Respect
di Liesl Tommy
[Eagle Pictures, dal 30 settembre 2021 al cinema]
Titolo emblematico che sottolinea la rivalsa in termini non solo musicali,
di una giovane artista, nata nel ’42 a Memphis, che ha vissuto sotto l’ala
paterna (la madre lascia la famiglia quando lei è ancora bambina), e in
un mondo discografico dominato dalle presenze maschili, a partire da John
Hammond che l’aveva portata alla Columbia nel ‘60, per passare poi all’Atlantic
(’67), grazie alla determinazione di Jerry Wexler. E’ il gran momento
del soul e Aretha si appropria di Respect di Otis Redding, creando
qualche disagio all’autore perché, oltre a farne una magnifica, trascinante
versione, lei la carica di “istanze femminili” e aggiunge significati
“sociali”. Ne ricava un n.1 r&b e pop. Nella recente edizione che indica
le “500 Greatest Songs of All Time”, la rivista Rolling Stone le ha assegnato
il primo posto…
Prima e dopo, altri gioielli, tra cui la straordinaria I Never Loved
A Man (The Way I Love You), A Natural Woman (You Make Me Feel
Like) e Think . Ma per significato e potenza evocativa, Respect
è una perfetta sintesi per documentare la sua storia in pellicola. E'
anche il titolo usato nel 2014 da David Ritz per una nuova biografia,
libera dai “compromessi” di quella precedente, scritta insieme a lei
(Aretha - From These Roots, 1999). Nel film, diretto da Liesl Tommy,
la bravissima Jennifer Hudson ha il difficile compito di rappresentare
la “Queen of Soul” adulta, talentuosa, quanto fortemente tormentata da
tensioni interiori e problemi famigliari; Marlon Wayans è Ted White,
macho e a volte violento marito che, tra l’altro, sconvolse le session
di Muscle Shoals del ’67, litigando ferocemente con Rick Hall, fondatore
degli studios, e con Wexler. Il capolavoro I Never Loved A Man,
verrà completato a New York.
Il ruolo del padre, il carismatico Rev. C.L. Franklin, è affidato a Forrest
Whitaker, che offre alcuni tratti eccellenti, in particolare in uno dei
momenti predicatorii per cui il reverendo era famoso: sermoni che gli
fruttavano anche significative vendite discografiche, per la chicagoana
Chess. Sorprende un po’ che, sostanzialmente, il racconto si fermi agli
anni ’70, dilungandosi qua e là su reiterati momenti relazionali - con
qualche appesantimento da sitcom televisiva -, trascurando i decenni
successivi. Detto ciò, ben sorretto dal cast e dall’interpretazione della
Hudson, il film lascia belle tracce della sua grandezza artistica, anche
nel rievocare il famoso concerto Amazing Grace del ’72, diretto
dall’organista James Cleveland (’72; imperdibile l’omonimo
documentario, uscito nel 2018).
Tra gli altri highlights, la pur “fugace” apparizione
di Mary J. Blige nella parte della grande, egocentrica Dinah Washington,
mentre sono poco approfondite l’amicizia con Sam Cooke - “istigatore”
del passaggio di Aretha dal sacro al profano -, e le carriere solistiche
delle sorelle (l’originale di Piece of My Heart di jopliniana memoria,
è di Erma Franklin), con le quali comunque i diversi momenti di intensa
collaborazione, anche di scrittura e interpretazione, in studio e dal
vivo, sono qui ben rappresentati. In buona sostanza, si esce dalla sala
carichi di “emozioni soul” - neofite o d’antico stampo -, anche grazie
ai titoli di coda, sui quali viene riproposta la sua magnifica esibizione
(2015) davanti ai coniugi Obama e a Carole King, della quale riprende
A Natural Woman, scritta dalla cantautrice insieme a Gerry Goffin.
Nella colonna sonora, oltre a quelle di Aretha/Hudson,
altre preziose gemme, tra cui brani dei Soul Stirrers, con Sam Cooke
leader, Jackie Wilson, Clara Ward, James Brown, Art Tatum, Jimi Hendrix,
John Coltrane…