Il realismo americano entra
dalla porta principale e si impossessa di ballate folk rock asciutte,
colorate dal nero carbone del Kentucky. È l’esordio internazionale di
Ian Noe, trentenne con la visione di un saggio e la penna di un
autentico narratore, il quale in Between the Country concentra
una giovane vita trascorsa tra lavori duri, autenticamente blue collar
(persino un periodo in un pozzo petrolifero nel suo curriculum) e la legittima
aspirazione di portare le sue canzoni al grande pubblico. C’è qualcosa
di magico che scorre nell’acqua del Kentucky (che in verità dovrebbe essere
una delle terre più brutalizzate e inquinate d’America), se è vero che
dopo l’espressività country dei conterranei Chris Stapleton e Sturgill
Simpson, è oggi il turno di questo ragazzone con una faccia un po’ imbronciata
(guardate il video, non vi ricorda un giovane Jeff Tweedy?) e un pugno
di brani che hanno sedimentato per dieci anni abbondanti, quelli che ci
ha messo Noe per emergere dal nulla di Beattyville.
Capita così che giunto al debutto ogni dettaglio suoni al posto giusto,
perfettamente maturo e consapevole nel padroneggiare il suo stile, uno
di quei rari esordi in cui tutto appare già scritto con lo sguardo accorto
della responsabilità. Ian Noe vi è approdato passando per qualche manifestazione
locale fra i suoi amati Appalachi, le attenzioni ottenute al Boston Folk
Festival e un paio di lavori discografici autoprodotti, che sono serviti
a spedirlo in tour come spalla di Colter Wall e John Prine, tra gli altri.
Da qui nasce il legame con il produttore Dave Cobb, ormai punto
di riferimento della nuova ondata di autori Americana, che si è portato
Noe negli studi RCA di Nashville, gli ha messo a disposizione un drappello
selezionato di musicisti (tra tutti Adam Gardner al piano e lo stesso
Cobb alle chitarre assortite), un combo ridotto all’osso e un suono secco
e lirico al tempo stesso, in grado di esaltare il tono diretto del racconto,
senza per ciò apparire spoglio.
Riverniciando composizioni del suo catalogo passato e aggiungendovi inediti,
Ian Noe passa in rassegna short stories che parlano di depressione
e treni, di rapine in banca, disoccupazione e alcolismo, ma anche di amore
disperatamente inseguito, sullo sfondo di un Kentucky che è la metafora
di tutta l’America degli sconfitti. Il primo capitolo è per Irene
(Ravin' Bomb), limpido pencolare folk rock che pare uscire
da un vinile della Nashville alternativa dei primi anni Settanta. Inutile
nascondere padri putativi e ispirazioni più o meno intenzionali: la fortissima
cadenza dylaniana del fraseggio (una tormentosa e caracollante Meth
Head), il figlioccio John Prine nei tratti più country e bruschi
(That Kind of Life, If Today Doesn't Do Me In), quella distante,
dolce malinconia da storyteller di razza che non si toglie mai di mezzo
(Junk Town, Loving You) e che volendo fare i "saputelli"
ad ogni costo, richiama spesso eroi misconosciuti come David Blue e Paul
Siebel, gente che ha costruito l’impalcatura del country folk d’autore
americano.
Tornando a Ian Noe e al suo viaggio di testimonianza in Between the
Country, con gli stivali nel fango e lo sguardo rivolto agli scorci
illusori delle small town, ci sono ancora da premiare i cristallini riflessi
elettro-acustici di Barbara’s Song, lo straziante ondeggiare in
minore di Letter to Madeline e il
tenero dolore che si impossessa di Dead on the
River (Rolling Down), tre accordi di chitarra (e un lirico
pianoforte di tanto in tanto) e la verità, come diceva qualcuno un tempo
a Nashville, fino ai titoli di coda, dibattuti tra l’epico e il drammatico,
della title track: Ian Noe affonda mani e piedi nelle vene scure dell’America,
costruendo una colonna sonora che potrebbe accompagnare il nuovo romanzo
di gente come Chris Offutt o Willy Vlautin.