Jay
Farrar ha sempre avuto una voce antica come i primi pionieri, più vecchia
della sua effettiva età ed espressione di un'America ideale e concreta al tempo
stesso, quella "no depression" da provincia rock che ha testimoniato con la sua
opera fin dagli anni divenuti leggenda insieme agli Uncle Tupelo. Approssimatosi
ai cinquanta, dopo avere festeggiato il ventennale di Trace,
esordio dei Son Volt che sospinse un intero movimento, il cosiddetto alternative
country, sotto la ribalta dei riflettori, è quasi logico che Farrar venisse al
blues. Inteso quest'ultimo, sia ben chiaro, non come scelta stilistica in sé,
come linguaggio musicale con precisi codici da ricopiare, semmai quale veicolo
per parlare di temi universali quali la lotta per la sopravvivevnza quotidiana
e la ricerca di una redenzione.
Così si esprime Jay Farrar per descrivere
Notes of Blue, album conciso e ispirato, che del blues cattura
un concetto, uno spirito, più che un semplice suono, anche se le accordature,
il call & response dei versi, alcune suggestioni negli arrangiamenti nascono comunque
dall'intenso ascolto di Mississippi Fred McDowell e Skip James, citati non a caso
e testimoni delle ombre più scure e fangose di questa musica. Ai quali però dovremmo
aggiungere, per bilanciare, Richard Thompson, Nick Drake e naturalmente Hank Williams,
la solitudine folk e il canto operaio del country, o magari la stessa Carter Family
da cui iniziò tutto il lungo viaggio di Farrar stesso. La conclusione è un disco
assennato, profondo e coerente come non accadeva da tempo, senza dubbio molto
più a fuoco del tentativo nostalgico espresso in Honky
Tonk. Non c'è forse il gusto della ricerca sonora che ancora oggi dovrebbe
far rivalutare un lavoro poco compreso come The
Search, eppure siamo travolti da una piena di desolazione alt-country
che nell'uno due iniziale di Promise of the World e Back
Against The Wall ci ricorda perché i Son Volt sono giustamente considerati
precursori e maestri di un genere.
Si tratta anche degli episodi più familiari
e contestualizzati nella loro storia passata, i meno avvezzi all'indole blues
di cui sopra, che comincia ad incalzare fra la muraglia elettrica e lo sferragliare
ritmico scheletrico di Static e Cherokee
st., materiale che non scalciava con questa grezza verniciatura rock da molto
tempo a questa parte. La band ha subito repentini cambiamenti negli anni, anche
se l'assistenza di John Agnello in sede di produzione garantisce una certa continuità.
È pur vero che il solo Jay Farrar sembra oggi più che mai il fulcro della vicenda
Son Volt e la sua setssa nemesi. E lui la porta a inseguire i fantasmi di un hillbilly
rock irruento con Sinking Down, nonchè misterioso
in Midnight, prima di acquietarsi tra il fingerpicking a passo country
blues di una dolcissima The Storm, oppure ancora adagiato fra le terre
sudiste di Cairo and Southern.
Un
canto antico, come si diceva in partenza, quello di Farrar, che con tutti i limiti
del suo registro, non si esprimeva con questo trasporto da troppo tempo: è il
timbro ideale per guidarci fra le turbolenze del "blues" verso la luce della salvezza.