The
Black Crowes Warpaint
Live [Silver
Arrow/ Eagle 2009]
Con tutto il rispetto per una carriera la cui assai relativa prolificità
(sette album in diciotto anni) la dice lunga sull'attitudine d'altri tempi di
una band che entra in studio soltanto quando ritiene di aver qualcosa da dire
(o quando i suoi componenti sono troppo stanchi per darsele di nuovo...), ritengo
che i Black Crowes, sulla loro strada, non abbiano più trovato produttori
del livello di George Drakoulias e Jack Joseph Puig. Il primo, sul debutto Shake
Your Money Maker (1990) e sul successivo The Southern Harmony And Musical Companion
('92), li aveva portati a distillare in modo pressoché perfetto febbricitante
ribalderia stonesiana, rauco gusto vintage e inclinazioni hard (tutti e tre uniti
da una superba tessitura del songwriting), mentre il secondo ne aveva assecondato
con puntamento irripetibile lo slancio visionario e inzuppato di freakerie funkeggiante
di Amorica ('94) e il magnifico "bringing it all back home" di un Three Snakes
And One Charm ('96) fedelmente devoto al classic-rock settantesco. In confronto,
l'ancora eccelso By Your Side ('99), appaltato alla supervisione del pur bravo
Kevin Shirley, e lo smorto Lions ('01), distrattamente coordinato da Don Was (forse
il produttore più sopravvalutato degli ultimi vent'anni), fanno la figura delle
pallide imitazioni, e più o meno lo stesso si può dire del recente Warpaint,
seppure in questo caso l'asticella del giudizio propenda con decisione qualche
gradino più in alto. Affidato alle cure di Paul Stacey, che aveva rimpiazzato
la chitarra solista di Marc Ford (che aveva rimpiazzato Audley Freed che aveva
rimpiazzato lo stesso Ford che aveva rimpiazzato Jeff Cease...) verso la metà
del 2006, il disco era molto piaciuto agli orfani dei "vecchi" Corvi, oltretutto
galvanizzati dall'innesto in formazione di un lead-guitarist di prima grandezza
come il Luther Dickinson - sei corde ruvida, rootsy e viscerale - figlio
di Jim e col fratello Cody responsabile in proprio dei North Mississippi Allstars,
ma aveva anche suscitato qualche dubbio rispetto a una scrittura apparentemente
incapace di replicare la magia del passato. Ascoltando questo nuovo
Warpaint Live, che ripropone dal vivo, e dalla prima all'ultima
canzone, il disco dello scorso anno, viene da pensare che il problema di Warpaint
non fossero le canzoni bensì una produzione (appunto) un po' tentennante, preoccupata
soprattutto di ripercorrere senza troppo mordente le intelaiature tra radici e
rock sudista del citato Drakoulias e in fondo inidonea a far risaltare il rinnovato
smalto tradizionalista dei fratelli Chris e Rich Robinson. Diciamolo chiaramente:
in un'altra epoca Warpaint Live avrebbe avuto poco senso (e anche oggi, l'edizione
in dvd è comunque preferibile al doppio cd), e l'ipotesi di immettere sul mercato
la trascrizione live di un lavoro fresco di pubblicazione sarebbe stata probabilmente
accolta con qualche perplessità. Tuttavia, nell'ipertesto in continua espansione
della nostra contemporaneità, nel contesto sempre più bulimico di una marea di
offerte discografiche che nemmeno si capisce più a chi siano dirette, Warpaint
Live si inserisce con disinvoltura, di fatto presentando al pubblico quel che
Warpaint poteva essere e a parere di chi vi scrive non è stato. Qui, invece, i
brani prendono quota: senza trasformarsi, per carità, ma lasciando per strada
piccoli impacci, aumentando il coefficiente di improvvisazione e negritudine,
lasciando sciabolare a lungo le chitarre, liberando lo shout e gli sballati sermoni
della sempre splendida voce di Chris Robinson, spingendo il pedale su accelerazioni,
stacchi e scivolate di un organo (rimesso al formidabile Adam McDougal)
che infradicia di gospel e soul ogni nota. Esemplari sono i casi di una spettacolare
Wee Who See The Deep, vero e proprio diluvio
rock al 100% Stones-oriented che si apre a una coda strumentale densa di rasoiate
elettriche, e di una Whoa Mule dove Steve
Gorman si inventa un delirio di percussioni, in magnifico interplay col freewheelin'
vocale del frontman, che fa impallidire il gospel-blues vagamente artefatto della
versione originale. Anche i pezzi meno efficaci, per esempio una Movin'
On Down The Line che in origine non trascendeva il rango di volenteroso
omaggio agli Skynyrds e oggi confluisce in un selvaggio vortice funky di otto
minuti, diventano cicloni di piano, armonica, tamburi e chitarre che, tra assoli,
contorsioni, twangin' e wah-wah a manetta, combinano davvero di tutto (ascoltatevi
la slide di Rich Robinson sulla bluesatissima Walk Believer
Walk). Le bonus-tracks, poi, son tutto un programma: a parte
le autografe Darling Of The Underground Press
(e chi se la ricordava più, questa frustata di blues elettrico che stava sul singolo
di Remedy targato 1992?) e Bad Luck Blue Eyes Goodbye
(sette minuti e rotti di memorabile ballata tra power-blues e melodramma hippie),
sono tutte cover, e la più recente - tanto per capirci - risale al '72 (!). Ci
sono due pezzi che manderanno in sollucchero i fans di Delaney & Bonnie e del
primo Eric Clapton (Poor Eliijah/Tribute to Johnson
dei primi, Don't Know Why del secondo), una
"copertura" devastante della Hey Grandma inclusa
nel primo album dei Moby Grape e gli ineguagliabili Stones di Exile, omaggiati
tramite il country-soul di un'eccezionale Torn And Frayed.
Chi dice, anche in modo simpatico, che l'orologio biologico dei Corvi è rimasto
fermo agli anni '70 ha ragione da vendere ma non coglie il punto cruciale della
questione. In questo campo non conta la stagionatura dei riferimenti (come se,
per dire, un architetto dovesse buttare all'aria i princìpi della statica soltanto
perché stabiliti troppo tempo fa); contano l'energia dell'esecuzione, il movimento,
l'irruenza, la voglia di spendersi e di coinvolgere. Tutti gli elementi, insomma,
che fanno di Warpaint Live un disco da non perdere per nessuna ragione (Gianfranco
Callieri) www.blackcrowes.com
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