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Drive-By Truckers
The Dirty South
[2004]

La scelta di: Paolo Baiotti


Festeggiare i vent’anni di Rootshighway per me ha un doppio significato, coincidendo con i miei dieci anni di collaborazione con il sito. Un’esperienza iniziata per caso ai tempi del forum (poi sostituito dall’invasione di Facebook…) che mi ha permesso di approfondire artisti e gruppi che conoscevo poco o per nulla, allargando conoscenze e passioni musicali, con soddisfazione della mia anima e profonda insoddisfazione delle finanze famigliari. Ma se è vero che i miei ascolti sono sempre più vari, alla fine non c’è nulla che mi esalti come lo sferragliare delle chitarre! Per questo ho scelto una band (nucleo che nella musica odierna, anche rock, è sempre più raro), una vera band, che dalla fine degli anni Novanta ha tracciato un percorso glorioso tanto da farla considerare una delle migliori del panorama contemporaneo, in qualunque modo lo si voglia definire tra roots, southern o americana.

Un percorso che, come nella migliori tradizioni, non è stato rettilineo e privo di asperità, bensì pieno di curve, con picchi (tanti) e cadute (un paio), scazzi, litigi, scontri di personalità, affetto… Perché è questo che forma e rafforza una band! I Drive-By Truckers sono quanto di meglio abbia prodotto il rock americano di matrice classica, ispirato da nomi storici come Rolling Stones e Neil Young, dal southern rock, dal blues e dal soul. Da sempre vivono sul rapporto tra due grandi amici, Patterson Hood e Mike Cooley. Il primo, classe ’64, nato a Muscle Shoals in Alabama, la città degli omonimi leggendari studi di registrazione, figlio di David Hood che ne è stato il bassista; il secondo, classe ’66, nato a Tuscumbia in Alabama, a pochi chilometri di distanza. Nell’85 formano gli Adam’s House Cat, poi suonano in duo come Virgil Kane (un nome a caso…), poi formano gli Horsepussy infine, dopo un periodo di separazione, nel ’96 si rivedono ad Atlanta per la nascita dei Drive-By Truckers. Un paio di dischi di assestamento, la prima vera notorietà con l’ambizioso doppio Southern Rock Opera nel 2001, quindi il passo decisivo, ovvero l’inserimento di un terzo cantante, chitarrista e autore nel corso del tour del doppio album.

Costui è il giovane Jason Isbell, da Green Hill, nell’Alabama rurale al confine con il Tennessee, che curiosamente contatta Patterson e Mike tramite David Hood e che prima di entrare nei Truckers lavorava per i Fame Studios, sempre a Muscle Shoals. Jason porta nella band anche la moglie Shonna Tucker al basso, che completa la line-up con il batterista Brad Morgan. Bisogna aggiungere ancora due componenti a questo quintetto: il produttore e amico di sempre David Barbe (già bassista dei Sugar) e il disegnatore Wes Freed, che colora ogni disco e canzone (nonché i poster dei concerti) con il suo tratto oscuro e drammatico, molto southern gotico. A questo nucleo è legato il momento migliore della band, tra il 2003 e il 2007, con tre album eccellenti: Decoration Day, The Dirty South, A Blessing And A Curse oltre alla raccolta di covers e outtakes The Fine Prints. Seppur di poco The Dirty South mi sembra il più completo, con le canzoni e il suono migliore, il disco in cui raggiungono un equilibrio perfetto la scrittura narrativa di Patterson, quella dolente e malinconica di Jason e quella un po’ pigra e amara di Mike.

E’ un concept che raccoglie storie e leggende del Sud, ispirate perlopiù da personaggi o fatti reali come Sam Philips (Sun Records), John Henry e lo sceriffo Buford Pusser (tre canzoni solo legate alla sua figura). Come sempre Hood è il più loquace: oltre a raccontare nelle note la genesi del disco, ne scrive sei tracce (da notare come lui e Cooley scrivano i testi mentre le musiche sono divise con gli altri, mentre Jason firma da solo), tra le quali la dura e aggressiva Puttin’ People On The Moon, la cadenzata Tornadoes, il rock potente di The Buford Stick e la spinosa Lookout Mountain già pubblicata con gli Adam’s House Cat. I contributi di Cooley sono la cupa e rabbiosa Where The Devil Don’t Stay (con le chitarre sferraglianti che amo) che apre splendidamente il disco, il rock scorrevole e incisivo di Carl Perkins Cadillac, l’acustica Cottonseed e il ruvido mid-tempo Daddy’s Cup.

Come Cooley anche Isbell non sbaglia un colpo, sia quando spinge sull’acceleratore in The Day John Henry Died e nell’anthem sudista Never Gonna Change debitore della rabbia chitarristica dei Crazy Horse, sia (ancora meglio) quando rallenta ad arte il ritmo nelle magnifiche ballate Danko/Manuel, degna del titolo che ricorda i due membri di The Band e Godddamn Lovely Love, che chiude in modo afflitto e accorato un album sontuoso.


    



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