1988 |
American
Music Club | California
[Frontier] | |
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Al terzo album Eitzel e soci realizzano il loro masterpiece:
mai più si esprimeranno su questi livelli, neppure nelle numerose prove soliste
il loro leader riuscirà ad essere tanto ispirato; il disco è un sapiente cocktail
tra ballate impressionistiche e lisergiche (da brivido Pale
Skinny Girl), folk rock di maniera (stupenda Lonely),
sommovimenti Younghiani e Waitsiani (rispettivamente in Somewhere
e in Bad Liquor) e dolcissime carezze in musica
(la delicata Blue and Grey Shirt e il folk
di cristallina purezza di Jenny) ma sono la
voce angosciata di Mark ed il pessimismo cosmico e depresso dell'incedere del
suo script che regnano sovrani in tutto il disco e siglano una prova di grande
pathos (GZ) |
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1988 |
Beasts
of Bourbon | Sour
Marsh [Red Eye] | |
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Un lugubre rantolo swamp blues si accompagna ad uno spiegamento
di chitarre allucinate: i Beasts of Bourbon fanno a pezzi le dodici battute
mettendole sulla graticola del loro losco passato fatto di punk e garage rock.
Nati come una sorta di diversivo delle più oltraggiose band australiane del periodo
(Scientists, Johnnys, Cruel Sea…), da supergruppo delle sozze cantine si trasformano
in una seria avventura musicale: Sour Marsh è il loro secondo e
inimitabile capitolo, vertice di una nuova onda del blues rock che Tex Perkins,
frontman diabolico, e Kim Salmon, chitarra solista, trasformano in un baccanale
raccapricciante. Al confronto il Nick Cave del periodo, tramonto degli anni ottanta,
appare come una scolaretta alle prime armi. (FC) Take
#2, prova anche: The Axeman's Jazz
(Red Eye 1984) |
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1988 |
Camper
Van Beethoven | Our
Revolutionary Sweetheart [Virgin] | |
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Le radici del rock'n'roll da queste parti assumono un connotato
più eccentrico e cosmopolita, eppure basterebbe la cover del traditional folk
O' Death per giustificare la presenza dei
Camper Van Beethoven in lista: in tempi non sospetti riempiono le frequenze
delle radio dei college americani di danze tzigane, ballate folk dissonanti, bizze
psichedeliche e pop music un po' anomala. Violini e mandolini vanno a braccetto
con tastiere e chitarre da sbornia del dopo punk. Our Revoutionary Sweetheart
è il loro salto nella maturità, primo disco per il colosso Virgin, ed anche capolavoro
di sintesi fra le stravaganze del passato e la pienezza rock del presente. David
Lowery passerà definitivamente il guado con i Cracker, ma qui è racchiusa un'eredità
più seducente e surreale (FC) Take
#2, prova anche: Camper Van Beethoven
(IRS 1986) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1988 |
Cowboy
Junkies | Trinity
Session [RCA] | |
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27 novembre 1987, Toronto, Canada, Chiesa della Santà Trinità:
i Cowboy Junkies dei fratelli Margo, Michael e Peter Timmins prendono country
e rock per lasciarli fluttuare in una dimensione sospesa tra il sonno e la veglia,
il candore e la stregoneria. Sognano Elvis (Blue Moon
Revisited), scarnificano Lou Reed (Sweet Jane),
sverniciano di blues Patsy Cline (Walkin' After Midnight)
e regalano una dolcezza impossibile a Hank Williams (I'm
So Lonesome I Could Cry). Soprattutto offrono agli ascoltatori gli
spirituals più intensi e struggenti del decennio cui appartengono. Vent'anni dopo
The Trinity Sessions verrà auto-riletto e auto-celebrato, ma i brividi originari
di Misguided Angel e To
Love Is To Bury resteranno irraggiungibili. (GC) |
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1988 |
Drivin'N'Cryin' | Whisper
Tames The Lion [Island] | |
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Dopo l'acerbo Scarred But Smarter (1986), a supervisionare i
bollori dei georgiani Drivin'N'Cryin' viene chiamato nientemeno che il
drummer new-wave Anton Fier. Ma in Whisper Tames The Lion, che rimarrà
l'album migliore del gruppo di Kevn Kinney fino al sussulto viscerale di Fly Me
Courageous ('91), non c'è una sola canzone men che passionale, ardente, ultra-romantica:
dal furibondo hard-boogie di una Powerhouse
degna dei primi Ac/Dc alle delicate tessiture acustiche di una On
A Clear Daze omaggiante gli Zep del terzo album, un lavoro che riporta
di prepotenza il Sud degli Stati Uniti al centro della cartografia rock dell'epoca.
