1988 |
Steve
Forbert | Streets
of This Town [Geffen] | |
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Sei anni al purgatorio, dopo avere sfiorato la celebrità come
uno dei tanti nuovi Dylan all'orizzonte. Gary Tallent (E Street Band) raccoglie
per strada i pezzi di Steve Forbert portandolo negli studi del New Jersey
con i Rough Squirrels. Streets of This Town non raccoglie l'interesse
degli esordi, anche perché nel 1988 l'aria del rock d'autore ristagna un po' per
tutti, ma suona dannatamente elettrico e romantico, flirtando con timbriche più
stradaiole. La copertina, ricca di fascino, richiama infatti un paesaggio urbano
di periferia, grigio e malinconico, che riflette canzoni più riflessive e amare
del solito. Le chitarre di Clay Barnes tracciano le coordinate di un rock'n'roll
da backstreets, mentre le ballate acquistano fragranze country, ballando con nostalgia
sul border messicano. (FC) |
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1988 |
Del-Lords | Based
on a True Story [Enigma] | |
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Seconda metà degli anni '80, New York City, rock'n'roll. Mettete
insieme il chitarrista dei Dictators (Scott Kempner) con quello di Joan Jett (Eric
Ambel), ed otterrete i Del -Lords, la cosa più esplosiva, sanguigna ed
eccitante tra quelle saltate fuori dal Bronx dopo l'avvento di Dion DiMucci. Based
On A True Story è il loro terzo album: un concentrato di grintosa vocazione
urbana e schitarrate hard, enfasi springsteeniana e animalesche parate roots,
stantuffo garagista e sublimi aperture liriche da buskers metropolitani. Non hanno
mai raccolto quanto meritato (vecchia storia), eppure il genuino istinto rock
di quest'album, sia che ribalti l'ardore dei Clash negli stracci di poesia beat
di The Cool And The Crazy sia che lasci deragliare
il folk-rock dei Byrds nel tagliente pop'n'roll di Cheyenne,
vibra ancora oggi di fiammeggiante passione. (GC) Take
#2, prova anche: Frontier Days
(EMI 1984) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1988 |
The
Feelies | Only
Life [A&M] | |
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In principio fu la deflagrazione un po' glaciale di Crazy Rhythms,
disco di culto del post punk newyorkese, che rileggeva con un taglio minimale
e nervoso la lezione del folk rock. I Feelies sembravano essere passati
come una folgorante stella cometa, ma seppero riprendere le fila con una seconda
incarnazione. Glenn Mercer e Bill Million rimettono insieme i cocci
della band e raggiungono un secondo apice con Only Life: il punk
e New York sono soltanto lontani ricordi, i Velvet Underground covano ancora sotto
le ceneri (chiude il disco una cover di What Goes On
di Lou Reed), ma il nuovo slancio prevede un folk rock più cristallino
e apparentamenti con il rock vibrante delle radici (la splendida desolazione di
Higher Ground, la frenetica Too
Far Gone) grazie al quale si avvicinano alla lezione di Dream Syndicate
e Green on Red (FC) Take
#2, prova anche: Good Earth (Coyote
1980) |
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1988 |
The
Smithereens | Green
Thoughts [Enigma] | |
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Se il New Jersey è a suo modo una tradizione, e se lo sono anche
Frank Sinatra, Springsteen e Philip Roth, allora gli Smithereens di Pat
DiNizio ne detenevano la custodia, nonché il compito, assolto con onore, di assicurare
continuità al suo perpetuarsi. Green Thoughts rappresenta lo zenith
del loro gesto al tempo stesso virile e nostalgico: ciò che fino ad allora era
stato un ininterrotto fiorire di filastrocche beat, power-pop e coretti sixties,
qui si trasforma in un concentrato di malinconici mid-tempos e repentini sussulti
elettrici, da qualche parte tra i Beach Boys più intimisti e raccolti e una conoscenza
enciclopedica di tutto quel che fa rima con "pop-rock". Quando poi arriva la dodici
corde della sublime Elaine a ricamare dolcezza
Merseybeat, si calmano entrambi: un omaggio ai Beatles conta più di tutto il resto.
(GC) Take #2,
prova anche: Especially
for You (Enigma 1986) |
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1988 |
Tracy
Chapman | Tracy
Chapman [Elektra] | |
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Se Suzanne Vega l'anno prima aveva aperto la porta a una nuova
scena folk femminile, Tracy Chapman la buttò giù a calci con uno dei dischi
più incredibili e inverosimili del decennio. Una piccola, grassoccia e per giunta
nera ragazzetta, pescata in qualche college da David Kershenbaum (significativamente
lo storico produttore di Joan Baez), parlò di rivoluzione, povertà e segregazione
razziale all'America dell'edonismo reaganiano e vendette più di 7 milioni di copie.
