James Talley
Nashville City Blues
Cimarron
2000




Compare tra noi l’annunciato seguito dello splendido tributo a Woody Guthrie: Nashville city blues non è però un disco di covers, seppur bellissime, ma raccoglie finalmente canzoni dello stesso James Talley, registrate tra il ‘95 ed il ’98, sempre grazie all’aiuto dell’amico Gregg Thomas. Gli intenti di James Talley erano quelli di sviluppare un disco che puntasse l’accento sulle sue radici country-blues dai sapori sudisti, partendo proprio dalla title track, un’ironica e feroce satira sul music business nella capitale dei finti cowboy tutto lustrini e canzoncine pop. Il disco vede la luce solo oggi per i soliti fastidiosi problemi legali grazie alla Cimarron Records, oasi indipendente messa in piedi dallo stesso James, mettendo in mostra un’incisione perfetta, anche per merito dei musicisti coinvolti. Graffiante davvero il country-rock-blues della title track, con la chitarra e la voce di Jono Manson in sessione a dare corpo al brano: un sound elettrico di prim’ordine che si ripete purtroppo raramente nel resto del disco, giusto in occasione del classico passo rock’n’roll di House right down the road. Ai gusti personali però è sempre meglio anteporre il valore delle canzoni: la classe non manca di certo a James Talley, ed il suo inconfondibile marchio di fabbrica ritorna prepotentemente in primo piano in ogni singola nota di questo apprezzabile coming back. Rough edge, Workin’ for weges e You can’t get there from here sono nuovamente sintonizzate sulle frequenze di un country-blues leggermente elettrificato e dal gusto impeccabile, mentre Streamline flyer ne fornisce una versione più acustica e ruspante. Down on the corner è country-rock swingato che porta dritti in Texas e la successiva Don’t you feel low down una variazione in chiave più soft e d’atmosfera. Baby needs some good times e When I need some love sono invece due ariose ballate che sfoggiano un sound da pieni anni settanta, ricordo della migliore stagione del country-rock. Effetto che non riescono invece a ricreare altrettanto bene brani come So I’m not the only one e la conclusiva I’ve seen the bear, un po' fiacche o semplicemente più di routine. Niente che possa comunque inficiare il peso del songwriting di James Talley.