:: James Talley
Il blues di Nashville


Questo è il risultato di un breve scambio di opinioni via e-mail con il cantautore americano James Talley, il quale, come un fiume in piena, parla del music buisness in Nashville, delle sue ultime fatiche discografiche, dell'indipendenza di un artista grazie all'avvento diInternet, delle sue radici musicali e della sua famiglia
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Recensione di Woodie Guthrie and Songs of...
Recensione di Nashville City Blues



Nashville city blues è una canzone dura e ironica a riguardo del music buisness in Nashville: quanto pensi questa città ed il suo "country-pop" abbia rovinato la vera tradizione della country music?

La country music, o meglio la musica di Nashville, ha avuto una lunga evoluzione. È nata molti anni fa ed è diventata in primo luogo una giovane industria dove le tecniche di registrazione furono sviluppate alla fine degli anni ’20. Ralph Peer andò a Bristol, Tennessee e registrò Jimmy Rodgers e la Carter Family nel 1927. John Lomax viaggiò per tutto il sud registrando blues singers di colore e altra musica rurale degli anni ’30. Questa era folk music, la musica della gente, era musica che la gente della campagna suonava per intrattenere se stessa e I suoi amici, dopo una faticosa giornata di lavoro. Era musica onesta e possedeva un grande feeling. Nei primi tempi e probabilmente fino anche agli anni ’60, le case discografiche cercavano talenti, gente che avesse uno stile originale e qualcosa da comunicare. Fred Rose fece crescere Hank Williams, Don Law registrò Bob Wills e Harold Bradley fece lo stesso con Patsy Cline. Agli inizi dei settanta ci fu una rivoluzione nelle tecniche di registrazione, per esempio il 16 tracce e il 24 tracce. Potevi cancellare gli errori da una performance, potevi aggiungere o togliere della strumentazione; era nata l’era del produttore. Il produttore diventò la vera star, gente come Billy Sherrill, Jimmy Bowen e altri. Nel corso degli anni l’artista fu ridotto alla fine in un cantante con alle spalle una band. Non era più lo stile dell’artista, quanto quello del produttore. Naturalmente i migliori artisti riuscirono a mantenere la loro personalità a dispetto del controllo del produttore, gente come Merle Haggard, Willie Nelson o George Jones. Ma ci furono molti altri che caddero nella formula che il produttore sapeva volevano le radio per i loro ascoltatori.

In questo gioco un po' perverso che ruolo hanno ricoperto le radio?

In questo stesso periodo la radio country stava stringendo la sua morsa sulle compagnie discografiche e la musica in genere. Alcuni programmatori si sentivano Dio e potevano imporre la musica alle case discografiche. Queste ultime necessitavano della radio per promuovere i loro artisti. I consulenti radiofonici cominciarono a dar vita ai "focus group" e se per esempio il consulente tornava dalla casa discografica con la sua "ricerca" e diceva di levare la steel guitar da quel disco, cosicchè la radio lo avrebbe suonato, la canzone veniva remixata e la steel rimossa. Con la deregolamentazione delle radio nel 1996, la situazione si è ancora più impoverita. Ora le uniche stazioni innovative sono le college radio e quelle pubbliche. Tutte le altre dormono sonni tranquilli con i soldi delle majors e puoi sentire lo stesso tipo di musica stagnante in ognuna di esse. Ricorda, la musica per le radio è solamente qualcosa per catturare l’attenzione degli ascoltatori tra i vari break commerciali. Non mi piace apparire così cinico, ma questa è la realtà. Anche la televisione e l’avvento del cavo ha cambiato le cose. Non è più sufficiente cantare bene, devi anche apparire appetibile!

Insomma sembra essere tutto una questione di immagine...

