La storia dell’America
è costellata da "menestrelli" che, nel
corso della storia, hanno fatto da contrappunto
ai vari potenti, ai politici, agli affaristi che
hanno sempre tenuto sotto il loro pugno di ferro
le classi sociali meno abbienti. Da Woody Guthrie
a Bob Dylan, per non parlare di tutta la schiera
di bluesman che hanno viaggiato in lungo e in largo
cantando le loro storie adatte a lenire le ferite
dell’anima degli oppressi. Parlare oggi di cantori
girovaghi è un po’ un hippie dream, ma questo si
adatta perfettamente ad uno degli ultimi fricchettoni
rimasti sulla faccia della terra. Con il suo codino
e la sua chitarra in mano, Ry Cooder ha viaggiato
dappertutto per riportarci, con questo Election
Special, nell’America blue collar, l’America
operaia, quella che grida “America first” e che
guarda ancora con diffidenza chi ha la pelle di
qualche tono più scuro della sua.
Ry non ha mai nascosto la sua passione per Woody
Guthrie, Leadbelly, Blind Blake, Sleepy John Estes,
ma qui supera l’arte dei maestri mettendo la storia
degli USA di questi anni in musica e tingendo di
ironia, satira, amarezza, ogni episodio, con un
risultato che lascia senza parole per la perfetta
combinazione di testi e musica. Country, blues,
folk, e la solita vena latina, permeano queste nove
tracce di uno spaccato americano, mentre si fa accompagnare
solamente dal figlio Joaquim e tutto il resto del
lavoro, chitarra, slide, basso, mandolino, se lo
accolla lui, sessantacinquenne instancabile nel
lavoro e inflessibile nei giudizi. E allora la cronaca
quotidiana di quello che era il candidato alle presidenziali,
Mitt Romney, che una volta partì per le vacanze
estive legando il cane (mutt - bastardino) sul tetto
della macchina, diventa un blues scritto dal punto
di vista proprio del quadrupede peloso, Mutt
Romney Blues appunto, con un gioco di parole
degno dell’editore della Settimana Enigmistica.
Ma oltre all’arguzia del titolo e del testo, ci
sono decenni di storia musicale americana condensata
in 3’45’’. Il primo paragone che viene in mente
è Blind Blake con il suo Police Dog Blues,
già ripreso da Ry all’inizio della sua carriera
solista.
Mitt Romney perse le elezioni, solo per consegnarci
qualche anno più tardi un presidente repubblicano
ben peggiore. Ma la satira dei potenti americani
non finisce e Cooder prende di mira i fratelli Koch,
magnati del petrolio e finanziatori del partito
Repubblicano. Brother Is Gone inizia con
un giro di mandolino perfetto, dolce e malinconico,
mentre viene narrato il momento in cui il vecchio
Satana arriva a Wichita per reclamare l’anima di
uno dei due fratelli in seguito al patto che hanno
stipulato con il maligno per diventare ricchi. La
storia è narrata così bene nel breve tempo della
canzone che né Woody Guthrie né Bob Dylan avrebbero
saputo scriverla meglio. Una lectio magistralis
di musica e letteratura americana. Ma il vecchio
hippie, pony tail e sandali, esce soprattutto nell’invettiva
contro la finanza, colpevole di disastri economici
che hanno travolto e distrutto il ceto medio ed
i più deboli. The Wall Street Part of Town
è un uptempo allegro che rimanda ai classici rock
dei 50’s/60’s tanto cari a Ry.
L’America nel 2012 non era solo travolta dagli scandali
finanziari e dall’acre clima politico. Uno delle
cose che causarono più scalpore furono i vari “leak”
sui carceri di massima sicurezza e sul trattamento
dei detenuti accusati, a volte anche solamente sospettati,
di terrorismo. Guantanamo inizia con una
classica frase blues “You never missed your water
'til your well ran dry” per finire con una più realistica
“Never missed your soul 'til you lived it out”.
E la prospettiva che Cooder ci dà è quella
che a fatica abbiamo tristemente scoperto da notizie
trafugate o involontariamente trapelate, ovvero
che “You can't come back from Guantanamo - Can't
come home from Guantanamo”. Cold Cold Feeling
è un classico blues, cantato dalla punto di vista
di Barack Obama che racconta la sua esperienza e
la solitudine di chi è al comando. I ritmi sono
dilatati, la slide lancinante, come solo un maestro
del bottleneck quale Ry sa fare. Potrebbe essere
un giovane Muddy Waters che suona nel cuore della
notte del Mississippi, potrebbe essere un Elmore
James al culmine della sua espressività. Ry Cooder
suona con lo stesso feeling e stile. Going to
Tampa diventa invece uno sfottò sociale in chiave
bluegrass e prende in giro i “bifolchi” americani
in salopette che foraggiano il partito Repubblicano
e la loro assemblea annuale di Tampa (Florida),
l’importante è che si lasci tenere loro le armi
“sotto il cuscino” e rimettere in piedi “Jim Crow”.
Grande musica, temi sociali, ironia, storie, canzoni
cesellate nell’America di oggi e la zampata di un
grande vecchio che non ha mai mollato. Un artista
con il quale ho imparato a capire il blues e ad
apprezzare la tecnica slide, cercando malamente
di replicare le combinazioni arcane di note che
uscivano dalle sua scalcinate chitarre. Un artista
che meriterebbe un monumento alla carriera per il
lavoro fatto per tenere viva la tradizione americana,
andando anche a pescare nelle radici più nascoste
(andatevi ad ascoltare il disco con Alì Farka Touré,
Talking Timbuktu) e mescolando l’identità
americana con quella delle tante culture che sono
arrivate negli States, portate dalle masse attratte
dal mai defunto “sogno americano”. Sicuramente uno
dei dischi migliori del ventennio.