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Lucinda Williams Car Wheels on a Gravel Road [Mercury 1998] ![]() | |||
1. Right In Time // 2. Car Wheels On A Gravel Road // 3. 2 Kool 2 Be 4-Gotten // 4. Drunken Angel // 5. Concrete And Barbed Wire // 6. Lake Charles // 7. Can't Let Go // 8. I Lost It // 9. Metal Firecracker // 10. Greenville // 11. Still I Long For Your Kiss // 12. Joy // 13. Jackson | ||||
La
rottura definitiva col partner di vecchia data Gurf Morlix, una sfilza di controversie
coi produttori (prima il citato Morlix, poi un seccato Steve Earle, in tandem
con Ray Kennedy nel cosiddetto Twangtrust, e infine un provvidenziale Roy Bittan),
sei anni di registrazioni ininterrotte tra Austin e Nashville, vari esaurimenti
nervosi: questo, in sintesi, il prezzo pagato da Lucinda Williams per incidere
il suo quinto album. Tanto che viene da domandarsi se le aspre recriminazioni
tra garage e roots-rock di Joy ("Hai rubato la mia gioia / La voglio indietro
/ Non avevi alcun diritto di prendere la mia gioia / La rivoglio indietro") non
siano in effetti indirizzate allo stesso Car Wheels On A Gravel Road.
Considerato il capitolo cruciale della carriera dell'artista, Car Wheels, nondimeno,
non risulta il più elegante né il più rockista, non il più suggestivo né il più
pestato (titoli che spettano, rispettivamente, a West [2007], Blessed ['11], Essence
['01] e World Without Tears ['03]). Solo, forse, il più sentito, quello maggiormente
rappresentativo di un verbigerare intenso, appassionato e spiazzante dove trovano
posto, accanto alle storie e ai colori di Texas e Louisiana, il folk straccione
e irresistibile delle ballate, i chiari di luna, il rock e le radici, le delusioni
e i magoni, la rabbia e lo scetticismo, gli slanci e le nostalgie, la poesia e
le birre, il country-blues febbrile di I Lost It e gli anthem rockisti
di Metal Firecracker e Drunken Angel. Un disco a suo modo urticante
e intossicante al tempo stesso. (Gianfranco Callieri) |
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