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Nero Kane
Tales of Faith and Lunacy
[BloodRock Records 2020]


File Under: spiritual trip

nerokane.com

di Nicola Gervasini

Non è mai finito il viaggio dell’italiano Nero Kane attraverso i misteri della provincia americana, e se con il precedente Love In A Dying World, che vi avevamo presentato due anni fa, il viaggio attraversava i deserti americani anche come colonna sonora di un interessante cortometraggio, stavolta la tappa della sua profonda ricerca spirituale, pur partendo comunque da una tradizione d’oltreoceano, approda nell’Europa antica dei mistici cristiani (Metchild) e delle cupe atmosfere medievali che l’inserimento degli archi (il violinista è Nicola Manzan dei Bologna Violenta) ha portato nella sua musica. In ogni caso la formula resta quel suo tipico e originalissimo approccio decisamente psichedelico alla materia folk, qualcosa che ha rimandi all’America raccontata cinquant’anni fa dai Pearl Before Swine, ma venati della religiosità pagana dei testi, di vere e proprie preghiere gospel come Mary Of Silence e Magdalene, e passati al setaccio poi dall’oscurità del country di Johnny Cash (I Believe e Lost Was The Road) o dell’arte del racconto noir in musica creato da Nick Cave e poi da PJ Harvey nel corso del tempo (Angelene’s Desert). Lo accompagna, come al solito, la poliedrica Samantha Stella alla voce e alle tastiere, che, oltre ad essere l’autrice di alcuni dei testi, è anche la regista dei suoi suggestivi video, sempre in bilico tra sacro e profano. Lo è ad esempio anche il bianco e nero scelto per il lancio del nuovo singolo Lord Won’t Come In, dichiarato omaggio al regista Bela Tarr. In ogni caso ancora una volta un prodotto multimediale che andrebbe apprezzato anche nelle loro performances dal vivo. Il disco, prodotto da Matt Bordin, è distribuito anche nelle versioni in vinile (Nasoni Records) e musicassetta (Anacortes Records).


 


Odla
Oltre il cielo alberato
[Snowdonia 2020]


File Under: Cantautori e detta schiera

snowdonia.bandcamp.com

di Nicola Gervasini

Giovane e poliedrico (ha al suo attivo anche un libro di poesie), il trentino Odla approda alla Snowdonia (l’etichetta dei Maisie) beneficiando della loro passione per i progetti musicali nati con spirito letterario (e spesso accompagnanti da veri e propri libri) per il suo primo album Oltre il Cielo Alberato. Si tratta di un concept che prova a tracciare una linea parallela tra la storia personale dell’artista, fatta di tutte le problematiche in cui può facilmente incappare un ventisettenne italiano di oggi (depressione, delusioni amorose, frustrazione da lavoro precario e poca fiducia nel futuro) e la vita (questa invece immaginaria) di Hassan, bambino in perenne fuga dalla guerra, per cui la speranza rappresenta non più un lusso, ma una necessità. Nessun intento politico o polemico però nel confronto, ma solo una ricerca di un tratto comune esistenziale da esprimere nei versi di undici brani che si rifanno a quella nuova tradizione di cantautorato italiano con De Andrè e Fossati nel cuore, comunque figlia della storia scena indipendente italiana di questi anni 2000. Il suono, realizzato in collaborazione con il produttore roveretano V.Edo, è scarno e acustico, ma non mancano i diversivi come la quasi-tarantella di I Pescatori di Lete, impreziosita dal mandolino siciliano di Davide Prezzo. Diviso tra pezzi lenti e oscuri come Il Sogno di Una Madre ad altri anche più scanzonati e cantabili come Al Fuoco di Luna, Odla lavora bene anche sugli arrangiamenti, da quelli più da folk psichedelico anni 60 come All’Alba Una Terra a quelli con taglio più da canzone popolare (San Giuseppe da Copertino), anche se ovunque la base resta il suo arpeggio alla Leonard Cohen prima maniera.