E questo grazie ad un singolo apparentemente incommerciabile come Fast
Cars, unico brano dell'album lungo e senza un refrain immediatamente
cantabile. Una sfida impossibile vinta con undici perle tra folk e easy-listening
che rimarrà anche l'unico miracolo di una carriera spesa poi in una dignitosa
e appartata banalità. (NG) |
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1989 |
Blue
Rodeo | Diamond
Mine [Discovery/Wea] | |
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Qualcuno comincerà a prenderli sul serio soltanto nel decennio
successivo, quando anche la stampa americana applaudirà ai loro lavori (Casino
e Lost Together i più amati). Eppure Diamond Mine non è lontano
dalla perfezione: non basta però la produzione di origine controllata di Malcolm
Burn per fare uscire dai confini nazionali la musica dei Blue Rodeo. Jim
Cuddy e Greg Keelor sono nati dalla parte sbagliata del confine, canadesi loro
malgrado: scrivono melodie ariose, mischiano la California country dei 70's con
le ballate agresti della Band, le armonie vocali del pop rock più carezzevole
con qualche improvvisa svisata psichedelica. Tra una God
and Country che avrebbe voluto scrivere Mellencamp ed una sommessa
The Ballad of The Dime Store scorrono trent'anni
abbondanti di american music (FC) Take
#2, prova anche: Outskirts (Discovery
1987) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1989 |
Bob
Dylan | Oh
Mercy [Columbia] | |
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Sembrava morto. Nessuno, nel 1989, avrebbe scommesso un solo
soldo bucato su Bob Dylan. Dopo alcuni sciagurati album negli anni '80,
dopo le crisi di ogni tipo, mistiche, artistiche ed umane, Dylan sembrava un artista
finito. Invece, il colpo di coda. Sarà stata l'aria di New Orleans, dove l'album
è stato registrato, sarà stata la presenza di una specie di guru come Daniel Lanois
alla produzione, sarà stata un'illuminazione divina, ma Oh mercy rappresenta
una delle vette più alte dell'intera opera Dylaniana. Le canzoni sono paludose,
scure, eterne, piccole grandi gemme lasciate per la posterità, un'opera poetica
e musicale insieme che costituisce una delle pietre miliari della storia del rock.
(GG) Take #2,
prova anche: Empire Burlesque
(Columbia 1985) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1989 |
Chris
Isaak | Heart
Shaped World [Reprise] | |
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Anacronistico da morire, quando Chris Isaak si presentò
col suo strano ciuffo a banana, il suo naso da pugile e un amore sconfinato per
il rock and roll anni '50 ed in particolare per Roy Orbison, in molti pensarono
che si trattasse di una specie di marziano. E invece la sua musica fuori dal tempo
fece innamorare molto, soprattutto grazie allo struggentissimo singolo Wicked
Game, che fece addirittura breccia nelle classifiche. Ma è tutto l'album
ad essere un gioiellino, così pieno di fascino e romanticismo, con quel falsetto
così riconoscibile al primo ascolto e quell'aria assolutamente unica che permise
ad Isaak (strano ma vero) di diventare quasi una superstar in America. Ed a giudicare
dal valore musicale di questo disco, il successo lo meritava tutto. (GG) Take
#2, prova anche: Silvertone
(Warner 1985) |
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1989 |
Daniel
Lanois | Acadie
[Opal] | |
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Originario del Quebec, Daniel Lanois si era dimostrato
uno dei più grandi produttori degli anni '80 (basti pensare al lavoro svolto con
gli U2) ma nessuno si sarebbe mai aspettato che l'artista canadese potesse rivelare
anche un gran talento come songwriter. Questo debutto ci dice il contrario. Oltre
ai suoni, inconfondibilmente "Lanoisiani" al 100% (pochi come lui hanno
saputo creare un suono così riconoscibile come il suo), il nostro sciorina una
serie di ballate da brividi, tracciando un lungo sentiero che va dalla Louisiana
al Canada, riuscendo ad evocare allo stesso tempo i fantasmi delle paludi e gli
spiriti dei boschi innevati del nord. Un piccolo grande miracolo di evocatività.
(GG) |
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1989 |
Georgia
Satellites | In
The Land of Salvation and Sin [Elektra] | |
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La bar boogie band più efficace sotto la linea Mason- Dixon,
capace di trasformare in un espresso rock’n’roll anche un’ innocua canzone di
Ringo Starr (così cominciarono) mostrò di essere capace di andare oltre i southern
accents e di conoscere le connessioni che dagli Allman Brothers portavano verso
i Lynyrd Skynyrd fino ai Little Feat. Un disco spettacolare, pieno di chitarre,
di idee e di una conoscenza enciclopedica della musica americana. Purtroppo i
Georgia Satellites persero l’attimo, Dan Baird s’avvitò in una carriera
tutta sua e il patrimonio che scoprirono con In The Land Of Salvation And
Sin finì in altre mani. Sudiste e degnissime, visto che qui dentro c’è
molto di quello che poi i Black Crowes svilupparono con più caparbietà e con maggiore
continuità (ma gli anni Ottanta erano ormai morti e sepolti). (MD) Take
#2, prova anche: Georgia Satellites
(Elektra 1986) | |