(GC) Take
#2, prova anche: Mistery Road (Island
1989) |
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1988 |
Dwight
Yoakam | Buenas
Noches from a Lonely Room [Reprise] | |
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Consacrato come forza trainante dei cosiddetti "nuovi tradizionalisti",
faccia pulita ma cuore ribelle che conquista la scena roots della California,
Dwight Yoakam conclude idealmente il trittico, scolpendo il suo nome nel
rinascimento country del tempo. Per profondità e saggezza roots, Buenas
Noches from a Lonely Room è l'espressione di un interprete capace di andare
oltre il semplice bozzetto honky tonk: l'omaggio al maestro indiscusso Buck Owens
(il fortunato duetto di Streets of Bakersfiled)
sublima il passaggio di testimone, mentre il disco assume i colori accesi del
border (c'è anche la fisa di Flaco Jimenez). Sullo sfondo vicende di amore e gelosia,
vendetta e morte, come nella migliore della saghe country ma con la differenza
di un sound elettrico e scoppiettante. (FC) Take
#2, prova anche: Guitars, Cadillacs Etc.
(Reprise 1986) |
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1988 |
Steve
Earle | Copperhead
Road [Uni/MCA] | |
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È una strada piena di fantasmi, reduci del Vietnam e pistole
quella che percorre Steve Earle: tenuta da biker, teschio minaccioso in
copertina, il giovane songwriter di Guitar Town getta la maschera e salta nel
fango del rock'n'roll con un disco carico di elettricità e romanticismo. Da una
parte un continuo sferragliare di chitarre degno della migliore tradizione "blue
collar", qualcosa che lo apparenta sempre di più ai contemporanei John Mellencamp
e Bruce Springsteen, dall'altra un'anima colorata dal verde d'Irlanda con la partecipazione
dei Pogues in Johnny Comes Lately e un appiglio
alle radici hillbilly della sua formazione. Dietro l'angolo l'imminente deriva
che lo porterà nel giro di due anni ad essere il fantasma di se stesso. Per una
stagione però Copperhead Road è la quintessenza della ribellione
country rock (FC) |
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1988 |
John
Hiatt | Slow
Turning [A&M] | |
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Nel 1988, rinfrancato dall'inaspettato successo di Bring The
Family, John Hiatt prese un pugno di canzoni straordinarie e le immerse
nelle acque del Mississippi. Quando le ripescò vi trovò attaccata come una cozza
la chitarra di Sonny Landreth, il migliore erede di Tony Joe White e di tutto
lo swamp-blues di New Orleans, e le usò per riempire Slow Turning.
A quel punto John si ritrovò nel giro di un anno con ben due capolavori, e scegliere
quale portarsi sulla fatidica isola deserta è problema nostro. A guidarlo a sud
fu l'esperto produttore Glyn Johns, che lo aiutò a sciogliere il suo cuore triste
e gelido grazie ai piatti del Tennessee e
a una serie di storie che sancivano il felice e definitivo matrimonio tra il miglior
cantautorato americano e la musica nera del Delta. (NG) |
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1988 |
Lucinda
Williams | Lucinda
Williams [Rough Trade] | |
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Servono otto anni, dopo due album di country, folk e blues piuttosto
ortodossi realizzati presso la Folkways nel 1979 e nel 1980, perché Lucinda Williams
torni a scriversi un album da sola. Lucinda Williams ha poco a che
spartire con il suo sound come lo conosciamo oggi. Poco importa: nei suoi solchi
batte un heartland-rock tenero e confuso cui il tempo non ha sottratto fascino,
malinconia, spirito battagliero, dolce ingenuità. C'è anche l'Howlin' Wolf femminilizzato
di I Asked For Water (He Gave Me Gasoline),
ma a brillare con maggiore intensità sono l'accorata purezza folkie di Am
I Too Blue, Side Of The Road e
Like A Rose, l'honky-tonk di I
Just Wanted To See You So Bad e Passionate
Kisses, il rock'n'roll dal passo country della sublime Crescent
City. Un diamante grezzo, sì, e tuttavia luminosissimo. (GC) Take
#2, prova anche: Happy Woman Blues
(Smithsonian 1980) |
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1988 |
Michelle
Shocked | Short
Sharp Shocked [Mercury] | |
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Michelle, ma belle… sei arrivata tu, a spazzare via l'autocompiacimento
e le velleità di una scena, quella del "nuovo" cantautorato femminile di fine
anni '80, tanto gonfiata dai media, quanto fragile e inconsistente. Sei arrivata
superando tutte a sinistra, sbattendoci in faccia questo disco fresco, incazzato,
suonato con l'urgenza dei vent'anni e la saggezza di chi sa già mature le proprie
idee. Hai aggiornato il verbo folk con una sensibilità combattiva, moderna ma
figlia degli hobo cantati da "nonno" Woody; c'hai commosso con le tue cartoline
dall'Alaska e il tuo sguardo ironico sull'amore, ma anche con versi d'indignazione
che bruciano come acido sulla pelle (Graffiti Limbo).
Liricamente ispirata, musicalmente perfetta (la produzione di Pete Anderson trova
i colori giusti per ogni canzone): sarebbe bastato anche meno, per farci cadere
tutti ai tuoi piedi…(YS) | |