Continua l’epica avventura
di Nero Kane nel suo immaginario dark-western che già vi
avevamo presentato con gli album precedenti (Love In A Dying
World del 2018 e Tales
of Faith and Lunacy del 2022) Al solito accompagnato dalle
tastiere di Samantha Stella (regista anche dei suoi video), il
nuovo disco è stato registrato con la collaborazione di Matteo
Bordin, unico musicista aggiunto per ricreare il loro tipico suono
southern-gothic che unisce la lezione dark/new wave a quella del
gothic-country. Dopo un incipit con la citazione dei versi tratti
da The Flowing Light of the Godhead del mistico del 1200
Mechthild Von Magdeburg, dai cui versi deriva anche il titolo
dell’album, il disco si butta subito nel desertico onirico del
singolo Lady Of Sorrow, seguita dalla spiritata declamazione
di Burn the Faith, affidata alla voce di Samantha Stella.
Lo spirito non cambia anche in Vale of The Rest, stavolta
cantata a due voci, basata sull’impasto di chitarre e tastiere,
con testi che scavano nell’anima a cercare quei demoni e angeli
che popolano anche The Pale Kingdom (di nuovo con la Stella
alla prima voce, in un gioco di alternanza utile ad evitare il
rischio di ripetitività che una musica così priva di ritmo può
inevitabilmente incontrare). Fino a metà, infatti, l’album getta
l’ascoltatore in una dimensione lugubremente sognante, finché
The End, The Beginning, The Eternal non trova
anche una bella melodia pur non cambiando toni, come anche il
dialogo su tappeto di organo di Lacrimi Si Sfinti, sorta
di finale lirico prima di due strumentali (o quasi) come The
River Of Light e Sola Gratia, che insistono sulle atmosfere
sonore a loro care. Con Of Knowledge and Revelation
Nero Kane sembra non voler introdurre elementi di novità alla
sua personalissima formula espressiva, ma i passi avanti in termini
di maturità anche in sede di produzione sono evidenti.
Dead
Cat in a Bag We've
Been Through [Gusstaff Records 2022]
Nuovo album per i Dead Cat in a Bag,
creatura discografica di Luca "Swanz" Andriolo che già avevamo
apprezzato nel 2018 con il precedente album Sad
Dolls and Furious Flowers, e oggi nome che rappresenta un
trio completato da Scardanelli e Andrea Bertola, tutti impegnati
autosufficienti polistrumentisti. We’Ve Been Through
prosegue l’idea di dark-folk della band, profondamente debitore
di alcuni nomi che facilmente vengono in mente in alcune occasioni
come Tom Waits (l’iniziale The Cat Is Dead) o David Eugene
Edwards (16 Horsepower, Woven Hand) in Evil Plan, ma di
fatto ormai un personale mix di suoni e influenze. Between
Day and Night, per esempio, ha un incedere suggestivo quasi
da soundtrack (tanto che ricorda un po’ i lavori di Angelo Badalamenti
più che il da loro citato Morricone), il tradizionale Wayfaring
Stranger diventa quasi un blues in una versione davvero particolare,
così come l’altra cover di Hunter’s Lullaby di Leonard
Cohen (poteva mancare?) assume dei toni gotici, così come From
Here piacerebbe molto a Nick Cave. Nel finale Fiddller,
The Ship is Sinking, aumenta il ritmo con il suo mood balcanico,
prima dell’ispirata chiusura della title-track con la bella tromba
di Enrico Farnedi in evidenza. Notevole anche il duetto con la
voce di Alessandra K Soro (vocalist impegnata solitamente nel
mondo del jazz) di Duet For Nothing, e non è la sola collaborazione
visto che la lista dei session-men è lunga e prevede nomi altisonanti
come Gianni Moroccolo (Litfiba, CSI) e Liam McKahey dei Cousteau,
al quale viene affidata la parte vocale di Lost Friends,
fino ai tanti amici italiani presenti (tra gli altri, Michele
Anelli, Andrea Tarquini, il sax di Giuseppe Gulisano) in quello
che lo stesso Swanz definisce un disco corale, in cui pesa molto
anche la mano del produttore Carlo Barbagallo, anche chitarrista
aggiunto della band. Un gran bel ritorno.
