Wooden Wand
Blood Oaths of the New Blues
[
Fire records
2012]

www.woodenwand.org


File Under: country sadness

di Fabio Cerbone (15/01/2013)

Sul canovaccio Wooden Wand, sigla che da sempre nasconde la personalità multipla e iper-produttiva di James Jackson Toth, si sviluppa un ulteriore mutamento di pelle, passando dal country rock elettrico e velato di gospel del precedente Briarwood alle ballate narcolettiche di questo Blood Oaths of the New Blues. Sorta di controcanto all'essenza grezza e sudista di quell'album, una delle registrazioni più immediate della sterminata produzione di Toth, l'ennesima variante (la media è di due all'anno, contando uscite ufficiali e esperimenti di contorno) della cretura Wooden Wand questa volta dilata e scioglie la tensione, in quaranta minuti e poco più di litanie folk rock che corteggiano una moderna psichedelia blues, certo suono alterntive country virato all'oscurità, mettendo insieme la malinconia del maestro Neil Young con la tristezza cosmica di Vic Chesnutt e Jason Molina, per citare autori più affini e quasi contemporanei.

L'esito è un gioco di contrasti come il giorno e la notte: il sound dei battezzati Briarwood Virgins (oggi scomparsi però dalla copertina, tornando a mischiarsi con il solo simbolo Wooden Wand) non scalpita più con parabole roots rock e strizzate d'occhio al suono torbido e southern della provincia, semmai si distende su inquieti viaggi americani (Ousiders Blues), meditabondi versi dove morte e rinascenza, fantasmi personali e racconti tra il mistico e il concreto si sovrappongono con accenti misteriosi. Che Toth rimanga una delle penne più ispirate della sua generazione non vi è alcun dubbio, ma la sua abilità di narratore (ad esempio nel fatto di cronaca alla base di Southern Colorado Song) cede ora il passo ad una musica involuta, senza nerbo, volutamente accartocciata su se stessa. Janet Elizabeth Simpson (anche organo, moog e pedal steel) tesse la sua voce con il capobanda in una serie di ballate che avanzano a piccoli passi senza una meta: Dungeon of Irons e Supermoon (The Sounding Line) vivono sui battiti rallentati di una chitarra lontana, un steel di sottofondo, ma non maturano in nulla, racchiuse in una specie di appagato lamento bluesy, che a volte imbocca la strada più scura e tenebrosa di Dome Community People (Are Good People), altre si pasce nella semplicità acustica di No Debts.

Blood Oaths of the New Blues è dunque un mezzo passo indietro, cercando tuttavia di non snaturare del tutto l'essenza del progetto avviato con questo terzetto di musicisti (ci sono anche i tamburi smorzati di Brad Davis e il basso di David Hickox): come se fosse tornato lo spettro del Wooden Wand dei primordi, folksinger a bassa fedeltà, ma alla luce delle conquiste più recenti e persino di quel disco a nome solista (Waiting in Vain, tanto bistrattato dalla stampa che conta, quanto splendido) che sembrava indicare per James Jackson Toth un'altra possibile via. Oggi ci ritroviamo i dodici minuti di apertura di No Bed for Beatle Wand/Days This Long, stiracchiati all'inverosimile, e la noia prende il sopravvento sulle qualità del songwriting.



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