Tyler Childers
Country Squire
[
Hickman Holler/ RCA
2019]

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File Under: Kentucky honky tonker

di Fabio Cerbone (01/09/2019)

 

La country music gode di ottima salute, e il Kentucky è la sua nuova casa natale. Temo se ne siano accorti anche dalle parti di Nashville, accogliendo i figli di quella terra a braccia aperte. L’ultimo in ordine di tempo è stato Ian Noe, che ci ha colpito al cuore con il suo Between the Country, ma nel frattempo un altro trentenne bussa alla porta e chiede di aggiungere un posto a tavola: Tyler Childers. L’entusiasmo intorno alla sua figura era cresciuto con Purgatory, l’esordio a livello nazionale del 2017 prodotto con la collaborazione del collega Sturgill Simpson e di David Ferguson (storico ingegnere del suono per Johnny Cash). In quel disco Childers metteva a frutto un decennio trascorso fra le radio e i locali di Lexington, dove aveva inciso il suo primo album a soli diciannove anni. Emergeva un sapore aspro e sincero di country rurale, di radici bluegrass e honky tonk elettrico, uno spirito che aggiornava la stagione degli outlaw con vignette sociali dall’America più profonda.

Country Squire conferma la squadra vincente e sotto la direzione dell’amico Simpson raddoppia la posta in gioco: nove canzoni, tempi stringati come si conviene a una raccolta country d’altri tempi, ma soprattutto un suono che si è solo leggermente addomesticato, mollando per strada qualche accento folk e privilegiando l’anima elettrica. Non a caso, pur nella sua indipendenza, Childers si è portato a casa un contratto di distribuzione con la RCA, che probabilmente gli farà guadagnare, glielo auguriamo, maggiori attenzioni. Il frutto del “compromesso” è di grande qualità, e non perde un briciolo della brillantezza esibita in passato, per dare ancora risalto alla chiara voce rustica di Tyler, a quelle cadenze inconfondibili che sanno di country rock agreste e ballate dal gusto terrigno. Gli arrangiamenti sono vivaci, fiddle, banjo, mandolini e steel guitar garantiscono un alto tasso di tradizione, mentre la stessa Country Squire parte a razzo raccontandoci i sogni di un musicista adottato dalla strada, che sogna la sua reggia, o forse meglio un angolo di riposo.

In sessione sono coinvolti vecchie volpi e solidi strumentisti di area bluegrass come Stuart Duncan (fiddle, mandolino) e Dave Roe (contrabbasso), ai quali si aggiungono le chitarra in mille salse di Russ Pahl e gli svolazzi da barrelhouse di piano e organo nelle mani di Mike Rojas e Bobby Wood. La festa è garantita, i suoni nitidi, esemplari per fare emergere il racconto e la voce di Tyler Childers, che affonda nel terreno country appalachiano di Bus Route e danza sulla melodia antica di Creeker. Le canzoni si susseguono senza soluzione di continuità, dando l’impressione di una sorta di romanzo, anche se Country Squire non insegue velleità da concept album, piuttosto una serie di quadretti spesso autobiografici, molti scritti e pensati durante la dura vita del musicista in tour. Il fuoco che li alimenta è evidente, trascinando l’ascolto tra un honky tonk da manuale come Gemini fino all’incalzare country banditesco di House Fire, la quale si arrampica sulla vetta aumentando il passo nel dialogo finale tra organo e violino.

Ever Lovin’ Hand
poteva comparire soltanto in un album di un rinnegato: siamo sicuri che a Nashville un galoppante honky tonk dedicato alle gioie della masturbazione non l’avrebbero mai accettato... Peace of Mind allenta un po’ la morsa e si accomoda sulle carezze di un altro walzer, All Your’n è una piccola brezza gospel country che ricorda Bob Dylan & the Band in uscita libera nel Tennessee, mentre i dettagli da racconto di provincia di Matthew chiudono con quel secco rintocco acustico che arriva dritto dal nativo Kentucky. Nuovi tradizionalisti crescono.


    



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