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05/07/2007
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![]() Ryan
Adams Qualcuno sarebbe pronto a
giurare che l'unico vero Ryan Adams che abbia visto brillare sia
il giovane e ingenuo leader dei Whiskeytown; qualcun altro invece continua
a rimpiangere il folksinger fragile e romantico di Heartbreaker; altri
ancora, noi per primi, non rinuncerebbero per nulla al mondo alla perfezione
classic rock di Gold
e di Cold
Roses. Via di questo passo esiste un Ryan Adams per tutte le
stagioni, talento straripante, sconclusionato, sciupatore di canzoni e
frenetico songwriter che in otto anni scarsi di carriera solista ha arricchito
il bottino con nove uscite di studio, numerose iniziative parallele e
scarti che fanno la gioia dei cacciatori della rete. Easy Tiger
mette un freno a tutto questo, raccoglie le idee e sintetizza il lavoro
sin qui svolto con molto mesterie, una voglia di crescere e mettere la
testa a posto che si trascina dietro però una dose insolitamente
scarsa di passione e sincerità. Non ha sbagliato chi ha visto in
questo nuovo capitolo un riassunto delle puntate precedenti, quasi a voler
riprendere la bussola dopo l'abbondante raccolto del 2005, con la bellezza
di tre dischi in dodici mesi. Purtroppo le intenzioni non si sono tradotte
in un disco febbricitante e ispirato come al solito, ma in una antologia
di ballate, mid tempos, rock da strada maestra e profumi roots che mantiene
la forma e perde un poco di sostanza. Ci sono ancora i Cardinals,
con Neal Casal a dirigere la baracca, Jamie Candiloro (che aveva
lavorato anche su Rock'n'roll) a supervisionare e Sheryl Crow nel
duetto di Two, a ricoprire il ruolo che un tempo è stato
appannaggio di Emmylou Harris e Norah Jones. Tutto fila secondo copione
insomma, o quasi: perchè se è vero che non si possono muovere
appunti alla struttura musicale di una Goodnight Rose figlia di
Cold Roses e dell'amore per i Grateful Dead, alle rotondità di
Two Hearts ed Everybody Knows, al country rock corale di
Tears of Gold, discendente diretto di Jacksonville
City Nights, ne tanto meno al pizzicare acustico, come sempre
malinconico e poetico di Oh My God, Whatever, Etc. o alla schietta
visione roots di una deliziosa Pearls on a String, è altrettanto
vero che gran parte di questa bellezza l'abbiamo già ammirata,
rivoltata in più occasioni e puntualmente incensata. E allora occorre
discernere una volta di più l'ammirazione, immutata, per un songwriter
che ha saputo come pochi in questi anni sintetizzare l'arte dello scrivere
rock in maniera classica dal giudizio critico di chi non poteva forse
attendersi ad ogni giro un piccolo capolavoro. Restano i brandelli di
verità che sprizzano da The Sun Also Sets e dall'armonica
che chiude il viaggio sulle note di I Taught Myself How to Grow Old,
come se Ryan Adams volesse riacciuffare in un momento il trasporto del
suo esordio solista. Non è affatto una caduta Easy Tiger, è
soltanto una routine dentro un romanzo che ci aveva abituato forse
a vette troppo alte. |