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The War on Drugs
Lost in the Dream
[2015]

La scelta di: Luca Volpe


Su questa musica si potrebbe improvvisare all’infinito! (Marco Faussone, chitarrista dei So what? Jazz Ensemble)

C’è qualcosa di proibito oggi: è lo spettro sovversivo e rivoluzionario degli anni Ottanta. Per i seguaci della cultura alternativa la loro egemonia nel rock comincia col 1990. L’alternativo venne usato come arma contro “la plastica, il tronfio e banale superficialismo militante” del decnnio precedente. Peccato che nella furia barbara sopravvisse ciò che veramente impersonava quel pregiudizio lapidario: Madonna o i Queen più vuoti sono santi intoccabili per la maggioranza. I tipici cinema, musica, vestiario, letteratura fantastica banditi da un maremoto putrido di depressione. Il brutto divenne bello, la depressione regola e la tensione al vitalismo esiliata. Quei tagli di capelli, cinema d’azione, suoni riverberati divennero corna, forcone e coda del diavolo e sbeffeggiati con sufficienza. Oggi nelle birrerie si può sentire denigrare i Whitesnake per i loro video, beandosi di ciò che s’è prestato al disastro collettivo di una discesa negli inferi di atomizzazione sociale e spersonalizzazione individuale.

Ma nell’ombra c’è chi desidera altro e anela alla luce di un profeta che imponga di nuovo quell’epoca. Ma come? Oltre a superare il fuoco di sbarramento, com’è possibile riportare quel verbo da quell’Agarthi proibita senza diventare derivativi, o peggio, accidentalmente parodistici? E sarebbe possibile rendere il tutto innovativo? Quel profeta rivoluzionario c’è e si chiama Adam Granofsky. Il nome d’arte Granduciel è la traduzione francese del suo cognome. Fino al momento della separazione con il sodale Kurt Vile, Adam era con i War on Drugs parte di quel mondo Indie che era diventato una delle voci dominanti del nuovo volgare modernismo. Ma la separazione dal collega doveva significare qualcosa; e fu Lost in the Dream. Persi in quel sogno magnifico, l’old gold dream, ecco come sono nati i brani di questo capolavoro scintillante e materico, avvolgente e supersonico. Perché non prendere le vibrazioni positive degli anni Ottanta e tenderle verso gli orizzonti sconfinati di una musica che si allunga potenzialmente all’infinito? Con i Neu! sembra un dilemma commerciale: come rendere appetibile qualcosa di ostracizzato? Prendendo gli elementi più appetibili (richiami ai Dire Straits, l’energia dell’Heartland rock) e unendoli al gruppo tedesco meno progressivo e più vicino alla nostra epoca.

Avviso ai fanatici della bassa fedeltà: alla larga. Un esercito di tecnici ha infuso un’eccelsa qualità sonora in questo disco, e ne verranno citati i principali e i loro lavori: Greg Calbi (il Boss, Johnny Winter, Dire Straits, la parte più materica) e Steve Fallone (Uriah Heep, Scorpions, Rainbow, quel horreur!) al Master; gli esperti Jeff Zeigler e Mike Johnson hanno aiutato Granduciel alla produzione. Perché la musica si faceva così: producendola. Il disco scorre come un corso d’acqua, talvolta limpido come un torrente, talaltra placido come un fiume. Lost in the Dream è un capolavoro senza tempo, nel tempo e in più tempi come ricordano i riferimenti possibili ad altri artisti incastonati in questi gioielli di canzoni. Non potrebbe iniziare più intensamente: Under the Pressure ricorda Only the Young dei Journey ma rimestata dalla voce vicina a Dylan di Adam, mentre il ricamo incessante degli strumenti conduce alla stupenda lisergica coda finale. E perché non sentire echi di Walk of Life in Red Eyes e nel suo battito irresistibile? Battito che rallenta e si fa profonda introspezione su Suffering, che lambisce certi brani sereni dei Pink Floyd.

La velocità riprende piede su Ocean in Between the Waves, con la sua irresistibile ascesa. Disappearing cerca addirittura un raccordo col pop sintetico britannico, in una vellutata e raffinata elegia. Eyes to the Wind un paesaggio totale di brezze e nuvole che si rincorrono attraverso l’alchimia perfetta fra gli strumenti e le loro armonie struggenti. Burning mira addirittura a Born in the USA, assieme divampano e infondono vita nuova al genere. L’omonima non dileggia il passato dell’autore, ma lo confronta con il presente via REM. In Reverse traccia la strada d’una sintesi: fusione d’atmosfera e andamento, punto mediano che non è minimo comune denominatore ma massimo comune sviluppatore. Il titolo del successivo capolavoro, A Deeper Understanding, mostra fin dal titolo la direzione di un autore in grado di approfondire il proprio percorso, un analizzatore che riassume il tutto in geniali musiche.

Capodanno 2017: anno del cavolo, gli ultimi giorni dominati da un tempo plumbeo, ritrovo a casa di amici. Un’improvvisazione, sulle note suggerite da Under the Pressure. Persone che si conoscono da anni e nuovi arrivati che suonano e cantano insieme senza timori, poi vanno a dormire a notte fonda, abbracciati a coppie nel tepore di una casa collinare immersa nell’eco delle note calde della musica vitale, mentre fuori il nevischio muta nella pioggia leggera che scioglierà la neve. La scioglierà.


    



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