File Under:country
sadness di
Fabio Cerbone (15/01/2013)
Sul
canovaccio Wooden Wand, sigla che da sempre nasconde la personalità multipla
e iper-produttiva di James Jackson Toth, si sviluppa un ulteriore mutamento di
pelle, passando dal country rock elettrico e velato di gospel del precedente Briarwood
alle ballate narcolettiche di questo Blood Oaths of the New Blues.
Sorta di controcanto all'essenza grezza e sudista di quell'album, una delle registrazioni
più immediate della sterminata produzione di Toth, l'ennesima variante (la media
è di due all'anno, contando uscite ufficiali e esperimenti di contorno) della
cretura Wooden Wand questa volta dilata e scioglie la tensione, in quaranta minuti
e poco più di litanie folk rock che corteggiano una moderna psichedelia blues,
certo suono alterntive country virato all'oscurità, mettendo insieme la malinconia
del maestro Neil Young con la tristezza cosmica di Vic Chesnutt e Jason Molina,
per citare autori più affini e quasi contemporanei.
L'esito è un gioco
di contrasti come il giorno e la notte: il sound dei battezzati Briarwood Virgins
(oggi scomparsi però dalla copertina, tornando a mischiarsi con il solo simbolo
Wooden Wand) non scalpita più con parabole roots rock e strizzate d'occhio al
suono torbido e southern della provincia, semmai si distende su inquieti viaggi
americani (Ousiders Blues), meditabondi versi
dove morte e rinascenza, fantasmi personali e racconti tra il mistico e il concreto
si sovrappongono con accenti misteriosi. Che Toth rimanga una delle penne più
ispirate della sua generazione non vi è alcun dubbio, ma la sua abilità di narratore
(ad esempio nel fatto di cronaca alla base di Southern
Colorado Song) cede ora il passo ad una musica involuta, senza nerbo,
volutamente accartocciata su se stessa. Janet Elizabeth Simpson (anche organo,
moog e pedal steel) tesse la sua voce con il capobanda in una serie di ballate
che avanzano a piccoli passi senza una meta: Dungeon
of Irons e Supermoon (The Sounding Line)
vivono sui battiti rallentati di una chitarra lontana, un steel di sottofondo,
ma non maturano in nulla, racchiuse in una specie di appagato lamento bluesy,
che a volte imbocca la strada più scura e tenebrosa di Dome Community People
(Are Good People), altre si pasce nella semplicità acustica di No
Debts.
Blood Oaths of the New Blues è dunque un mezzo passo
indietro, cercando tuttavia di non snaturare del tutto l'essenza del progetto
avviato con questo terzetto di musicisti (ci sono anche i tamburi smorzati di
Brad Davis e il basso di David Hickox): come se fosse tornato lo spettro del Wooden
Wand dei primordi, folksinger a bassa fedeltà, ma alla luce delle conquiste più
recenti e persino di quel disco a nome solista (Waiting
in Vain, tanto bistrattato dalla stampa che conta, quanto splendido)
che sembrava indicare per James Jackson Toth un'altra possibile via. Oggi ci ritroviamo
i dodici minuti di apertura di No Bed for Beatle Wand/Days
This Long, stiracchiati all'inverosimile, e la noia prende il sopravvento
sulle qualità del songwriting.