Gotta Sing High
Intervista a Kenny White

Quella del newyorkese Kenny White è una vita intera spesa nel mondo della pubblicità, che lo ha visto in veste di autore dei jingle per celeberrime campagne pubblicitarie televisive in America, dalla Coca-Cola alla Pontiac. Oltre a ciò le sigle TV, gli spot radiofonici, il lavoro di produzione e tanto altro. Fino a quando, nel 2002, ha deciso di realizzare un primo esperimento da cantautore con Uninvited guest. Qualche anno dopo un demo del suo successivo Symphony in 16 bars è finito nelle mani della signora del folk Judy Collins, ed è stato amore al primo ascolto. Da lì al contratto con l'etichetta Wildflower, fondata in America proprio da Judy Collins, il passo è stato breve. Oggi Kenny White racconta, tra nostalgia per il passato e introspezione, il capitolo più recente della sua discografia, Comfort in the Static.
(Giulia Nuti)

www.kennywhite.net
www.wildflowerrecords.com


L'intervista
(a cura di Giulia Nuti)



Comfort in the static: ci racconti qualcosa dell'idea alle spalle del tuo nuovo album?

Il titolo si trova in un verso della canzone Useless Bay, contenuta nel disco. Da una parte c'è il significato letterale di fuga dalla confusione del mondo circostante, ma soprattutto il titolo vuol dire altro, si riferisce al mondo delle vecchie radio a valvole. Mi sono molto ispirato a questo mondo. Static è quel rumore di interferenza nella ricezione tipico delle vecchie radio. In Useless bay in una strofa si parla di me che trovo una vecchia radio, l'accendo e più che suonare fa solo rumore, ma per me c'è "comfort in the static". Quando ho acceso quella vecchia radio mi sono accorto che quell'antico suono disturbato che oggi non c'è più mi mancava tantissimo, era veramente un suono rassicurante

Sembra che in Comfort in the Static ti sia posto come obiettivo quello di essere molto onesto e trasparente verso che ti ascolta, è così?

Quando il matrimonio con mia moglie è finito, alcuni anni fa, per me è stato un periodo molto difficile. Mi sono rivolto ad un analista. D'altronde a New York o vai da un analista, o sei un analista... Con mia grande sorpresa mi disse che ero bravissimo a parlare, con la particolarità che potevo parlare per delle ore senza dire assolutamente niente. Questo mi colpì molto. Ha avuto un effetto su di me e anche sul mio modo di scrivere. Devo ringraziare il mio analista insomma!

Il lavoro di produttore è una fase a cui molti autori giungono dopo le proprie carriere soliste. Per te è stato l'opposto

In un certo senso sì. Il mondo della pubblicità in cui ho lavorato per tanti anni è meraviglioso ma ad un certo punto ho pensato che mi mancava ancora qualcosa. Oggi inoltre quel mondo è molto cambiato rispetto agli anni 80. E poi sì, ho prodotto e produco ancora oggi vari album, per citare i più recenti gli album di Peter Wolf, Shawn Colvin, Marc Cohn. Ma in tutto questo sentivo dentro il bisogno di scrivere le mie canzoni e scommettere su me stesso. Alla fine così è stato ed oggi per me questa è una priorità, ma ci sono arrivato abbastanza recentemente

Essere un produttore ti ha aiutato a produrre te stesso?

Di certo è importante perché a tanti artisti che hanno buone idee manca il guizzo finale nel lavoro. Come produttore io amo arrivare alla fine, senza mettere le mani sulla scrittura delle canzoni. Qualche volta in passato ho lavorato con giovani artisti che avevano idee ma avevano bisogno di una mano nel completare i brani, ma è un lavoro diverso e molto faticoso che non faccio più. Voglio produrre brani che si reggono già in piedi sulle proprie gambe. Le canzoni devono funzionare chitarra e voce, il resto viene dopo.

Lavorare per molti anni nella pubblicità cosa ti ha insegnato?

In pubblicità devi scrivere un brano di 30 secondi e fare in modo che al suo interno contenga tutto. Il segreto dei grandi jingle è far sembrare un brano di pochi secondi una canzone di tre minuti, non si deve avere la sensazione che il brano sparisca in un batter d'occhio. Inoltre devi cercare costantemente il gancio che catturi l'attenzione dell'ascoltatore. Si parte con scrivere qualcosa che normalmente è troppo lungo, dopo di che è la volta di un accurato lavoro di cesello in cui si tagliano le parti in più. Si taglia è ci si accorge di non aver mai tagliato abbastanza

Qualcosa di questo insegnamento rimane nelle tue canzoni da solista?

A parer mio no, paradossalmente nei miei brani seguo un percorso diverso. Anche se, ad esempio, scrivere musica per la pubblicità ti insegna ad arrangiare i brani. Quando si scrive un jingle non è difficile solo concentrare la musica in trenta secondi, ma anche gestire in così poco tempo le dinamiche. Il brano deve crescere d'intensità e diminuire e, se non stai attento, ti ritrovi che mentre ci stai ancora pensando il brano è già finito.

Hai curato tu gli arrangiamenti del tuo disco?

No, mi sono affidato ai bravi musicisti che hanno collaborato con me. Ho lasciato ad ognuno la possibilità di dare il suo contributo. Per quanto riguarda gli archi ho affidato brani come Last Night interamente a Stephen Barber, che mi ha rimandato indietro le registrazioni con l'aggiunta di arrangiamenti che ho trovato molto belli e adatti. Spesso ha aggiunto poche note ma quelle giuste, che in musica non è cosa da poco.

Nel tuo album c'è anche una componente ironica, come nel brano Gotta Sing High...

E' una presa in giro del pop patinato da classifica con cui troppo spesso ci bombardano. Le canzoni pop sono tutte uguali e il segreto degli ultimi tempi sembra quello di cantare il più alto possibile. Allora il brano diventa una specie di manuale ironico per avere successo nel mondo del pop: sorridi, sii carino, scuoti i capelli, ripeti i ritornelli all'infinito e soprattutto "canta in alto, e se puoi anche un po' più in alto". Musicalmente il brano si muove seguendo ciò che il testo consiglia, creando un effetto di parodia.

Prossimi progetti?

Non sono bravo con il bricolage, ho troppi scheletri nell'armadio per darmi alla politica... quindi penso che continuerò a fare dischi! I miei prossimi obiettivi sono evitare di ripetermi, prendermi dei rischi sempre maggiori, essere meno severo con me stesso e autocensurarmi il meno possibile.




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