Quando hai vent’anni
la musica è quasi questione di vita o di morte.
A quell’età non sai che diavolo farci con questo
tempo che ti ritrovi tra le mani e la paura del
futuro può essere un baratro che si palesa inquietante
poco oltre i tuoi piedi. E certe notti non ti senti
padrone proprio per niente e figuriamoci se il sonno
arriva come una droga. Stumbling Through the
Dark. Il lettore cd portatile è lì sul comodino,
ben più importante di una boccetta di valeriana.
E’ proprio in quel momento che la 12 corde e il
banjo che diffondono le prime note di Rainy
Day Music allagano i neuroni e rimettono
le cose a posto. E pensare che il sottoscritto era
stato a lungo riluttante nel comprare il disco dalla
copertina che più minimalista non si può. Le recensioni
non si può dire che fossero entusiaste e il predecessore
Smile aveva destato perplessità dopo l’infatuazione
totale avvenuta con Hollywood Town Hall,
uno degli album americani seminali degli anni 90
senza se e senza ma.
I Jayhawks di una volta non c’erano più:
Mark Olson era da tempo sull’Aventino del suo integralismo
folk e Gary Louris non sempre era riuscito a mettere
a fuoco nel migliore dei modi la sua sensibilità
pop. Tuttavia toccava a lui portare nel nuovo millennio
la gloriosa intestazione della band di Minneapolis.
Per farlo chiama a sè due membri storici, il bassista
Marc Perlman e il batterista Tim O’Reagan e aggiunge
l’ottimo Stephen McCarthy (Long Ryders) per vari
strumenti a corda. Si sale così a bordo di un mezzo
di trasporto compassato, che non ha fretta di portarti
a destinazione ma se lo fa, ti ci porta anima e
corpo (un po’ come il tosaerba guidato da Richard
Farsnworth nel capolavoro di David Lynch, A straight
story) e lungo il tragitto raccoglie i fiori
di una tradizione gloriosa che passa da Byrds, Buffalo
Springfield, CSN&Y, Poco e chissà quanti altri.
Il tutto filtrato ovviamente dalla penna illuminata
di Gary Louris, uno che quando la musa lo ispira
riesce a salire ad altezze siderali, precluse a
gran parte dei suoi colleghi.
La produzione di Ethan Johns, uno che ha frequentato
molto spesso i territori “americana” in quegli anni,
non ha fatto altro che assecondare questa mirabile
miscela di alternative country, americana e roots
pop. L’ideale lato A scarica una vagonata di meraviglie,
tanto che è paradossalmente un bene che nella seconda
parte ci sia qualche brano trascurabile, soprattutto
quelli in cui Louris eccede in…democrazia cedendo
il posto a O’Reagan sia alla composizione che alla
voce (Don’t Let the World Get in Your Way
e Tampa to Tulsa, non brutte ma piuttosto
scolastiche) o quando i nostri tentano strade a
loro meno congeniali (Come to the River,
invero piuttosto pacchiana nel tentare un cambio
di ritmo nella seconda parte dell’album).
Il resto è un fuoco di fila irresistibile di ganci
melodici da ko, armonie vocali e praline acustiche
dal retrogusto lunghissimo. Le 12 corde, il banjo
e il piano della già citata Stumbling Through
the Dark si intrecciano con vista sulla perfezione
e dipingono un piccolo quadretto roots da appendere
nella miglior pinacoteca dei nostri. E sempre lì
e in bella vista ci va di diritto Save it for
a Rainy Day, brano manifesto della poetica di
Gary Louris: semplicità della melodia inversamente
proporzionale alla resa (nella fattispecie grandiosa),
chitarre in pieno sole e piene di sole, cori precisi
come un bisturi e parole da fratello maggiore per
consolare chi sta incespicando su passi incerti
(Don’t look so sad Marina, there’s another part
to play/ Don’t look so sad Marina, save it for a
rainy day).
La dichiarazione d’amore in All the Right Reasons
e l’arrivederci in un’altrove migliore di Will
I See You in Heaven sono lapilli di dolcezza
folk che schivano meravigliosamente il rischio di
manierismo riuscendo a muoversi su un equilibrio
quasi miracoloso tra nostalgia e contemplazione.
Angelyne e Eyes of Sarahjane dimostrano
una volta di più come i Jayhawks abbiano
il bernoccolo per il ritornello killer e per gli
arrangiamenti solari. You Look So Young e
Madman emanano quella buona fragranza seventies
che non fa mai male e anche il piglio più vigoroso
di Tailspin fa pieno centro.
Rainy Day Music, benché troppo lungo e carente
di qualche sforbiciata, rimane a tutt’oggi il disco
più bello dei Jayhawks nel nuovo millennio. Qualche
nuovo album c’è stato, Mark Olson è rientrato nel
gruppo ma non si è volato più così alto. Meglio
ritornare al 2003, quando la sintesi di tradizione,
freschezza e spiccato senso per la melodia hanno
generato questo gioiello capace di suscitare nell’ascoltatore
un attaccamento particolare, quasi un’affezione.
Qualche comodino è cambiato negli ultimi vent’anni
e da allora nuove orecchie si sono messe all’ascolto.
Quel vecchio lettore cd deve essersi perso in qualche
trasloco. Rainy Day Music però è ancora lì,
niente lo ha smosso.