Negli anni novanta l’immagine, il tuo aspetto fisico è diventato tutto. Prima che una casa discografica perda tempo nell’ascoltare una cassetta di un artista, vuole prima vedere le sue fotografie. Se non appari come una modella da copertina, non hai speranze. Il talento ha ceduto il posto all’attrazione fisica. Anche la musica ha continuato ad essere annacquata dai produttori. Ha iniziato a suonare come I jingles pubblicitari. Tutte le canzoni sono registrate con un metronomo, una "click track". Il ritmo non cambia mai. Il problema consiste nel fatto che tutto ciò è in definitiva noioso, perché il cuore umano si muove con il battito e non come un metronomo. Questi pezzi sono sostanzialmente sterili e insoddisfacenti, perché non sono abbastanza umani. Tutto ciò non è stato frenato dall’assidua promozione della Country Music Association e dalle majors, che hanno spinto sempre di più sulle vendite. La "cassa" è diventata più importante dell’arte. La crescita degli artisti è finita. Se ne sono andati i giorni quando una casa discografica poteva far uscire cinque, sei, dieci albums prima che decidesse di "stroncare" o favorire la carriera di un artista. Se un uscita discografica non ha sfondato appena giunta sul mercato, questi sono lasciati a piedi dall’etichetta e si passa al prossimo. Se getti abbastanza fango sul muro, qualcosa rimarrà appiccicato. Qualsiasi "crescita" un disco possa avere, dovrebbe avvenire da sé. Le spese di gestione delle case discografiche sono diventate così imponenti, gli stipendi dei dirigenti così assurdi, che dei modesti successi non sono più sufficienti. Le majors hanno perso la loro abilità nell’essere imprenditoriali sotto qualsiasi aspetto.


Penso che un antidoto sia il cosiddetto movimento dell’alternative country: ti piacciono alcuni artisti di questa scena?

Si, ci sono molti artisti di talento nell’area alternativa. La maggior parte di questi incidono per le etichette più piccole e indipendenti. Il grosso dell’innovazione oggi sta avvenendo nell’arena delle case discografiche indipendenti. Alcune di esse non hanno dimenticato che ciò che vendono è musica, con una sensibilità. Stanno lavorando a testa bassa e non devono vendere tante copie quante le majors per chiudere in pareggio. Naturalmente non possono assicurare la stessa situazione finanziaria che gli artisti hanno dalle majors, così questi ultimi fanno meno soldi e lo stesso vale per l’etichetta. Le majors sono essenzialmente delle banche e la maggior parte delle banche sono conservatrici, orientate "a fare cassa". Nello stesso tempo il potere delle radio è decisamente calato a favore di Internet, cosicchè la radio non è più la sola via per diffondere la musica. Non ci potrebbe essere un tempo migliore, dopo l’era di Sam Phillips nei cinquanta, per dare vita ad un’etichetta indipendente.

Secondo me il suono del tuo nuovo disco ricorda molto i tuoi lavori degli anni settanta. Sei d’accordo e sei soddisfatto del risultato finale? La produzione in questo senso sembra quasi perfetta.

Durante la mia intera carriera ho avuto il lusso e la responsailità (I soldi sono finiti qui!) di produrre I miei album come volevo che venissero prodotti. Anche quando ero alla Capitol nei ’70, mi hanno lasciato produrre I miei dischi. Frank Jones, che era allora il capo della Capitol Nashville, capì semplicemente che avevo il mio stile e che avrei dovuto produrre la mia musica come lo ritenevo più opportuno. Era uno degli ultimi superstiti della generazione dei veri amanti della musica, gente come Don Law, John Hammond e Jerry Wexler. Quando sono entrato in studio ho cercato di omaggiare le canzoni che stavo registrando con I musicisti che avevo a disposizione. Ho cercato di tirare fuori il meglio da loro. Gli ultimi due dischi sono stati incisi fuori Santa Fe, New Mexico. I musicisti sono stati veramente bravi, ma non era gente da sessione come avevo in Nashville. Ci hanno messo tutto il loro cuore nel disco. Nel New Mexico non avevo certo a disposizione alcuni musicisti di Nashville, così ho utilizzato al meglio quello che avevo. Per questo l’arrangiamento possiede un certo gusto e rende giustizia alle canzoni e questo è ciò che importa. Avessi registrato le stesse canzoni in Nashville, avrei ottenuto un disco eccelente, nel mio stile personale, ma sarebbe stato un disco diverso. Io sono alla ricerca del feeling, non di una formula. Ho una parte del mio cuore in ogni verso di queste canzoni e voglio che si incontrino con l’ascoltatore. La funzione dell’arte è quella di scuotere la gente, non di annoiarla. Non ho mai cambiato la mia filosofia di produzione, dal primo disco al più recente. Alcuni possono suonare meglio di altri per l’ascoltatore e questo è normale; la mia musica, come sai, attraversa un ampio raggio di soggetti e sentimenti.

