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western folk
memories di
Paolo Baiotti (01/11/2016)
Non
pensavo che Bob Weir, voce e chitarra ritmica dei Grateful Dead, sarebbe
stato in grado di pubblicare un disco solista interessante e personale a 69 anni,
carico di acciacchi e visibilmente provato anche vocalmente nelle recenti esibizioni
dal vivo. L'ultimo anno è stato pieno di attività per il maturo artista californiano:
i cinque trionfali concerti Fare Thee Well a Santa Clara e Chicago, organizzati
per celebrare il 50° anniversario dei Grateful Dead che hanno riunito probabilmente
per l'ultima volta i quattro musicisti della band (Weir, Lesh, Kreutzmann e Hart)
orfani di Jerry Garcia, sostituito da Trey Anastasio dei Phish, il tour autunnale
e quello estivo con la "nuova" formazione Dead & Company (priva di Lesh, con John
Mayer alla chitarra solista) e la partecipazione al monumentale tributo Day
Of The Dead curato da Aaron e Bryce Dessner
di The National hanno comportato un ritorno di interesse per la leggendaria band
della Bay Area e per i suoi musicisti.
Tuttavia, se ci riferiamo alla
carriera solista di Bob, dobbiamo risalire all'eccellente esordio Ace (considerato
quasi come un disco dei Grateful Dead) del '72, seguito dal modesto Heaven Help
The Fool del '78. Altri dischi sono stati incisi con formazioni più o meno stabili
quali i Kingfish, Bobby And The Midnites e i Ratdog… nulla di trascendentale,
ad eccezione di Evening Moods del 2000 con i Ratdog. Blue Mountain
volge lo sguardo all'adolescenza del musicista e in particolare a un periodo trascorso
in un ranch del Wyoming nell'estate del '63, dopo essere scappato dalla casa dei
genitori adottivi, che diede a Bob l'opportunità di lavorare con i mandriani e
di conoscere un mondo già allora in via di estinzione, di uomini cresciuti prima
dell'avvento della radio, abituati a trascorrere le serate intorno a un fuoco
raccontando storie e cantando brani tradizionali. Invece di riprendere queste
canzoni, Weir ha pensato di scrivere brani nuovi ispirati a quell'epoca, aiutato
dal cantautore Josh Ritter e da un gruppo di musicisti di diversa estrazione,
alcuni legati al suo mondo come Ramblin' Jack Elliott, Jay Lane, Joe Russo, Steve
Kimock, altri al giro di The National (il produttore Josh Kaufman, i fratelli
Dessner, Scott Davendorf, Sam Cohen).
Un tentativo di fondere vecchio
e nuovo, tradizione e indie rock, forse anche di svecchiare la propria immagine
e di flirtare con un pubblico nuovo, non del tutto riuscito, ma coraggioso e degno
di attenzione. Ho la sensazione che i brani più indovinati siano quelli più semplici
ed essenziali, in qualche modo legati alla tradizione, come l'opener Only
A River, una sorta di riscrittura del traditional Shenandoah, la melodica
Lay My Lily Down ispirata da un vecchio brano folk della regione degli
Appalachi, la brillante Gonesville profumata
di rockabilly, la dolente Darkest Hour, l'acustica Ki-Yi
Bossie con il grande vecchio Ramblin' Jack Elliott, la title track
eseguita in solitudine da Weir e la conclusiva One More River To Cross.
Al contrario non convincono del tutto Ghost Towns, Cottonwood Lullaby,
Storm Country e Gallop On The Run, forse per gli arrangiamenti troppo
ricercati e avvolgenti.
In definitiva Blue Mountain è un disco intrigante,
con molti aspetti positivi, non ultimo la curata veste grafica con alcune splendide
fotografie di ambientazione western.