|
Black
Crowes
Warpaint
[Silver
Arrow/ Goodfellas
2008]
I Black Crowes sono sempre stati fuori posto: pare davvero un controsenso,
ma nonostante i milioni di dischi venduti la band dei fratelli Robinson
ha spesso navigato a vista, lottando con ostinazione per mantenere un
senso preciso e antico del fare rock'n'roll. Nel 2001, all'atto del rompete
le righe, erano apparsi irrimediabilmente stanchi, svuotati, una band
su cui il grande business discografico non aveva più intenzione di scommettere.
Così si sono presi il loro tempo: Chris Robinson ha gettato nella
mischia persino due lavori solisti di cui almeno uno, This
Magnificient Distance, degno di lode, mentre il fratello Rich
ci ha provato di rimbalzo senza gli stessi risultati, ma era chiaro a
tutti che la reunion dal vivo del 2005 potesse solamente condurre ad un
riscatto.
Ecco dunque un nuovo disco, Warpaint, ed una nuova vita
o chissà, fieri della propria indipendenza (il lavoro esce per la personale
etichetta Silver Arrow), forse soltanto un vagito che si presterà
ancora una volta ad essere classificato fuori moda: a sette anni di distanza
da Lions, i Black Crowes di Warpaint sono di fatto un'altra band, o meglio
sono tornati esattamente là dove finivano le note dense, profonde di Amorica
e Three Snakes and One Charm. Alla corposità quasi astrale di quegli inni
al Sud e alla sua tradizione si rifanno queste undici canzoni, che acquistano
per strada le chitarre di Luther Dickinson e l'organo di Adam
MacDougall, ma non perdono le intuizioni del passato.
Tanto mestiere in più certo, ma assai poca accademia, perché un singolo
come Goodbye Daughters of The Revolution
non lo infilavano da tempo immemore. È un disco che esce alla distanza
Warpaint, colmo di suoni e sensazioni, di arrangiamenti (Paul Stacey
affianca alla produzione) da primi della classe, ma anche di canzoni raramente
così efficaci nel descrivere la storia della band. Non spuntano per caso
infatti i mandolini e i tenui colori rootsy di Locust
Street, ballata fra le migliori del loro repertorio, così come
la strepitosa conclusione di Whoa Mule,
fra ricami acustici, deep blues, coralità gospel e percussioni, che li
avvicinano più che mai al lascito di Allman Brothers e Little Feat. Luther
Dickinson ha senza dubbio portato freschezza e intelligenza strumentale:
il suo dono si chiama dowhome blues, sporco come il fango del Mississippi
che colpisce nel segno con lo strattone di Walk
Believer Walk, stordisce nel rifacimento di God's
Got It (Reverend Charlie Jackson), vero tumulto rock blues,
sale al cielo nella coda strumentale di Movin'
on Down The Line, orgia southern in cui grondano organi e chitarre.
Ci credono ancora i fratelli Robinson: non sono più giovani e innocenti,
ma il loro afflato pacifista (una bandiera americana solcata dal simbolo
della pace all'interno del booklet) prevede ballate con il cuore in mano
e testi dall'impronta un po' hippie e un po' filosofica. Probabilmente
avranno anche scritto Josephine in
cinque minuti, eppure quest'ultima batte sincera montando una romantica
onda country soul, mentre Evergreen
e Wee Who See the Deep hanno sempre
voglia di arrostire qualche valvola, nel solco di un hard blues di origine
controllata. Se poi Chris Robinson mantiene l'ardire di cantare con questa
passione, perdoneremo ai Black Crowes gli errori passati e futuri, basta
assaporarli un'altra volta
(Fabio Cerbone)
www.blackcrowes.com
|