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thunders and lights di
Fabio Cerbone (02/10/2017)
Nono
disco di studio, quasi vent'anni di carriera sulle spalle e Josh Ritter
non ha perso un briciolo della sua inventiva, quel talento nel ridare luce e slancio
al linguaggio più classico del folk rock, diventando tra i migliori testimoni
della sua generazione. Gathering è ancora una volta il riflesso
di un pugno di canzoni sui generis, con quelle eccentricità che appartengono di
diritto al suo modo di scrivere musica, pur con i piedi ben saldi dentro la tradizione
di cui fa parte. Meno moderno e "stravagante" del suo predecessore Sermon
on the Rocks, ma in qualche modo espressione di un songwriting mai
rappacificato con se stesso, Gathering recupera gli accenti roots degli esordi
e li sposa con una fantasia strumentale che ha ormai raggiunto la piena intesa
con i musicisti che lo accompagnano (la ribattezzate The Royal City Band, insieme
alla produttrice Trina Shoemaker).
In un saliscendi di emozioni che Ritter
lascia fluire in superficie, alternando gioia e introspezione, risate e tristezza
come lui stesso ci tiene ad affermare, questa raccolta è descritta dall'autore
come quel momento di sospensione nell'aria prima del temporale. E tuoni e fulmini
ricorrono nelle immagini di feels Like Lightning,
galoppante al bislacco ritmo country del gruppo, e Thunderbolt's
Goodnight, ballata assai più eterea per piano e voci. In questa dicotomia,
anche strumentale, Gathering acquista buona parte del suo fascino: dopo una breve
introduzione a cappella, Shaken Love Song (Leah) che riconduce alla quiete
prima della tempesta, annunciando gli scrosci, arriva inaspettata la luce di Showboat
e Freindamine, folk rock luminoso e incalzante
a seconda dei passaggi, con organi e fiati a gonfiare il suono e un Ritter in
fregole dylaniane. Chi si aspetta un copione già scritto però non ha fatto i conti
con quel dinamismo nel songwriting di cui sopra, motivo per il quale Gathering
si ammorbidisce all'improvviso nell'accoppiata di voci in When
Will I Be Changed, con la partecipazione di Bob Weir. Il vecchio
leone dei Grateful Dead restituisce qui una sorta di favore, dopo che Ritter stesso
aveva avuto un ruolo importante nella stesura dei brani dell'ottimo Blue
Mountain.
Frutto di una scrupolosa selezione fra oltre trenta
brani, registrati in fretta nell'arco di due settimane, Gathering non nasconde
l'urgenza dei sentimenti descritti, fra vulnerabilità, incertezze e flussi di
coscienza, raggiungendo il suo apice nella strepitosa cavalcata interiore di Dreams,
tra rintocchi di piano e punteggiature di chitarra che ricordano un Nick Cave
con qualche sprazzo di luce in più. La canzone è "schiacciata" fra
le carezze di Train Go By e Myrna Loy, quest'ultima quasi jazzata
e lieve nel ritmo al pari del finale di Strangers,
mentre un Interlude di natura strumentale spezza la sequenza appena annunciata
e rivela l'ultima impennata dell'album, con il passo alla Johnny Cash di
Oh Lord (Part 3) e le volute folk rock tra organetti sixties di
Cry Softly.
Colori tenui e sgargianti al tempo stesso, come i quadri
che il Josh Ritter pittore ha ripreso a dipingere in questo periodo (si veda la
copertina), Gathering è un disco che lascia ancora aperta la sfida di questo songwriter,
nonostante gli anni, il tempo che passa e i capelli più bianchi.