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Ryan Adams
Wednesdays
[PaxAm 2021]

Sulla rete: ryanadamsofficial.com

File Under: everyday is like Wednesdays


di Nicola Gervasini (02/01/2021)

Esiste una discussione a livello globale intorno all’uscita di Wednesdays di Ryan Adams che va oltre la questione musicale, e che potrebbe anche non interessarci, se non fosse che questo disco è uscito con parecchi mesi di ritardo, e ciò pesa non poco nel collocarlo nella sua carriera. L‘album, infatti, doveva essere il secondo di un trittico di nuovi lavori che in qualche modo completava un viaggio di ricerca e autoanalisi riguardo il proprio rapporto con la vita e l’amore, che era iniziato con Ashes & Fire del 2011, e che aveva avuto col precedente Prisoners il suo capitolo più sofferto e travagliato (e forse anche il meno riuscito dei suoi anni Dieci). Se poi il 2021 sarà l’anno in cui potremo gustarci la mole di musica prodotta da Adams tra il 2018 e il 2019 forse lo sapremo a marzo, quando Wednesdays vedrà realmente la luce in formato fisco.

Ma se ne parliamo già oggi è perché lo stesso Adams ha probabilmente voluto sondare il terreno prima di tornare in scena, capire le reazioni del pubblico al nuovo disco di un artista coinvolto in vicende che interessano la giustizia e non una rivista musicale, e quindi ha reso disponibile il disco già da dicembre su una piattaforma di streaming. Per cui resteranno delusi quelli che vorrebbero sapere se l’esilio dal palco, forzato dallo “shitstorm” di cui è stato fatto oggetto un anno fa, ha generato una serie di risposte in musica rabbiose o pentite, perché in queste canzoni c’è ancora l’Adams di tre anni fa, quello che non trovava pace tra la sua indole vulcanica e difficile da gestire anche per sé stesso, e una potenza emotiva nell’esprimere il proprio amore non comune. Di certo, ascoltando Wednesdays non si può restare indifferenti all’inizio da K.O. di I'm Sorry and I Love You e Who Is Going to Love Me Now, If Not You, due titoli che già dicono molto della sua maniera tormentata di vivere le relazioni con l’altro sesso, ma che rappresentano anche una nuova conferma del fatto che non esiste nessuno bravo come lui a coniugare tradizione, fruibilità pop e genuina espressione del dolore.

Tre elementi che Adams sa dosare sempre alla perfezione, non arrivando a sembrare mai lamentoso senza essere anche cantabile e immediato, come una canzone di quegli Smiths di cui resta sempre un evidente e dichiarato debitore, e senza perdere di vista il fatto che ha una facilità a scrivere ottimi standard di folk/rock/country (chiamatelo come volete) americano, che pochi possono vantare oggigiorno. Questo sì che ci interessa, registrare come Adams abbia davvero raggiunto l’età della maturità, in cui ha smesso di dover dimostrare a tutti qualcosa, arrivando anche a sbagliare disco, come ha spesso fatto in passato, se è vero che negli ultimi dieci anni l’esperimento di 1989 del 2015 sembra essere stato l’unico colpo di testa, e tra l’altro pure riuscito più che discretamente.

Basterebbero le prime due canzoni per promuovere Wednesdays come il giusto sequel del bellissimo self-titled del 2014, ma anche nel prosieguo dell’album non mancano i momenti significativi come la title-track, Birmingham, Walk in the Dark e il toccante finale di Dreaming You Backwards. I brani sono solo 11, mentre quando a inizio 2019 Adams annunciò la trilogia, Wednesdays ne prevedeva 17, il che ci fa pensare che nei prossimi anni, se la valanga di fango (giusta o sbagliata che sia) non lo soffocherà, saremo invasi da una mole di nuove canzoni difficilmente gestibile anche per chi lo segue. Una fatica che affronteremo volentieri, se le premesse sono queste.


    


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