Anche gli
aerei che decollano a grandissima velocità prima o poi devono assestarsi
a una velocità di crociera, e così è anche per i giovani artisti che nei
primi album esprimono tutto il meglio della loro arte: pensare che possano
ogni volta far di meglio è storicamente improbabile. Con questo pensiero
abbiamo tutti accolto il nuovo album di Michael Kiwanuka, il quarto
in studio, ma soprattutto il titolo che avrà il malaugurato compito di
venire dopo due dischi pressoché perfetti come Love
& Hate (2016) e Kiwanuka
(2019), il che però non costituisce un difetto reale, quanto solo percepito.
La storia della musica è piena di esempi di album validissimi accolti
freddamente solo perché paragonati a predecessori troppo illustri, eppure
oggi ci rendiamo conto di quanto anche mantenere un certo livello non
sia per nulla scontato.
Con questa introduzione vi ho già anticipato il giudizio e il senso di
questo Small Changes, titolo che sembra quasi volersi giustificare
sul fatto che sì, c’è qualche piccola novità, ma sostanzialmente si tratta
“solo“ del nuovo atteso album di Michael Kiwanuka. Anche la struttura
del disco tradisce una certa paura dell’autore nel presentare qualcosa
che non potesse essere accettato dalla buona fanbase guadagnata in più
di dieci anni, e così la prima parte dell’album è sicuramente la migliore,
perché paradossalmente suona come un addendum ai due album precedenti,
fin dal rassicurante singolo Floating Parade
e dalla title-track, una di quelle splendide, eteree ballate soul che
ci aspettiamo da lui.
La parte finale invece prova a buttarla un po’ su un mix di classe ed
emozioni (da cui il continuo paragonarlo a Bill Withers che si legge ovunque),
con brani di sicuro impatto melodico come Follow Your Dreams o
The Rest Of Me, ma se il livello resta comunque sopra la media
del new soul di questi tempi, la sensazione è che stavolta Kiwanuka non
abbia trovato il brano-killer che renda il tutto sensazionale. Anzi, in
un paio di casi quel poco di sperimentazione in più pare non sortire gli
effetti desiderati (per esempio la poco riuscita Stay By My Side),
in altri, come l’accoppiata centrale con echi quasi pinkfloydiani di Lowdown,
centra invece in pieno il bersaglio. Ripeto, normalissimo che sia così,
Small Changes sarà accolto con qualche tono di sufficienza come
è destino per i seguiti dei grandi titoli, ma poi in fondo anche oggi
siamo qui a scrivere a posteriori di quanto si era esagerato nel giudicare
male titoli quali Goats Head Soup dei Rolling Stones o, stando
nei nostri meandri, mi viene in mente l’ottimo, ma ai tempi quasi ignorato,
Three Snakes and One Charm dei Black Crowes.
Producono ancora una volta Inflo (dei Sault) e Danger Mouse, e il non
aver voluto cambiare il team produttivo indica quanto forse Kiwanuka temesse
di fare un passo falso. Non lo ha commesso assolutamente perché è andato
sul sicuro, e al massimo ha fatto qualche passettino in più verso un elegante
smooth-soul un po’ démodé, ma questo basta a dire che Small Changes
lo conferma, per quanto ci riguarda, come uno degli artisti migliori della
nuova era di quella black music tinta di soul che piace alle nostre pagine.