico moderno, per lo meno fra chi insegue la via maestra della tradizione
rock: A Train Still Makes a Lonely Sound che
palpita sui riff di un sempreterno southern rock, Kept
My Soul che scalcia nervosa e bluesy fra Stones e Little Feat, ma soprattutto
i capolavori Houston Don't Dream About Me,
con il puntuale sostegno del piano di Adam McDougall, e And
the Band Played On, dove i versi "and the band played on/ in golden
harmony" sembrano un sunto assai emblematico della stessa attuale condizione
dei Black Crowes. Chi avrà la pazienza di comprendere questa loro animosa
opera di ricostruzione della loro storia, pezzo per pezzo, giungerà allora
a …Until the Freeze, il disco "fantasma" che per una strana e non
del tutto comprensibile decisione, arriverà a voi soltanto in formato mp3 (o il
preferibile FLAC) scaricandolo dalla rete. Un compagno speculare, altre nove canzoni
che in verità trovate tutte raggruppate alle precedenti di Before the Frost… nella
sola edizione in vinile (quattro facciate ed ecco svelato l'arcano: i Black Crowes
si curano ancora di un mondo rock in via di estinzione). L'ascolto in tal senso
cambia completamente prospettiva, ma se anche deciderete per il download sappiate
che …Until the Freeze si rivelerà un compagno addirittura più seducente. Un lavoro
che coglie uno spirito più acustico e meditativo, simboleggiato dall'apertura
in aria da raga-folk di Aimless Peacock, il
violino a tracciare una melodia da California psichedelica. Solo una suggestione
per aprire le danze, state tranquilli, perché svoltato l'angolo vi aspetta qualcosa
di simile ad un amoroso aggiornamento dei Grateful Dead periodo bucolico (Workingman's
Dead e American Beauty, ovvio), attraversando di tanto in tanto il grande fiume
della Band (l'anima hillbilly di Shine Along,
l'intonazione gospel di Fork in the River),
il country cosmico di Gram Parsons (una rutilante Roll
Old Jeremiah, la pedal steel nelle mani di Larry Campbell) e
le pulsioni sudiste di Lowell George (la più elettrica The
Shady Grove). Sorprendenti a loro modo, seppure non del tutto inediti,
questi Black Crowes che si infilano nelle maglie dela tradizione, trovando nel
finale lo slancio per ballate dalla dolce malinconia (il dittico Lady
of Ave. A e So Many Times, quest'ultima
unica cover a firma Hillman/Stills). Traspare probabilmente un senso
di dispersione nella formula del doppio disco, con qualche minimo inevitabile
riempitivo, ma è un'abbondanza che non confonde affatto e soprattutto non incrina
quella sensazione di una band colta in un momento di grazia e ispirazione unici.
I Black Crowes hanno ridato un senso pieno alla loro avventura. (Fabio
Cerbone)
www.blackcrowes.com
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