Brent Cobb
Keep 'Em On They Toes
[Ol' Buddy Record/ Goodfellas 2020]

Sulla rete: brentcobbmusic.com

File Under: laid back country songs


di Fabio Cerbone (15/10/2020)

Georgiano partito in cerca di fortuna per la California (Los Angeles, dove ha inciso il suo esordio) e poi approdato per forza di cose a Nashville, Brent Cobb è uno dei giovani songwriter più interessanti dell’ultima nidiata country. Il suo stile “laid back”, con forti radici sudiste e un clima generale che riporta tanto alla canzone roots d’autore degli anni Settanta quanto al movimento dei cosidetti Outlaws, aveva impressionato favorevolmente dopo la pubblicazione di Shine on Rainy Day, disco del 2016 che aveva ricevuto una nomination come 'Best Americana Album', e soprattutto del più elettrico Providence Canyon (2018). Quest’ultimo, grazie anche alla produzione del noto cugino Dave Cobb, nome di punta nel settore e richiestissimo sulla piazza, aveva acquistato un suono più risoluto, flirtando con il southern rock, con ballate che ricordavano JJ Cale e i dischi solisti di Gregg Allman, oltre allo stile swamp di Tony Joe White.

Chi si aspettava un passo ulteriore in quella direzione rimarrà parzialmente deluso dal nuovo Keep ‘Em on They Toes (qualcosa come: "tienili sulla graticola, fai che si aspettino di tutto"), che da un certo punto di vista torna indietro, facendo ammenda: seppure il talento di Cobb non sia in discussione, l’atmosfera rilassata e la prevalenza di ballad dal carattere intimo, attraversate da docili tonalità country rock da portico, sulla distanza rende questo lavoro un po’ troppo mite e monocorde, quasi che Dave abbia voluto rifugiarsi nella sua casa natale in Georgia e pensare a se stesso, agli affetti più cari, isolandosi da un mondo incattivito. I brani confermano queste impressioni; sono quadretti di famiglia (il finale soprattutto, con Little Stuff), semplici pensieri d’amore (Good Tikmes and Good Love), esami di coscienza, anche ironici, sulla propria condizione di musicista (Shut Up and Sing), che si alternano a riflessioni sulla società moderna, riassunte in qualche modo dalla title track, Keep ‘Em on They Toes, e dal motto contenuto nel titolo stesso.

I punti di riferimento di Brent Cobb questa volta sembrano essere John Prine, soprattutto per il sound asciutto e minimale, il Waylon Jennings più raccolto e maturo, ma anche certa canzone country ammansita tipica di personaggi come Don Williams: fatta eccezione per la robusta armonica che taglia in due Shut Up and Sing o il trotterellare della ruspante Dust Under My Rug, ancora imparentata con JJ Cale, il lavoro del nuovo produttore Brent Cook (di estrazione più affine al mondo indie rock) è stato quello di accomodare la voce garbata di Cobb, spesso un sussurro gentile, intorno a una strumentazione elettro-acustica arrangiata in punta di dita, con piccoli interventi di violino, organo e seconde voci femminili (brava Nikki Lane nel duetto spiritoso di Soapbox). Da qui nascono canzoni come Sometimes I’m a Clown, la melodia naturale di This Side of the River e la più languida The World is Ending, più che mai attuale nelle sue considerazioni.

Si arriva in fondo al viaggio con la sensazione di essere accompagnati per mano da un amico della porta accanto, ma anche con l’idea che Brent poteva osare molto di più: ha scelto invece di nascondersi e mettersi comodo, aspettando tempi migliori.


    


<Credits>