     


Roberto Menabò
The Mountain Sessions
Blues & Guitar Excursions

[Roberto Menabò 2020]


File Under: mountain blues

robertomenabo.it

di Fabio Cerbone

Un volto gentile, che esprime empatia, seduto lì tra i monti dell’Appennino emiliano, dove Roberto Menabò insegue i suoi blues come si trovasse in una seduta di field recordings degli anni Trenta, nell’America tutta sabbia e polvere della Grande Depressione. Ricercatore, divulgatore di storie di blues prima ancora che musicista colto e tecnicamente preparato, Menabò incide quando sente l’esigenza di esprimere dei sentimenti, e poco importa che siano passati dieci anni dal precedente album, Il profumo del vinile. Nel frattempo si è dedicato alla stesura di piccoli libri preziosi, come “Il blues ha una mamma bianca” o “Mesdames a 78 giri”, sulle tracce di musicisti dimenticati, di aneddoti più che di pedanti ricognizioni critiche. E così è anche il suono che ci arriva da questo nuovo The Mountain Sessions: Blues & Guitar Excursions, sette brani cantati, cover che pescano nella memoria di vinili gracchianti, e che si intervallano a strumentali composti dallo stesso Menabò. Niente di convenzionale, e dunque niente Robert Johnson o Son House, perché le varie Tom Cat Blues, Worried Blues, Shaggy Dog Blues arrivano dal repertorio di Cliff Carlisle, Frank Hutchison, Buddy Boy Hawkins, bianchi e neri uno accanto all’altro, segreti di quel folk blues che Roberto Menabò restituisce con un passo educato e solitario, una voce che non sarà dura e rauca come richiedono i luoghi comuni del genere, ma possiede il garbo di uno dei suoi eroi, Mississippi John Hurt (da lì arriva certamente il classico Stack O’Lee), e bene si sposa con la fluida tecnica in rigoroso fingerpicking acustico, “primitive guitar” come la definisce lo stesso Menabò, innamorato delle suggestioni antiche che può evocare questo stile. Gli strumentali in tal senso sono del tutto rivelatori: l’amore per i treni (e come altrimenti?) richiamato in Il Settebello della Direttissima e nell’incalzante L’ultima littorina, mentre titoli come Spuma bianca e juke box o Il ponte romano sulla Dora (Menabò è di origini piemontesi) sembrano dischiudere memorie e luoghi con il solo potere delle note.


 


The Fullertones
Stay Electric
[Il popolo del blues/ Fullertones 2020]


File Under: hard (rock) blues

thefullertones.it

di Fabio Cerbone

Stay Electric, dichiarazione di intenti per questo quartetto toscano, fin dal titolo e dall’omonima canzone, in bilico fra le evidenti radici blues alla base della loro scrittura musicale e le pulsioni rock che trascinano gli arrangiamenti. Terreno scivoloso e anche ben arato quello in cui si avventurano, rock blues muscoloso e dalle chiare derivazioni “settantesche”, che sembra avere già detto molto, ma nel quale la differenza possono farla l’attitudine, il sound, l’immediatezza. The Fullertones ne catturano qualche scampolo lungo il percorso e portano a casa un discreto risultato, pur senza allontanarsi troppo dalle regole del genere, che prevedono una ritmica incalzante e qualche volta dalle trame funk, ma soprattutto una coppia di chitarre pronte a sciogliere le briglie. Nati nel 2017 dall’incontro fra la voce di Francesco Bellia e la chitarra di Lou Leonardi (principale solista nonché autore nel gruppo, con una lunga militanza nei Lou & The Blues tra festival e collaborazioni internazionali), si completano con il basso di Lorenzo Alderighi (un’esperienza nei Diaframma) e la batteria di Matteo D’Alessandro. Un periodo di rodaggio, qualche cover per trovare un’identità, l’esperienza dal vivo, ed oggi i nove brani originali di Stay Electric, che morde fin dal principio con Fairyland e la compattezza di Wise Up, hard blues a forte trazione rock sulla scia di band come i Gov’t Mule, per citare i migliori discepoli di questo sound apparsi in questi anni, e che lavora bene anche sull’amalgama delle voci. Deal With the Devil si attiene alla formula e ricorda la Walkin’ Blues che fecero gli Hindu love Gods di Warren Zevon, mentre Sheep Dogs e Can You Hear Me o il finale funkeggiante di I Believe hanno un sapore texano e boogie, sebbene gli epsiodi più interessanti per il futuro dei Fullertones paiono semmai quelli psichedelici e dilatati di Way Down e Two Steps o della stessa Stay Electric, classic rock dal passo stradaiolo.

 


<Credits>