Hai prodotto i tuoi ultimi due dischi sulla tua etichetta, la Cimarron records: una scelta felice? Penso che la rete sia uno strumento molto potente per crearsi una carriera indipendente, molto lontano dal "Nashville music buisness".

Immagino che debba essere per forza soddisfatto. Ho cercato per dieci anni di riguadagnare interesse con la mia vecchia etichetta, la Capitol. Ho sprecato dieci anni nel convincerli a ristampare I miei vecchi dischi. Ho tenuto in serbo l’album su Woody Guthrie, registrato nel ’94, per loro, così come Nashville City Blues. Ho fermato la loro uscita, aspettando una loro risposta. Sono passato attraverso negoziazioni con quattro diversi presidenti della Capitol. Sono volato due volte a Los Angeles per incontrarmi con loro e finalmente ho chiuso la faccenda con un accordo che mi dava il controllo dei miei masters. La mia vita non è poi così lunga, per cogliere questo periodo e realizzare la mia musica, e con le possibilità di Internet sembrava il momento di lanciare la Cimarron records. Come dicevo prima, questo è un periodo veramente ricco per realizzare musica indipendente e sono contento che questi cambiamenti e nuove opportunità siano accadute per caso. Internet ha cambiato il mondo.

Il tuo meraviglioso tributo alle canzoni di Woody Guthrie: ci hai messo la tua personalità nelle interpretazioni, per questo motivo il disco suona alla grande. Che feeling volevi ricreare registrando questo album?

Volevo un disco di canzoni di Woody che fosse accessibile a tutti, un disco che, quando lo ascoltavi, avresti avuto una familiarità con questo periodo della storia americana. Vengo dall’Oklahoma, lo stesso stato di Woody Guthrie. I miei genitori avevano circa la sua età. Mio padre morì all’incirca nello stesso periodo di Woody. Aveva rovinato la sua salute lavorando nella fabbrica di plutonio ad Hanford, Washington, quando ero ragazzo. I miei genitori attraversarono la Grande Depressione degli anni ’30 in Oklahoma. L’ho sentito per tutta la vita questo fatto. Erano democratici e sostenitori di Roosevelt, gente operosa, contadini. Il sentimento popolare scorre profondo nella mia famiglia. Mio padre era così orgoglioso di essere dell’Oklahoma che era solito catarmi da piccolo Oklahoma Hills. Quando ho scoperto l’opera di Woody alla scuola superiore, penso che avessi circa quindici anni; mi parlava della mia gente. Diventò un punto di riferimento. Era musica semplice, profonda ed espressiva allo stesso tempo. Ho suonato queste canzoni per quasi quarant’anni. Sono una parte di me e del mio patrimonio, così, certo, c’è parecchio di me stesso in queste interpretazioni.

In questi anni c’è stato un nuovo interesse nell’opera di Woody Guthrie: pensi che in questo modo i giovani possano avvicinarsi alla sua musica? Un modo potrebbe essere ascoltare un disco come il tuo o Mermaid avenue di Billy Bragg & Wilco: ti piace?

Si, penso che queste nuove collaborazioni musicali sugli scritti di Woody siano eccellenti; e potrebbero spingere I giovani ad avvicinarsi verso la sua musica. Quando lo faranno scopriranno le mie interpretazioni tanto quanto le vere e proprie incisioni di Woody. Musicalmente queste nuove interpretazioni non sono come lui le avrebbe fatte. Usava melodie più semplici ed arrangiamenti meno sofisticati. Non sono semplicemente omaggi a Woody, ma vere collaborazioni. Non c’è niente di male in questo.

Cosa ne pensi dell'ultimo disco di Steve Young, Primal Young? Penso sia un album profondo, forse il suo migliore.

Steve Young è mio amico da più di venticinque anni. Proprio lo scorso week-end siamo usciti per mangiare cibo messicano. È uno dei singer-songwriters più talentuosi che conosca. Molto sottovalutato e tuttora poco promosso. Il suo nuovo album è formidabile, ma lo sono tutti I suoi dischi. Uno dei miei favoriti è Honky Tonk Man. Molta gente pensa a lui come ad un songwriter, ma è anche un grande interprete. Non finirò mai di elogiarlo!