File Under:southern
comfort di
Fabio Cerbone (01/06/2018)
Il
Providence Canyon, raffigurato nel dipinto in copertina, è una della "sette meraviglie
della Georgia", anche se l'ente turistico dello stato deve avere calcato un po'
la mano con la descrizione. Si trova nella contea di Stewart, a sud-ovest, verso
il confine con l'Alabama. Di questi luoghi, della terra che lo ha visto crescere
in una piccola comunità, si nutre ancora una volta il songwriting di Brent
Cobb, trentenne che sta ridando slancio al country d'autore e fuorilegge degli
anni settanta, sporcandolo con chitarre southern, atmosfere swamp e ritmi funk,
elementi che rispetto al precedente e già positivo Shine
on a Rainy Day hanno preso il sopravvento, aumentando il tasso di elettricità
della sua musica.
La convinzione con la quale Brent ci introduce alle
sue storie dal piglio blue collar, incentrare sulla gente comune della Georgia,
naturalmente con cenni biografici e un briciolo di ironia che non guasta mai,
è l'arma vincente di un disco che trasuda vecchio rock confederato e ballate outlaw
da ogni poro, con la complicità del cugino e produttore di prima fila Dave
Cobb. Quest'ultimo, infatti, è stato la molla per avviare la carriera di Brent:
dai sogni nel piccolo paese alla fortuna tentata prima a Los Angeles e poi a Nashville,
dove qualche canzone firmata dal giovane songwriter è finita dritta nel repertorio
di artisti dalle vendite milionarie. Brent Cobb però non guarda alle stelle, ma
alla sostanza della tradizione e con una vicenda che ricorda molto Chris Stapleton
(hanno in comune il produttore, e Brent gli ha fatto da spalla nel più recente
tour americano) nei suoni dischi conserva un atteggiamento fedele ai maestri dell'altra
Nashville.
Dio ce lo conservi se poi i risultati hanno i colori brillanti
di Providence Canyon, un disco di Americana dal forte accento regionale,
che offrendo il destro alle chitarre di Mike Harris e all'organo di Philip Towns,
passa in rassegna il country rock più californiano della title track e l'inflessione
da ballata rock stradaiola di King of Alabama
(brano dedicato alla scomparsa dell'amico musicista Wayne Mills), per gettarsi
quindi anima e corpo nella mischia, grazie al groviglio di swamp e funk sudista
di Mornin's Gonna Come e Sucker for a Good Time,
la slide agrodolce di una nostalgica Come Home Soon (un pensiero al padre
di Brent) e una sfacciata High in the Country,
che cita i Lynyrd Skynyrd nel testo e si apre agli orizzonti della sconfinata
strada americana. Sceneggiatura a prova di bomba, per qualcuno anche prevedebile,
ma Providence Canyon sfodera suoni a regola d'arte, una voce credibile che racconta
storie di ordinaria America di provincia e la perfetta aggressività rock per gareggiare
con i campioni del genere: se l'ultimo Jason Isbell vi è sembrato un po' troppo
adagiato sui toni intimi del folksinger e Sturgill Simpson o lo stesso Stapleton
hanno un passo country che li mantiene a metà fra il paradiso e l'inferno di Nashville,
allora potreste trovare pane per i vostri denti nell'impudente citazione di JJ
Cale e Lynyrd Skynyrd di If I Don't See Ya,
o ancora nella mistura southern rock e funky di .30-06, da qualvche parte
tra l'Eric Clapton di 461 Ocean Boulevard e l'Allman Brothers band più robusta.
A saziare l'appetito sudista, in un crescendo di swamp rock e bollente
coralità gospel soul ci pensa infine l'uno due piazzato in chiusura con When
the Dust Settles e Ain't a Road Too Long:
un piccante piano boogie tiene botta, le chitarre entrano a manciate, slide compresa,
e ululano sul sentiero per Macon, Georgia con lo spirito del compianto Gregg Allman
nel cuore.