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Amazing Aretha

- a cura di Gianni Del Savio
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Aretha Franklin, Amazing Grace
di Sydney Pollack, Alan Elliott
[distribuzione Adler Entertainment]

Gennaio ’72. Aretha Franklin è da tempo la più venerata “Queen of Soul”, ma non dimentica le sue radici gospel, anche per l’influenza del padre, il rev. C.L. Franklin, col quale aveva mosso i primi passi artistici in chiesa. Ora, i clamori e il successo della “musica secolare” (devil’s music) fanno pensare, a lei e al produttore dell’Atlantic Jerry Wexler, che sia venuto il momento del “back to the roots”.

L’avvenimento, organizzato nella chiesa battista “The New Temple” di Los Angeles, è presentato e guidato dal Rev. James Cleveland, cantante e tastierista tra i più popolari. Il Southern California Community Choir, diretto da Alexander Hamilton, è il supporto vocale. Cornell Dupree (chitarra), Kenny Lupper (organo: provvede anche all’intro strumentale della Franklin), Bernard Purdie (batteria), Pancho Morales (percussioni), pur tra spazi insoliti, risultano preziosi. Regista delle riprese Sydney Pollack: un po’ “spiazzato” dal contesto non cinematografico, avrà difficoltà di vario genere.

A metà del '72 esce il doppio vinile (bellissima foto di Aretha in copertina), prodotto da Arif Mardin e Jerry Wexler; nel '99 verrà pubblicato Amazing Grace - The Complete Recordings (Rhino/Atlantic, 2cd). Purtroppo, le difficoltà di sincronizzazione del suono e il mancato consenso della Franklin, faranno sì che invece il documentario non sia disponibile per oltre quarant’anni. Vicissitudini di montaggio complesse ma finalmente, nel 2018, si arriva a un prodotto cinematografico brillantemente proponibile, con la regia “aggiunta” di Alan Elliott. Da noi, da poco, è uscito anche in sala, per qualche giorno (14/15/16 giugno scorsi).

13 gennaio ‘72. Chiesa gremita con l’autorevole intervento del padre - preacher tra i più amati, con molti vinili di successo al suo attivo -, e la presenza dell’anziana Clara Ward, una delle pioniere del gospel, qui non chiamata a cantare. Tra il pubblico, inquadrati di sfuggita, in piedi in fondo alla chiesa, Charlie Watts e il più individuabile Mick Jagger; s’intravedono anche le sorelle Carolyn ed Erma Franklin, due talenti messi in ombra dallo strapotere artistico di “Sista Ree”. La quasi trentenne artista è presentata dal Rev. Cleveland: ha uno sguardo bellissimo, con occhi lucidi; composta ma emozionata al punto giusto, dopo che il padre ha parlato di lei, dal palco. Inizio con la pacata, discreta Wholy Holy (Marvin Gaye), poi arrivano passaggi intensi ed emozionanti, quali You’ll Never Walk Alone e soprattutto What A Friend We Have in Jesus, tanto che si vedono le lacrime di qualcuno tra i coristi: provate a rimanere impassibili quando proprio, in tratti diversi di Amazing Grace, o di Mary Don’t You Weep, Precious Lord (pilastro del gospel, miscelato con You’ve Got A Friend), My Sweet Lord (si, quella), lei raggiunge vette dinamiche ed espressive incredibili.

Nello show del 14 gennaio, dopo l’opening strumentale di Lupper e Cleveland, si riprendono vari momenti del giorno precedente, con sequenze diverse, ma continue emozioni e momenti interlocutori sempre degni d’attenzione: scene di grande partecipazione anche tra il pubblico, con qualche esempio di “possesso catartico”, cui ci hanno abituato pure film di successo (“Blues Brothers” fra questi).

87 minuti di una pagina della storia, non solo artistica, di Aretha, che la rappresenta magnificamente, tra mestiere e genuinità.

 


    



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