Due chitarre e due vecchie carte di
identità in copertina raccontano una storia di amicizia
e di passioni musicali condivise che ha origine negli anni
spesso fecondi del liceo, in una stagione che forse molti
di noi abbiamo vissuto con un simile coinvolgimento, sebbene
non tutti abbiano poi deciso di tornare su quei passi per
incidere un disco da uomini maturi. Lo hanno fatto Marco
Grompi e Michele Fortis in questo progetto a
quattro mani, che mette in comune canzoni e suoni di una
gioventù riemersa dopo che le loro strade professionali
si erano divise per tanto tempo.
A metà anni Ottanta il duo aveva approcciato le prime esperienze
dal vivo con la classica proposta acustica, fra cover e
primi abbozzi di brani originali, fino al classico demotape
che non è mai sfociato però nella scelta compiuta di un
vero e proprio disco di esordio. Di mezzo si erano messe
le responsabilità della vita e le scelte di lavoro: dei
due Marco Grompi, un nome che suonerà già famigliare a chi
segue le cronache di questo sito, è quello che è rimasto
dentro il mondo della musica, sia come giornalista e promoter,
sia come musicista, alla guida della longeva storia dei
Rusties, mentre Fortis ha intrapreso la carriera
di medico e in tempi più recenti anche di scrittore.
Proprio dalla collaborazione al reading di Il Paese dei
Ribelli, spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Fortis,
la coppia si è riformata, arrivando alla stesura del qui
presente Winterflowers, dieci bozzetti elettro-acustici
dai fortissimi sapori westcoastiani, languido folk rock
che affonda nei grandi sogni della stagione californiana
dei primi anni Settanta, inciso con l’aiuto degli amici
musicisti Fulvio Monieri (basso, cori), Massimo Piccinelli
(tastiere) e Robi Zonca (chitarra), oltre alla partecipazione
dell’autore Paz De Fina nel ruolo aggiunto di produttore.
Album che suona come una dedica “sfacciata” ai propri innamoramenti
musicali di gioventù, Winterflowers vive di armonie
vocali, chitarre sognanti e omaggi a carte scoperte ai propri
eroi, ricordando ora le famose coppie Stills/Young e Crosby/Nash,
ora gli America dei primi due album, a volte con intuizioni
melodiche pregevoli, altre restando un po’ incastrato nel
gioco di specchi con il passato.
Aimless Blues introduce
al “california dreamin’” di Grompi e Fortis e spiega molto
più di tante parole, anche se il sapore dolciastro della
canzone non pare decollare del tutto, lasciando invece più
possibilità alle armonie vocali e alla bella chitarra elettrica
che spezza il cuore di Little Flower,
sette minuti fra i più coinvolgenti della raccolta. Suoni,
voci e parole restano quelli giusti, e sulla preparazione
in materia del duo non ci sono dubbi: To Fill My Soul,
la deliziosa oasi acustica di Wintersong,
il sinuoso ondeggiare di Waiting On the Beach sono
alcuni dei passaggi più riusciti della raccolta, mentre
qualche punto sembrano cederlo nei momenti rock più accesi
come Like a Miracle o in ballate dai colori cangianti,
dal country rock al pop, quali Brand New Day. Tutto
si esprime dentro il gusto artigianale e appassionato dal
quale sembra scaturire l’intero Winterflowers, un
album che appare piuttosto un ritrovarsi attorno a vecchie
emozioni, un primo approccio che necessita di ulteriori
affinature e annuncia futuri sviluppi.