Il senso del titolo e della
title-track è ambivalente, eppure limpido: a questo punto dovrebbe essere
chiaro a tutti che l’identità dei Lucero è solidissima e, per certi
versi, intoccabile. Should’ve Learned by Now è una perentoria
dichiarazione d’intenti fin dall’inizio, quando One
Last F.U. spara ad alzo zero e impone un po’ anche la cifra
stilistica del disco, che è immediato, nudo & crudo. È limitato rispetto
all’epica costruzione di Among
the Ghosts (2018, finito dritto tra i dischi dell’anno di RootsHighway)
e meno ambizioso di When
You Found Me (2021) e così le sue qualità sono tutte nella
corrispondenza all’essenza rock’n’roll dei Lucero, che sono come il Jack
Daniel’s: non sarà un grande whiskey, ma è il Jack Daniel’s, prendere
o lasciare.
Il suono scarno ed elettrico di Should’ve Learned by Now riporta
ai primi dischi, un ripiegamento alle origini che in realtà non hanno
mai lasciato: in un certo senso è anche un punto di non ritorno per una
rock’n’roll band che non sa (o non vuole) cambiare il suo sound di un
millimetro (c’è anche la conferma del produttore, Matt Ross-Spang) e anche
questo potrebbe essere un merito, visto i tempi che corrono. L’energia
di Macon If We Make It, Nothing’s Alright o il riff di Buy
a Little Time dicono che c’è ancora qualcuno capace di assimilare
il rumore e l’elettricità e di farli convivere con l’immaginario di Ben
Nichols. Qui naturalmente sono la voce e le canzoni che fanno la differenza
perché sono quelle, e punto: imbattersi in She Leads Me o nella
suggestiva Raining For Weeks è come
scoprire qualcosa di nuovo su una strada che si conosce a memoria, da
anni e anni.
Ci vuole un po’, ma Should’ve Learned by Now fa proprio quell’effetto.
È una sorta di ritorno a casa, con le chitarre elettriche (lo stesso Ben
Nichols e Brian Venable) che non si fermano mai e i contrappunti lasciati
a Rick Steff che si dedica soprattutto al pianoforte, facendo affiorare
un sottile e curioso strato di E Street (in particolare nella coda di
At The Show) sull’impeto dei Lucero. C’è anche qualcosa di subliminale
pescato dai Los Lobos nell’evocazione della luce lunare in Drunken
Moon (bellissima) e in Time To Go Home che, impreziosita
da una splendida fisarmonica, sigilla un pugno di canzoni che hanno l’ormai
raro sapore della sincerità e puzzano di alcol, di notte, di benzina,
di pioggia, insomma, della vita vera come può raccontarla soltanto una
(grande) rock’n’roll band.