1989 |
Indigo
Girls | Indigo
Girls [Epic] | |
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Il fenomeno delle folksinger scatenato da Suzanne Vega trovò
nelle Indigo Girls le interpreti più agguerrite e, in fin dei conti, più
durature. La vena melodica di Emily Saliers, intrecciata con quella più grintosa
di Amy Ray, rappresentò un cocktail micidiale che fece il botto con il debutto
su major, un disco che vinse il Grammy Awards come album folk dell'anno e vantò
anche vendite considerevoli grazie al singolo Closer
To Fine. Sponsorizzate dalla presenza dei R.E.M. (produceva il loro
uomo di fiducia Scott Litt) e degli Hothouse Flowers, le ragazze impersonarono
al meglio la rabbia e la volontà di emancipazione del mondo femminile, sfogate
anche nelle tante lotte politiche che sosterranno personalmente nel corso degli
anni, prime fra tutti quelle sui diritti dei gay e dei native-americans. (NG) Take
#2, prova anche: Strange Fire
(Epic 1987) |
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1989 |
James
McMurtry | Too
Long in the Wasteland [Columbia] | |
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James McMurtry è figlio del novelliere Larry che, durante
le riprese del film "Falling from Grace" tratto da un suo racconto, ha presentato
il rampollo a Mellencamp: è stato amore a prima vista e sotto la illuminata produzione
di John e la sapiente regia strumentale della sua band (Grissom su tutti) nasce
un debutto di grande impatto che oggi, dopo quasi vent'anni, suona attualissimo;
le splendide canzoni (Painting By Numbers,
Outskirts e la title track su tutte) e la
voce di James (ma quanto somiglia a Lou Reed!) sono l'asse portante di un lavoro
capace di coniugare l'energia di Mellencamp ed Ely con la purezza del folk di
Van Zandt riuscendo così a farci battere piede e cuore, da riscoprire assolutamente.
(GZ) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1989 |
Joe
Henry | Murder
of Crows [A&M] | |
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Piccoli grandi cantautori crescono, tra le nebbie di un decennio
che dei folksinger tradizionali (quelli d'imprinting dylaniano, per intenderci)
non sa bene cosa farsene. Il giovane Henry cerca la sua strada approfittando
della scommessa fatta su di lui dalla casa discografica, che gli mette a disposizione
un parterre de roi (Mick Taylor, Chuck Leavell, David Bromberg…) per dare corpo
a canzoni che mostrano già una loro scintillante maturità ma mancano ancora di
un sicuro senso della direzione (evidenziando quella irrequietezza che porterà
il nostro a esplorare il cotè notturno del suo songwriting con il successivo Shuffletown).
Comincia qua, da questo secondo album un percorso che porterà lontano. Gli spunti
migliori (Step Across the Mountain su tutti)
sono una promessa che verrà mantenuta come meglio non si potrebbe nel decennio
successivo. (YS) |
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1989 |
Marty
Stuart | Hillbilly
Rock [MCA] | |
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L'affermazione definitiva di Marty Stuart fra i "nuovi
tradizionalisti" americani arriva dopo anni di apprendistato, una collaborazione
nella band di Johnny Cash, due dischi passati sottovoce e qualche cambio di etichetta:
Hillbilly Rock è dunque la sintesi di quasi vent'anni di carriera,
iniziati da ragazzino come enfant prodige nella band di Lester Flatt, leggenda
del bluegrass. Ha spalle larghe Marty e soprattutto una conoscenza infinita dell'american
music: gemello ideale del coevo Dwight Yoakam, Stuart riporta un po' di anima
a Nashville e dintorni con la sua miscela vivace di honky tonk, rockabilly e ballate
spezzacuori. La Mca gli mette a disposizione Tony Brown, l'uomo che lanciò Steve
Earle, i migliori sessionist sulla piazza ed un suono tanto accattivante quanto
fedele alle radici. (FC) Take
#2, prova anche: Busy Bee Cafe (Sugar
Hill 1982) |
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1989 |
Neil
Young | Freedom
[Reprise] | |
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Come Dylan, quasi tutti nel 1989 erano convinti che oramai
Neil Young non avesse più nulla da dire. Il suo ultimo disco rilevante risaliva
al lontano 1979 mentre gli ultimi album sembravano sbiaditi e pasticciati. Invece,
questo Freedom rimescolò completamente le carte in tavola. Si trattava
di un album livido, spigoloso, in cui anche le ballate erano il segno di un uomo
tendenzialmente incazzato, comunque mai in pace. E poi, quella
Rockin' in the free world, messa all'inizio in versione acustica
ed alla fine in una devastante versione elettrica sembrava un grido tagliente
contro tutti e contro tutto. Insomma, una resurrezione ed un nuovo inizio per
uno degli spiriti più inquieti del rock. (GG) Take
#2, prova anche: Hawks and Doves (Reprise
1980) |
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1989 |
Neville
Brothers | Yellow
