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Jayhawks
Rainy Day Music
[2003]

La scelta di: Gianuario Rivelli


Quando hai vent’anni la musica è quasi questione di vita o di morte. A quell’età non sai che diavolo farci con questo tempo che ti ritrovi tra le mani e la paura del futuro può essere un baratro che si palesa inquietante poco oltre i tuoi piedi.  E certe notti non ti senti padrone proprio per niente e figuriamoci se il sonno arriva come una droga. Stumbling Through the Dark. Il lettore cd portatile è lì sul comodino, ben più importante di una boccetta di valeriana. E’ proprio in quel momento che la 12 corde e il banjo che diffondono le prime note di Rainy Day Music allagano i neuroni e rimettono le cose a posto. E pensare che il sottoscritto era stato a lungo riluttante nel comprare il disco dalla copertina che più minimalista non si può. Le recensioni non si può dire che fossero entusiaste e il predecessore Smile aveva destato perplessità dopo l’infatuazione totale avvenuta con Hollywood Town Hall, uno degli album americani seminali degli anni 90 senza se e senza ma.

I Jayhawks di una volta non c’erano più: Mark Olson era da tempo sull’Aventino del suo integralismo folk e Gary Louris non sempre era riuscito a mettere a fuoco nel migliore dei modi la sua sensibilità pop. Tuttavia toccava a lui portare nel nuovo millennio la gloriosa intestazione della band di Minneapolis. Per farlo chiama a sè due membri storici, il bassista Marc Perlman e il batterista Tim O’Reagan e aggiunge l’ottimo Stephen McCarthy (Long Ryders) per vari strumenti a corda. Si sale così a bordo di un mezzo di trasporto compassato, che non ha fretta di portarti a destinazione ma se lo fa, ti ci porta anima e corpo (un po’ come il tosaerba guidato da Richard Farsnworth nel capolavoro di David Lynch, A straight story) e lungo il tragitto raccoglie i fiori di una tradizione gloriosa che passa da Byrds, Buffalo Springfield, CSN&Y, Poco e chissà quanti altri. Il tutto filtrato ovviamente dalla penna illuminata di Gary Louris, uno che quando la musa lo ispira riesce a salire ad altezze siderali, precluse a gran parte dei suoi colleghi.

La produzione di Ethan Johns, uno che ha frequentato molto spesso i territori “americana” in quegli anni, non ha fatto altro che assecondare questa mirabile miscela di alternative country, americana e roots pop. L’ideale lato A scarica una vagonata di meraviglie, tanto che è paradossalmente un bene che nella seconda parte ci sia qualche brano trascurabile, soprattutto quelli in cui Louris eccede in…democrazia cedendo il posto a O’Reagan sia alla composizione che alla voce (Don’t Let the World Get in Your Way e Tampa to Tulsa, non brutte ma piuttosto scolastiche) o quando i nostri tentano strade a loro meno congeniali (Come to the River, invero piuttosto pacchiana nel tentare un cambio di ritmo nella seconda parte dell’album).

Il resto è un fuoco di fila irresistibile di ganci melodici da ko, armonie vocali e praline acustiche dal retrogusto lunghissimo. Le 12 corde, il banjo e il piano della già citata Stumbling Through the Dark si intrecciano con vista sulla perfezione e dipingono un piccolo quadretto roots da appendere nella miglior pinacoteca dei nostri. E sempre lì e in bella vista ci va di diritto Save it for a Rainy Day, brano manifesto della poetica di Gary Louris: semplicità della melodia inversamente proporzionale alla resa (nella fattispecie grandiosa), chitarre in pieno sole e piene di sole, cori precisi come un bisturi e parole da fratello maggiore per consolare chi sta incespicando su passi incerti (Don’t look so sad Marina, there’s another part to play/ Don’t look so sad Marina, save it for a rainy day).

La dichiarazione d’amore in All the Right Reasons e l’arrivederci in un’altrove migliore di Will I See You in Heaven sono lapilli di dolcezza folk che schivano meravigliosamente il rischio di manierismo riuscendo a muoversi su un equilibrio quasi miracoloso tra nostalgia e contemplazione. Angelyne e Eyes of Sarahjane dimostrano una volta di più come i Jayhawks abbiano il bernoccolo per il ritornello killer e per gli arrangiamenti solari. You Look So Young e Madman emanano quella buona fragranza seventies che non fa mai male e anche il piglio più vigoroso di Tailspin fa pieno centro.

Rainy Day Music, benché troppo lungo e carente di qualche sforbiciata, rimane a tutt’oggi il disco più bello dei Jayhawks nel nuovo millennio. Qualche nuovo album c’è stato, Mark Olson è rientrato nel gruppo ma non si è volato più così alto. Meglio ritornare al 2003, quando la sintesi di tradizione, freschezza e spiccato senso per la melodia hanno generato questo gioiello capace di suscitare nell’ascoltatore un attaccamento particolare, quasi un’affezione.  Qualche comodino è cambiato negli ultimi vent’anni e da allora nuove orecchie si sono messe all’ascolto. Quel vecchio lettore cd deve essersi perso in qualche trasloco. Rainy Day Music però è ancora lì, niente lo ha smosso.


    



Prosegui, la scelta di: Marco Denti