Acid
Jack Flashed The
Devil’s Charm [Acid Jack Flashed 2022]
Giacomo Premoli, in arte Acid Jack Flashed,
è uno di quei personaggi che anima ormai da anni la scena indipendente
italiana, scrivendo e producendo musica da Varese fin dagli anni
Novanta (uno dei suoi primi esordi sul palco fu in apertura di
un concerto di Willie Nile e Eric Andersen), anche se è solo negli
anni dieci che ha iniziato una produzione discografica più che
regolare. Il suo nuovo album The Devil’s Charm esce
in auto-produzione e distribuzione, scelta dettata anche dal fatto
che purtroppo oggi sono poche le etichette che possono garantire
un vero e proficuo salto di qualità in termini di promozione.
Per cui al grido di “chi fa da sé, fa per tre”, o anzi di “meglio
due che una folla”, visto che il disco è interamente suonato e
prodotto assieme al fido compare Daniele Danza, “partner in crime”
in una credibilissima rivisitazione di un suono psichedelico puramente
sixties, una operazione se vogliamo nostalgica, che fa però tesoro
di parecchie lezioni anche di band di anni successivi (per esempio
Creeps o Fleshtones). I brani poi erano già stati registrati più
di vent’anni fa per un album autoprodotto che Premoli ha giustamente
ritenuto degno di una versione più aggiornata. Il psycho-blues
della title-track che apre è già più che esplicativo dello stile
con il suo piano un po’ mefistofelico e chitarre acide in libertà,
ma già la successiva Strange Girl With Sad Eyes evoca il
pop più lisergico degli anni 60 con il suo campionario di Mellotron
e Harpsichord, o i toni più garage alla 13th Floor Elevators di
Promises, le orchestrazioni di Cold Cold Winter.
I numeri da primissimi Pink Floyd di The Space Lovers come
un novello Robyn Hitchcock (che apprezzerebbe la leggera Good
To Be Alright) Acid Jack Flashed sguazza in tutti i suoni
che hanno reso grande la primissima stagione del rock e che in
fin dei conti non hanno mai smesso di indicare la via a tutto
quello che verrà dopo.
Andrea
Giannoni At
Home Again [Andrea
Giannoni 2022]
Il blues scritto sulla pelle, echi che vengono
dal profondo nella notte, e si trasformano in canzoni dense e
vitali, sporche e genuine, proprio come è la vita, e come è la
natura di Andrea Giannoni. La pressione di At Home
Again resta inalterata per tutto il corso dei dieci brani,
sia quando attorno alla voce e alle armoniche di Andrea Giannoni
si mobilitano piano e organo (Henry Carpaneto), tromba (Andrea
“Lips” Paganetto) e chitarre (Davide “Youngblood” Serini), sia
quando il sound si fa via via più rarefatto. I suoni sono sempre
densi e avvolgenti, come intensi e potenti sono i blues di Andrea
Giannoni, compresi quelli scritti in simbiosi con Monica Faridone,
una componente fondamentale di At Home Again. Non sono
di meno gli strumentali (Take It Easy o Born In A Wrong
Place) che sono altrettanto sanguigni, anche senza il tormento
delle parole, che poi costituiscono l’elemento trascinante e stridente
che si manifesta in tutta la sua forza in Little Boy of Mine,
una sorta di gospel spiritato, per sola voce e armonica, nella
scarna This Girl Like The Blues e più di tutto in Black
Angel, presente sia nello snodo iniziale e che nella versione
conclusiva, quasi a chiudere un cerchio e a completare un rito,
un esorcismo per tutti i “fantasmi” che inseguono Andrea Giannoni
e, per estensione, ogni bluesman che si rispetti. L’unica concessione
al personalissimo flusso di coscienza è I’m So Lonesome I Could
Cry, omaggio a un altro grande spettro, quello di Hank Williams
che infatti è cantata da Bobby Soul, un’eccezione che,
in sé, conferma l’essenza spiritata di At Home Again.