Moon [A&M] | |
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L'incontro tra il produttore che convertiva in oro ciò che toccava
e la più creativa famiglia della Big Easy stimolò quel salto di qualità e notorietà
che i Neville meritavano da tempo. Il mondo si accorse improvvisamente di un sound
che frullava in un rito voodoo soul, funk e rap con l'attenzione al dettaglio
sonoro che Daniel Lanois aveva appreso da Eno e portato alla perfezione. Questo
disco mostrò una possibile via alternativa di evoluzione ad una black music in
impasse da troppo tempo, sul punto di essere cannibalizzata dalle giovani tribù
hip hop. I fratelli hanno orecchie aperte e classe da vendere, sperimentano ma
non dimenticano le radici: l'album si divide tra originali dall'anima calda e
umida e alcune cover incredibili, come la celestiale versione di A
Change is Gonna Come, in cui Aaron va a salutare l'anima di Sam Cooke
dove solo lui è in grado di arrivare. (YS) Take
#2, prova anche: Fiyo in the Bayou
(A&M 1981) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1989 |
Peter
Case | The
Man With..Blue Guitar [Geffen] | |
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Una produzione di origine controllata, un'etichetta importante,
una lunga coda di ospiti da fare invidia al più quotato dei songwriter (da Ry
Cooder a David Hidalgo, da David Lindley a T Bone Burnette) e nel mezzo un folksinger
"neo-tradizionalista" e "post-moderno" come ironicamente si definisce lui stesso.
In principio ci furono i Plimsouls, la sua prima band, e il loro power pop d'assalto,
questa volta Peter Case si libera di un peso e torna al suo primo amore:
ad un folk rock da strada, a qualche blues strappato alla luna, ad un gioco di
equilibri fra elettrico e acustico che metta insieme i pezzi del folklore americano,
un sentiero di campagna che da Mississippi John Hurt porta al cuore dell'America
di provincia. Commovente e irripetibile istante di una carriera sempre dignitosa.
(FC) Take #2,
prova anche: Peter Case (Geffen
1986) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1989 |
Tom
Petty | Full
Moon Fever [MCA] | |
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Questo primo album di Tom Petty ufficialmente senza gli
Heartbreakers (che in realtà ci sono quasi tutti e si sentono decisamente) è uno
dei capolavori della storia del pop (inteso nell'accezione più nobile del termine).
Petty dimostrò, grazie ad un songwriting sfavillante ed ad una produzione stilisticamente
perfetta (l'amico Jeff Lynne, poi ei Traveling Wilburys), che una sintesi tra
un suono radiofonico di grande presa ed un livello artistico che non concedeva
nulla alla grossolanità era possibile eccome. Difficile dire quale sia il brano
più bello dell'album, tanto la qualità delle composizioni è alta. Sicuramente
però con il singolo Free fallin', che ebbe
vendite milionarie, Petty si avvicinò come non mai alla "canzone perfetta". (GG)
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1989 |
Tommy
Keene | Based
on Happy Times [Geffen] | |
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Dedicato a tutti quelli che sono diventati adulti lasciando il
cuore sopra agli indie-days di Replacements e Soul Asylum e, magari, non hanno
fatto in tempo ad apprezzare il talento di Tommy Keene, che del sound dei
gruppi citati ha proposto, per tutti gli anni'80, una versione ancor più rocchettara,
metropolitana e affilata. Based On Happy Times è il suo Blood On
The Tracks (col dovuto rispetto): mentre Peter Buck dei REM lo aiuta a sventrare
i Beach Boys di Our Car Club, il martellante pestaggio stonesiano di Highwire
Days, gli scossoni hard di Light Of Love e
l'amarezza terminale di A Way Out dipingono
il ritratto di una gioventù perduta tra tenerezze e rimpianti. L'happy-end non
è compreso nel prezzo, ma a renderlo un dettaglio trascurabile provvede un'autentica
valanga di selvaggio guitar-rock. (GC) Take
#2, prova anche: Songs from the Film
(Geffen 1986) |
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1989 |
Tragically
Hip | Up
to Here [MCA] | |
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L'esordio un paio di stagioni prima, la vera esplosione con Up
to Here: messi sotto contratto dalla MCA americana, i canadesi Tragically
Hip sono una delle rock'n'roll band più ingiustamente sottovalutate di quegli
anni, a cavallo fra college rock e nuovo grunge alle porte. Una palpitante voce
solista (Gordon Downie), una coppia di chitarre ed un suono chitarristico veemente
che riesce a salvare una buona dose di tradizionalismo. Nei lavori successivi
qualcuno li paragonerà, non a torto, con i REM più elettrici e sanguigni, anche
se Up to Here risuona ancora oggi quale disco di intatta ispirazione southern.
Registrato agli Ardent Studios con la produzione di Don Smith non poteva essere
altrimenti: battito stradaiolo, riff squadrati e ballate elettriche da Fandango
(FC) | |